La dittatura in teatro
Di Francesca Gabriele • 14 giu 2009 • Categoria:Teatro • Un commentoLe dittature sono qualcosa di abominevole: limitano la libertà delle persone, violano i diritti umani, arrivano a commettere crimini efferati. Sono fermamente contraria a qualsiasi tipo di dittatura, ad esclusione di una, l’unica dittatura ammissibile, perché necessaria: la dittatura in teatro.
Lo ammetto: amo il regista dittatore. Parlo per esperienza vissuta, guardando a lontane vicende di anarchia in teatro, arrischiandomi a dare un consiglio a tutti coloro che si accingono a fare di questa nobile arte la propria arte: non dimenticate mai l’importanza della dittatura in teatro!
LA DITTATURA, PER DEFINIZIONE, E’ DI UNO SOLO. QUINDI NON RESTA ALTRA POSSIBILITA’: SCEGLI IL TUO REGISTA E AFFIDATI A LUI CON FIDUCIA!
Non sottovalutate l’importanza della dittatura in teatro. Che la dedizione dell’attore per il regista non abbia confini.
Che ogni attore riponga fiducia nel proprio regista e ne abbia sommo rispetto. Lui e soltanto lui avrà il diritto di decidere se una scena funziona o non funziona, nonché la dura, pesante incombenza di correggere ciò che non funziona nella suddetta scena.
Sì attori e attrici è così. Accettate di buon grado il vostro destino, senza ribellarvi.
Accettate di ricoprire il ruolo di attori, accettate di trovarvi alla pari con gli altri compagni, abbiano essi più o meno esperienza di voi. Rinunciate alla maligna tentazione di ergervi a giudici dell’operato dei vostri fratelli, gli altri attori. Assumersi il peso di esternare un commento negativo sulla prova di un attore è un compito difficile, scomodo, compromettente. Lasciate questo peso, questa dura incombenza a lui, il sommo regista.
Il teatro è dittatura. Lo ammetto: amo la rigida divisione dei ruoli.
Una rigida divisione dei ruoli vi permetterà di vivere in armonia con i vostri colleghi. Capire se una scena funziona o no, individuarne i punti deboli e poi parlarne con gli attori è compito del regista. Se l’attore fedele accetta di buon grado le critiche costruttive del regista illuminato, mal sopporterà un atteggiamento critico da parte di un suo fratello, in tutto e per tutto pari a lui nei diritti e nei doveri.
Il teatro è dittatura e collaborazione. Amo la collaborazione in teatro.
Potrete collaborare, cospirare alla buona riuscita dello spettacolo solo se riuscirete a tenervi lontani dal giudizio gli uni nei confronti degli altri. E’ dovere di ogni attore esimersi dal giudicare i suoi compagni, dedicandosi alla nobile attività dell’osservare prima di tutto se stesso e le proprie mancanze. Non c’è niente di più irritante e di più pericoloso per la buona convivenza, di un attore che si arroga atteggiamenti che non gli si confanno, cercando di sopraffare i propri colleghi durante il lavoro, senza che nessuno gliene abbia riconosciuto il diritto.
PER QUESTO CREDO NELLA DITTATURA IN TEATRO, NELLA CHIARA E DEFINITA DIVISIONE DEI RUOLI. SOLO COSI’ SARA’ POSSIBILE UNA REALE COLLABORAZIONE TRA ATTORI E REGISTA E TRA ATTORI E ATTORI.
Amo la dittatura in teatro. Che la dittatura in teatro sia illuminata.
Che si mantenga aperta e disponibile allo scambio di opinioni, quando esse siano richieste e necessarie, con i propri figli, gli attori. Che questi si aiutino a vicenda, anche tramite lo scambio sereno e rilassato di opinioni ed idee. Ma che suddette opinioni non si trasformino in giudizi, sfociando nell’anarchia in teatro.
EVVIVA LA DITTATURA ILLUMINATA IN TEATRO!
Francesca Gabriele Francesca Gabriele, fiorentina, annata 1982, è neolaureata in Studi letterari e culturali internazionali, specializzata in lingua, letteratura e cultura russa. Inizia, adolescente, un percorso teatrale da subito serio e impegnativo. Diplomatasi come attrice presso la Scuola di Teatro Laboratorio9 di Sesto Fiorentino, passa attraverso diverse esperienze formative e performative a contatto con svariati artisti e realtà, anche internazionali, sia a livello amatoriale che professionale. Profondamente interessata a capire gli altri e a farsi capire dagli altri, crede fermamente nella funzione salvifica dell'arte.
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Francesca, che bell’articolo!
Mi avvicino anche io, ormai da un po’, al mondo del teatro, per calcare le scene, cio’ che sarebbe il mio sogno. Per il momento studio e studio e studio e studio. E accetto. Accetto a stimo i consigli del mio Maestro, accetto e comprendo la sua regia, approvo le sui linee direttive: il regista è lui, io sono il tramite.
Vedo l’attore nella metafora della cornetta del telefono: il testo e lo spettatore sono i comunicanti. l’apparecchio telefonico puo’ essere vecchio o nuovo, rosso o blu, di bachelite grigia con il compositore a rotella o con la tastiera. E il regista compone i numeri, riattacca i fili, si preoccupa che la comunicazione sia efficiente. Appoggia il telefono sul tavolo giusto, o lo attacca al muro.
Quello è il suo lavoro e il nostro è dargli della materia da plasmare. il nostro è rendere forma i contenuti.
Si’, una dittatura illuminata, un assolutismo illuminato, oserei sfumare.
Che l’attore abbia l’umiltà di comprendere e sappia fidarsi. Difficile in un mestiere in cui l’ “indice di gradimento” è cosi’ soggettivo.
Ma queste sono sfide, queste sono delle forme mentali che ci corrispondono: la soggettività, il gusto personale. L’essere persone pensanti e agenti nella calda magia di un riflettore acceso che non ci porta mai all’assuefazione.
Sarà amore?