Si dice che l’estate sia quella breve parentesi dell’anno votata al riposo e alla pace dello animo; quella 2011 non è andata proprio così. Volenti o nolenti, lontani o vicini dal nostro paese, le notizie della crisi e dei tentativi – ahimé vani – di risolverla, ci hanno raggiunto non dandoci tregua. Le votazioni delle agenzie di rating, gli incontri dei potenti della finanza, le dichiarazioni dei capi di governo si sono succedute scadendo a passi di tip-tap isterico le nostre vacanze. È difficile capire cosa stia accadendo veramente e, quel che è più, è ingenuo pensare che la soluzione sia stata trovata.
Mi soffermerei a riflettere sui quei pochi fatti che sono oramai inconfutabili. La Grecia è stata salvata dagli altri paesi dell’Unione Europea. È stato difficile accordarsi sul modo, ma sembra ci siano riusciti. Vero è, d’altra parte, che proprio ieri è stata pubblicata la notizia della fusione di due principali banche greche. La neonata, che sarà la più grande del territorio, ha fatto ben sperare i mercati, che hanno risposto chiudendo in rialzo.
La crisi Greca, però, è isolata solo per quantità e non per sostanza. Infatti, spaventa anche la situazione di altri paesi europei tra questi l’Italia. Tralascio ciò che sta accendendo dalle nostre parti, dove i tentativi circensi del nostro governo di emanare una manovra sensata non ottengono altro che un richiamo formale da Bruxelles – proprio ora che, invece, dovremmo stare “schisci” e dimostrarci competenti e laboriosi. Ritorniamo dunque alla crisi ed alla reazione strabiliante che ha generato. L’asse franco-tedesco ha assunto, nuovamente, una posizione di leadership europea, scalzando qualsiasi altra forma di intromissione propositiva. Ciò non è nuovo: in passato, Mitterand e Schröder hanno creduto a tal punto nell’Europa da riuscire a “imporre” politiche volte ad allargarla, rafforzandola. Oggi, Merkel e Sarkozy, consci della forza trainante dei Paesi di cui sono alla guida, hanno delineato le politiche d’azione per uscire dalla crisi e salvare i paesi a rischio. Ciò significa, tra l’altro, Eurobond sì, ma assumendo precauzioni molto definite per evitare che i Paesi dall’economia forte si accollino, senza garanzie, i debiti di quelli più deboli. Ma allora, una domanda sorge spontanea: qual è, oggi, il ruolo delle Istituzioni europee, Banca Centrale compresa? Appare come fatto inevitabile che la soluzione per uscire dalla crisi economica non possa che arrivare dal mondo della politica, per di più dalla politica nazionale di solo alcuni paesi auto eletti alla guida. Appare, quindi, che a crisi economica si affianchi reazione politica. A parer mio, mi sembra che tutto ciò abbia un senso. Le ultime decadi hanno permesso che l’economia assumesse un ruolo talmente principale da imporsi addirittura come unico elemento su cui basare le scelte politiche. Ecco il risultato. Genio e sregolatezza è un binomio che funziona e ha regalato alla società grandi artisti. Economia (globalizzata) e sregolatezza, invece, non hanno funzionato.
Siamo dunque chiamati ad un grande atto di fiducia, perché la risposta a questa contingenza negativa – destinata comunque a perdurare ancora – arriverà proprio dal quel mondo, quello politico, che in parte è stato causa passiva della situazione. Noi tutti, invece, dovremmo assumere, nel nostro piccolo, un ruolo attivo e di compartecipazione. Quel che sarà del futuro assetto europeo, invece, non è dato sapere, per ora. Bisognerà aspettare la fine di questo periodo per capire se, e come, le Istituzioni europee riusciranno a guadagnarsi il primato nella guida dell’Europa, vecchia e nuova. Non bastano, infatti, i trattati (quello di Lisbona del 2009 ha previsto un rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo…già!) e i buoni propositi. Qualsiasi centro di potere esautorato del suo ruolo attivo non rimane che un vuoto, bel palazzo, che invece di incutere timore, lascia fuggire l’occhio dei passanti.