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È possibile sentirsi stranieri nell’Europa unita? Una passeggiata a Rotterdam

16 maggio 2008
Pubblicato in Attualità
di Valentina Clemente

Il regno olandese è uno dei sei Stati fondatori dell’Europa, di cui si parla molto più spesso per fatti negativi che positivi: assassinii di importanti politici e registi, rifiuto della Costituzione e, dulcis in fundo, arresti di cellule terroristiche di livello internazionale, che proprio qui si sono plasmate e sviluppate.
Al contempo, negli uffici dell’Unione, ubicati non molto lontano, si discute di come “tutti i cittadini degli Stati membri debbano fregiarsi ed usufruire di una cittadinanza ulteriore a quella dello stato di provenienza: quella europea”.

Quanto si è parlato di cittadinanza europea e di come tutti debbano sentirsi parte di questa nuova Comunità? Tantissimo: trattati, costituzioni, carte fondamentali… Tutti, esperti del settore e no, ne hanno sentito parlare e ne sono stati coinvolti in una occasione almeno, magari senza rendersene conto.

Ma è effettivamente cosi? Si può esserne sicuri? Non si può pretendere che questo tipo di sentimento sia forte tra i nuovi 10 membri, i cui cittadini possono beneficiare di questa possibilità da pochissimo tempo, ma almeno tra gli stati fondatori il dubbio non si dovrebbe porre.

Questa possibilità dovrebbe rendere tutti i cittadini degli Stati aderenti liberi di viaggiare nell’Unione intera e dare loro la possibilità di sentirsi tutti uguali, perché facenti parte della stessa, che ha regole, diritti e doveri comuni. L’idea, nella teoria, sembra veramente meravigliosa. Metterla in pratica? Un po’ meno. Potrebbe sembrare troppo semplice fregiarsi di tale caratteristica rimanendo sempre nel Paese d’origine: per poter veramente sentirsi europei bisogna cambiare Stato membro e poi dare una effettiva valutazione del proprio sentirsi – o non sentirsi- cittadini della stessa unione di stati.

La Comunità vede da sempre Italia e Paesi Bassi al centro di ogni nuovo negoziato per introdurre regole e possibilità aggiuntive di cui tutti gli Stati, e relativi cittadini, possano usufruire. Non sempre, però, i risultati sono stati gli stessi, anzi: nella maggioranza delle occasioni questi due Stati hanno fronteggiato situazioni totalmente opposte, come nel caso recente del Trattato costituzionale europeo.
Nonostante ciò, chiunque decida di trascorrere alcuni giorni in Olanda non dovrebbe avere la sensazione di sentirsi straniero in terra europea, bensì parte integrante e libero di agire secondo le regole “di buona condotta del vecchio continente”.

Tale teoria viene pienamente vanificata dopo aver visitato due città di questo piccolo, ma allo stesso tempo problematico, Stato fondatore.
Il primo esempio pratico? Una passeggiata in una delle più chiacchierate città olandesi: Amsterdam.
Aspettando di scendere alla fermata “Amsterdam Centraal” si intravede già la cosmopolitismo che la invade: accanto ad un museo, Nemo, riservato ai bambini per conoscere meglio le meraviglie del mare, vi è un teatro dove stanno programmando il musical “The Lion King”, show non propriamente olandese. Quando si scende dal treno, le prime parole che si sentono sono in inglese. Olandese ben poco.

È una città che pullula di musei dedicati ad artisti del XX secolo, tulipani e compagnie di fast food americane. Paradossalmente, non ci si sente assolutamente coinvolti negli aspetti dello spirito europeo, bensì in uno che poco ha a che fare con la recente Unione. Forse il sentirsi suoi cittadini potrebbe essere paragonato al BloemenMarkt, dove tutti i giorni venditori di tulipani esibiscono questi fiori coloratissimi, che però non sorprendono più le persone che giornalmente ci lavorano. Questi fiori, come la cittadinanza, sono bellissimi ed effettivamente danno tantissimo colore a questa città. Il problema è che non vi è data abbastanza importanza e, al calar del sole, giorno dopo giorno, i tulipani si appassiscono e non rendono più come alle prime ore della giornata.

Il problema che deve affrontare Amsterdam è che principalmente gli autoctoni non si sentono veri Olandesi e, probabilmente, ancor meno Europei. Questa città, infatti, perennemente invasa da turisti americani ed asiatici, può essere connotata più come meta di cittadini “del mondo”, ma non di certo europei. Difficilissimo trovare una persona che parli correntemente la lingua olandese, raro provare ad instaurare una conversazione con una qualsiasi persona a proposito dei recenti avvenimenti che hanno toccato lo stato nord europeo. Il motivo? Praticamente impossibile trovare Olandesi veri, data l’immensa presenza di turisti provenienti da oltre oceano. Al contempo, però, nessuno può sentirsi “escluso”, diverso o “osservato” dalle persone che camminavano per la città, probabilmente perché anche tutti, Europei e no, si sono sentiti parte integrante di un sistema grande e capace di inglobare senza problemi cittadini provenienti da ogni parte del pianeta.

I Paesi Bassi, sebbene privi di una eccessiva estensione, hanno città che, nonostante le strette vicinanze, sono diverse tra loro in stile, colori e… cittadini. Per vedere una parte che si discosta dall’immagine dell’Olanda acquisita ad Amsterdam, provare nuove emozioni e cittadinanze, venire a contatto con una realtà contrapposta alla triade “musei-tulipani-canali- , è necessario spostarsi a Rotterdam. Città molto dinamica, coinvolta in un processo di modernizzazione che la sta cambiando a vista giorno dopo giorno, è il raccordo portuale più importante di tutta l’Europa: qui avvengono scambi commerciali che coinvolgono sia l’Unione sia molti altri stati extra europei.

È una città molto popolata, ma il 58% dei suoi cittadini non sono né turisti né Olandesi: sono persone di fede musulmana, che l’hanno “colonizzata” , rendendola di certo la città quadro degli eventi che hanno toccato i Paesi Basi negli ultimi tempi. La maggior parte di tale percentuale è costituita da Marocchini e Turchi, ai quali si aggiunge una piccola comunità di immigrati dalle isole Antille. Quando si cammina per le sue vie, anche accompagnati da persone di nazionalità olandese che sanno quali sono le parti da visitare, ci si sente “diversi”.

I colori con cui ci si scontra possono essere un discriminante? Forse, anche se uno dei maggiori scogli che si deve affrontare subito è la lingua. Cosa si sente parlare dalle persone, poche donne tra l’altro? Di certo la lingua madre dei Paesi di loro provenienza, che non è quella che dovrebbero usare per dialogare nel Paese in cui si trovano al momento.

Una ulteriore problematica da risolvere? Il pranzo. Ebbene sì: trovare un ristorante alle 13 aperto, durante il periodo del Ramadan, è stata una impresa alquanto ardua. Al contrario, dalle 18.30 in poi, quando ormai le tenebre avevano ricoperto tutta la città, di certo cenare circondati da persone che non parlavano olandese, inglese e neppure esperanto, si è rivelata essere una possibilità non più remota come quella di poche ore prima. Non è bello sentirsi osservati e soprattutto non capire di cosa parlino fissando qualsiasi persona di sesso femminile che non indossa veli, non ha la pelle olivastra ed è particolarmente affamata.

Anche persone che vivono a Rotterdam da sempre, nel vedere queste particolari situazioni nei confronti di turisti, non si meravigliano: anche loro, infatti, si sentono “straniere”, non si ritengono tanto olandesi quanto la folla musulmana che li circonda da parecchi anni ormai, e al contempo non sono in grado di ritenersi europee. Il motivo? Non vi sono punti di incontro tra questi gruppi: anche se la “vera” popolazione olandese prova a creare occasioni, tali da poter favorire il dialogo e l’effettiva integrazione di queste realtà nel migliore dei modi, l’altra fazione non risponde. Questo rende molto più difficile l’integrazione prima nella cerchia olandese e susseguentemente nelle politiche europee e favorisce la creazione si sottogruppi che, come già si sa, di certo non aiutano lo Stato olandese a sentirsi anche europeo.

Probabilmente, però, una cosa che può far sentire tutti, autoctoni e no, uguali a loro: la moneta che si usa per acquistare le famose cialde caramellate olandesi, ovviamente preparate da un turco che poco conosce l’olandese e ancor meno l’inglese. Forse l’accettazione della stessa potrà sembrare un metodo di integrazione, ma non è di certo il solo modo di interagire con una società differente in tutti gli altri aspetti che la contraddistinguono.

Cittadini olandesi? Insomma.
Cittadini Europei? Ancora meno.

Forse per potersi fregiare del titolo di “cittadino europeo” la scelta di questo Stato, ed in particolare due delle sue città, non è stata molto opportuna viste le situazioni e i risultati ottenuti…

Ognuno di noi, però, dovrebbe porsi questa domanda: cambierà mai la situazione? Se questi sono i presupposti, piccoli ma pur sempre presenti, sarà più che lecito avere seri interrogativi circa una vera Europa “unita”.



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3 Responses to “È possibile sentirsi stranieri nell’Europa unita? Una passeggiata a Rotterdam”

  1. Lorenzo scrive:

    Cara Valentina,

    ti faccio i miei complimenti per aver espresso con grande chiarezza i dubbi che una buona parte degli Italiani e degli Europei si stanno ponendo in questo ultimo periodo, caratterizzato – grazie ai politici e ancor di più ai media – da una riflessione sulla compatibilità fra quella che viene definita cultura o civiltà autoctona e quella di cui sono portatori gli immigrati.

    Tuttavia devo ammettere di essere spaventato dal concetto di “Olandesi veri”. Quei cittadini che hai incontrato ad Amsterdam e Rotterdam sono, mio avviso, olandesi quanto le belle ragazze con le trecce bionde dell’immaginario collettivo. Cara Valentina, lo strumento prediletto nel corso dei secoli per riunire comunità necessariamente disomogenee, perché formate da costanti migrazioni e fusioni con elementi esogeni, è sempre stato quello del definire “chi non siamo”. I diversi da noi, ovviamente in senso (più o meno) dispregiativo.

    Mi rendo ovviamente conto che i grandi giuristi, filosofi e pittori nati in terra olandese non comunicassero in arabo tra di loro. Ma perché non consederare il vantaggio di questa commistione di culture? Forse ci vorranno ancora degli anni per vederne i frutti, ma sono sicuro che i germogli di questo innesto multiculturale ci sono già. Dal punto di vista del diritto, ad esempio, chissà quali risultati positivi si potrebbero avere inserendo nella terra del diritto individuale i concetti di comunità e famiglia allargata di cui sono portatori molti degli immigrati musulmani. E chissà quale nuovi orizzonti potrebbero aprirsi una volta che i giovani immigrati si saranno formati nelle tecniche pittoriche.
    Quando si fanno discorsi sui rapporti tra gruppi, comunità o culture, si incorre spesso nel rischio di generalizzare, da cui non sono sicuramete esente. Tuttavia ritengo importante affiancare al modello di Europa da te indicato quello che ho cercato di accennare in queste poche righe: un’Europa fiera delle mille tradizioni diverse da cui discende; un’Europa sicura di sé, che guarda al futuro con la cosapevolezza di poter diventare sempre migliore, anche grazie al contributo di chi non è nato sul suo territorio.

  2. Anna Gilbert scrive:

    Finalmente qualcuno che non la manda a dire!
    Valentina era da tempo che non apprezzavo fino a tal punto un articolo! Condivido tutti i tuoi dubbi sull’effettiva possibilità di commistione fra culture tanto diverse come la “nostra occidentale” e quella musulmana. O meglio, ho seri dubbi sulla velocità e efficacia con cui questa commistione possa avvenire.
    Immagino che tutti ci auguriamo che prima o poi ogni popolo possa imparare dall’altro, che gli uomini possano prima o poi comprendersi oltre i pregiudizi e le differenze superficiali…ma questo momento non sembra prossimo. Il dramma è che negli ultimi tempi, ad esprimere un’opinione del genere si passa minimo minimo per razzisti, se poi si incontra il genio di turno anche per “fascisti”.
    In alcune piccole realtà – come quella di certe università – il dialogo inteculturale già esiste e questo mi fa presupporre che prima o poi questo fenomeno si estenda su larga scala, solo mi domando : e nel frattempo? Forse questo attaccamento al contingente è ciò che più mi allontana dall’utopia di Lorenzo e più mi avvicina al realismo di Valentina.

  3. niccolo' scrive:

    Cara Valentina

    Sono uno studente bocconi che ha passato i quattro mesi del suo erasmus proprio a Rotterdam, e sono rimasto un po’ stupito dalla descrizione che ne hai fatto. Rotterdam è vero’ è una città multiculturale, un melting pot di cittadini olandesi provenienti principalmente dalle ex colonie, ma non mi sono mai sentito “diverso”. Tanto meno tanti olandesi che ho conosciuto durante i quattro mesi all’ Erasmus Universiteit di Rotterdam che avresti dovuto visitare, si sentono “diversi” a casa loro. Dove le ragazze col velo ti assicuro non sono di piu di quelle che potresti vedere in una università di Londra, e comunque la stragrande minoranza. Trovo molto difficile credere che tu non abbia trovato un ristorante aperto alle 13 soprattutto nel centro della città nella zona di Beurs o Blaak, o in Wit de Wittestraat In cui si trovano moltissimi locali.

    Credo che la tua visita di stata o troppo breve o molto superficiale.

    Ciao

    Niccolo’

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