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Le sedie vuote del Nobel per la Pace

10 dicembre 2010
Pubblicato in Attualità, Primo Piano
di Alessandro Berni

Una sedia vuota al posto di Liu Xiaobo, vincitore del premio Nobel per la pace 2010, assente a Oslo poiché presente in una prigione cinese dove sta scontando undici anni di carcere con l’accusa d’incitamento alla sovversione del potere statale.

Al posto di Liu Xiaobo non ha potuto presentarsi la moglie, da due mesi agli arresti domiciliari, né nessuno dei suoi parenti, in quanto è stato loro proibito di lasciare il proprio Paese. Vuote anche le sedie che avrebbero dovuto accogliere le grazie di 19 rappresentanti di Stato quali Cina, Russia, Pakistan, Afghanistan, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Serbia, Venezuela, Egitto, Colombia, Tunisia, Ucraina, Cuba, Vietnam, Filippine, Marocco, Kazhakstan e Sudan. A questa lista, si è aggiunta anche la sedia vuota dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navanethem Pillay, assente a causa di “precedenti impegni”.

Per il Comitato norvegese del Nobel per la Pace, Liu Xiaobo ha meritato questo premio per i suoi sforzi duraturi e non violenti in favore dei diritti dell’uomo in Cina. Per il governo cinese, Liu Xiaobo è considerato un criminale e il Premio Nobel a lui conferito un’oscenità.

Ma quali sono le colpe ad avviso del governo cinese e i meriti secondo Oslo? Liu Xiaobo è uno scrittore e un militante di lungo corso per il rispetto dei diritti civili. Nel 1989 partecipa alle manifestazioni di piazza Tien’anmen. Nelle sue opere ha criticato spesso il Partito Comunista cinese e la cultura del suo Paese, troppo sottomessa al potere di Pechino. Liu Xiaobo è stato il promotore di «Charta 08», manifesto pubblico ispirato alla famosa Charta 77 redatta negli anni Settanta dai dissidenti cecoslovacchi. Per il suo attivismo politico, Liu Xiaobo è stato imprigionato quattro volte e si trova tutt’ora in carcere.

Nelle ore successive all’assegnazione del Premio Nobel per la Pace avvenuta l’8 ottobre 2010, Barack Obama e il Dalai Lama, oltre a molti altri politici di valore internazionale, chiesero in maniera chiara e decisa la scarcerazione di Liu Xiaobo. Il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, espresse a nome dell’istituzione la felicità per la decisione di attribuire il premio a Liu «un indefesso difensore dei diritti umani che si è battuto per la libertà di espressione attraverso metodi non violenti». Dall’Italia, il Ministro degli esteri Franco Frattini commentò con entusiasmo l’assegnazione del Premio Nobel al dissidente cinese.

La Cina, primo Paese al mondo per esportazioni, fabbrica del pianeta, proprietaria di fette sempre più ingenti di debito pubblico di diversi Stati compresi quello americano e italiano, nelle settimane successive all’assegnazione del Nobel ha fatto sentire più forte il suo sdegno per la decisione, provocando imbarazzanti silenzi da parte delle varie istituzioni nel mondo. 

Se la maggior parte dei governi e dei diplomatici stanno affrontando con ignavia l’argomento, è importante che non faccia lo stesso il mondo dell’informazione e della cultura, così da sollecitare una presa di posizione da parte di tutti i cittadini, politici compresi. In questo bazar senza nome che è la globalizzazione di oggi, dentro un mercato del lavoro che continua a crescere tra supposta moralità e autentica immoralità, il Comitato norvegese del Premio Nobel per la Pace, uno sparuto manipolo di uomini e di intellettuali, ha messo a nudo un aspetto cruciale dell’attuale sistema economico e politico mondiale, ovvero che di fronte ai diritti civili calpestati del popolo cinese, l’intero pianeta è chiamato a un esame di coscienza, a ricordare per se stesso e per il prossimo il valore cruciale dell’applicazione della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Mentre a Oslo la sua sedia è rimasta vuota, Liu Xiaobo, uno dei sognatori più tenaci della nostra epoca, continua a scontare con la prigione la redazione e la diffusione di un semplice manifesto. Chi volesse, puo’  firmare la petizione per il suo rilascio immediato.



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