Furono baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi

Di Alessandro Berni • 21 apr 2009 • Categoria:Società • Un commento

fiordalisoAvevo nove anni quando il mondo perse fiducia nei confronti del progresso.

Era il 1986, tra i cieli d’America, uno shuttle esplose in mondovisione. In Ucraina, regione dell’Unione Sovietica, famosa fino al quel giorno per le belle donne e per i campi di grani, esplose un reattore nucleare.

Furono due colpi molto duri per gli ottimisti, per i sognatori, per tutti gli uomini dotati d’ingegno. Per fortuna, anche se con più riluttanza, l’uomo non ha smesso di lanciare supposte nello spazio; tra un film di Rocky ed uno Rambo, ha continuato a spezzare in due l’atomo.

Come nessuno, ero un’ipotesi del caso, quando nel 1743, trent’anni prima della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin, l’inventore del parafulmine mica della pizza alla ricotta, pubblicò a Philadelphia un progetto per la promozione del sapere (poi concretizzatosi effettivamente nella fondazione di una Società Filosofica).
Acceso dalla vivace volontà di diffondere la scienza e le sue applicazioni, Franklin aveva capito che dopo i primi duri decenni di colonizzazione del lungo tratto di continente americano che andava dalla Nuova Scozia alla Georgia, finalmente sempre più persone godevano di sufficiente agiatezza per potersi permettere di coltivare attività sempre più raffinate e di contribuire all’accrescimento del sapere; aveva capito che queste terre erano abitate da uomini d’ingegno, uomini intraprendenti, intrepidi e, purtroppo, spesso molto soli, lontani, fra loro ignoti, come spesso ignote restavano le loro scoperte.
Per rimediare a questo inconveniente si impegnò per la costituzione di una società di uomini acuti e intelligenti di diverse colonie, denominata società filosofica americana, destinata a generare lo scambio di osservazioni, esperimenti, invenzioni meccaniche che facessero risparmiare fatica.
Gli inglesi non vedevano di buon occhio attività di questo genere. Troppa esuberanza. Per questo si impegnavano a precludere alle colonie ogni libertà nello sviluppo e nella produzione dell’industria e della produzione in generale.
Vi assicuro che oggi come allora nessun uomo al mondo è più preoccupato di un inglese preoccupato.
E gli inglesi a preoccuparsi avevano ragione.
Prendi un manipolo di geni e mettili insieme. Tempo una generazione ottieni una rivoluzione.
Così è la storia dell’umanità: per una rivoluzione che fai, per un impero che ottieni, bastano un paio di secoli che subito c’è un impero che implode: l’Inghilterra d’America sono oggi gli Stati Uniti d’America, l’Unione Sovietica sono oggi 15 stati sovrani ognuno dotato di una bandiera, di un inno e di una costituzione.

Avevo diciassette anni e guardavo il futuro con speranza, quando leggendo la storia capii che i libri di geografia politica invecchiano in fretta; quando rifiutai di ordinare il nuovo libro di geografia che ogni anno un foglio dattiloscritto e fotocopiato mi suggeriva di comprare. “Farò con quello di mio fratello di cinque anni più vecchio e lo aggiornerò quando necessario”, fu la mia decisione. Nessuno disse niente, a scuola come a casa, perché nessuno se ne accorse.

Come ognuno di voi, ero appena una chimera del nulla, quando nel 1887 l’eterno Charles Baudelaire scrisse:
“Il mondo finirà, per quale ragione dovrebbe durare se non per il fatto in sé che esiste?
… anche se continuasse ad esistere materialmente, non sarebbe un’esistenza degna di questo nome e del dizionario storico… Non dico che il mondo si ridurrà al disordine di una repubblica sudamericana, che ritorneremo ad un stato selvaggio ed attraverseremo le rovine delle civiltà passate fucile alla mano. No, queste ipotesi presumono dei slanci vitali…  Moriremo per ciò di cui avremo creduto vivere.
La meccanica ci avrà talmente americanizzati, il progresso avrà atrofizzato così bene in noi tutta la parte spirituale .. che allora il mondo finirà … e sarà solo per l’avvilimento dei cuori.
..
Allora, i figli si rivolteranno contro i padri, ma non a diciotto anni, bensì a dodici. E non si solleveranno per cercare delle avventure eroiche, per liberare la propria amata prigioniera di una torre, o per renderla immortalare in una soffitta attraverso sublimi pensieri.
Ma si ribelleranno per fondare un commercio, per arricchirsi, per fare concorrenza alla loro infame famiglia contro la quale sono insorti.
..
Il mondo finirà.. E io, … profeta ridicolo …  Lascio queste mie parole perchè voglio mettere una data alla mia rabbia, alla mia tristezza.”

Dear Mr. Franklin,

Quale vivacità! Quale forte volontà di sottomettere la natura ai fini dell’uomo. Ne sono follemente sicuro: fossimo nati contemporanei saremmo stati senz’altro amici.
Mi dispiace quasi aggiungere la mia voce a chi afferma che la crescita tecnica, da sola, non dice niente sul reale grado di una civiltà umana.

Cher Charles Baudelaire, padre,

Sarò forse un uomo giusto quando la storia di domani, insegnerà come i libri di geografia politica scadono prima del latte che teniamo nel frigo, come la geografia fisica traccia nuovi confini alla fine di ogni stagione.

Fanno bene gli inglesi ad uscire sempre con l’ombrello..

BaudelaireFranklinprogresso
Alessandro Berni

Alessandro Berni Trentun’anni, quasi tutti in Europa. Ecrivain et révolutionnaire. Re musa: tutto ciò che lo tocca, si tramuta in poesia. Cintura nera di cose da niente, maestro zen d’utopie da inventare. Corteggiatore dell’ignoto. Innamorato, amato, dal nulla. Alla fine di un percorso accademico completo, decide di partire per Kibera, bidonville di Nairobi con un unico obiettivo: abiurare il suo io. Ripartire da zero. Dopo sei lunghi e strani anni torna a Parigi, arriva a zero. Oggi, finalmente oggi, spettatore convinto del cambiamento di un’era, vive infatuando l’Europa, per preparare la rivoluzione in America e, nel frattempo, mangia pasta ogni giorno, per non perdere il suo accento. Ammaliante nei bisogni, sedotto dal bisogno di raccontare, a proposito di tutti i suoi sbagli passati, ha due unici grandi rimpianti: avrebbe voluto commetterli prima, avrebbe voluto farne di più grandi. Segni particolari: una gabbia d’uragani al posto del cuore.
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Commenti: 1 »

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