25 giugno 2008. All’unanimità, il Consiglio dei Ministri approva d’urgenza il decreto legge 112 concernente “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. Con il DL 112, poi approvato in legge 133 (http://www.governo.it/Governo/Provvedimenti/testo_int.asp?d=40106), il governo concretizza una serie di tagli al Fondo Funzionamento Ordinario dell’università che in cinque anni verrà ridimensionato del 20%, scendendo dai circa 6820 milioni di euro attuali a 5380 milioni di euro nel 2013. Questo è ciò che negli ultimi giorni ha trascinato migliaia di studenti universitari, ricercatori e professori in piazza a protestare contro un radicale cambiamento del sistema universitario operato tramite un decreto legge approvato d’urgenza dalla maggioranza di governo.
Alcune considerazioni.
FFO, fondo funzionamento ordinario. In questa voce convergono tutte le spese di manutenzione ordinaria dell’università, dagli stipendi di professori e ricercatori, al mantenimento delle strutture, al materiale per la ricerca e la didattica. Il taglio al fondo ordinario previsto dalla legge 133 è stato svenduto come necessario per superare l’attuale crisi economica ma questo contrasta con le politiche economiche attuate dagli altri paesi industrializzati, i quali continuano ad investire nella formazione. L’impellente necessità di far cassa recuperando dal FFO meno di 3.5 mld di euro in 5 anni lascia poi perplessi se si tiene conto che vengono spesi 47 mld per l’expo di Milano del 2015 o se 140 milioni (più del doppio dei tagli che verranno effettuali nel 2009 al fondo ordinario) sono stati regalati alla rilassata amministrazione di Catania. Limitare i fondi alla ricerca e all’istruzione, in controtendenza con il resto del mondo industrializzato, significa oggettivamente ipotecare lo sviluppo tecnologico ed economico italiano. Un lento sviluppo economico conduce alla perdita di competitività nel mercato, accentuata dall’opposta tendenza dei paesi che oggi stanno accrescendo i loro investimenti in R&D. Inoltre, un taglio dei fondi universitari insostenibile, sfocia necessariamente in un aumento delle tasse universitarie. L’ incremento delle tasse universitarie, insostenibile da molte famiglie, intaccherà il diritto allo studio sancito dall’ Art. 34 della Costituzione e parallelamente favorirà la nascita di un sistema universitario discriminante in cui università eccellenti molto costose si contrapporrebbero ad atenei accessibili a tutti ma meno formanti.
Per quanto riguarda l’applicazione della legge finanziaria, è fondamentale sapere che non viene fatto riferimento ad alcun criterio meritocratico da adottare nella riduzione del FFO, autorizzando un applicazione dei tagli a pioggia su tutti gli atenei, contrariamente a quanto falsamente sostenuto dal governo che prometteva la valorizzazione della gestione efficiente del denaro pubblico. Ad oggi, un punto su cui i consigli di ateneo più responsabili stanno facendo pressione è proprio quello di orientare in senso meritocratico la distribuzione dei tagli.
La legge 133, indica infine un preciso limite del turn-over del personale, che porterebbe ad un sostanziale dimezzamento del personale, il tutto in un ambiente accademico il cui rapporto studenti professori è già di 20 a 1 (media europea 15.3 a 1, dati OCSE). Il paradosso sarà a quel punto la necessità di garantire la medesima qualità di insegnamento, con meno risorse umane, economiche e materiali a disposizione. Semplicemente non sarà possibile, non per ideologia, ma per semplice intuizione pratica. Le conseguenze sono state esaustivamente delineate e sono riassumibili in quattro punti: progressivo declino della qualità della didattica; impossibilità a svolgere tesi sperimentali per la mancanza di infrastrutture; drastica riduzione dell’attività di ricerca e della formazione di nuovi ricercatori; sparizione delle università pubbliche come sede istituzionale del sapere e dello sviluppo di nuove conoscenze e affermazione di fondazioni private che guideranno ricerca e sviluppo secondo strategie aziendali a breve termine, tagliando radicalmente ogni forma di ricerca di base.
La gravità della situazione in cui versano gli atenei italiani è ulteriormente sottolineata dalla presenza di due articoli usciti su Nature del 16 ottobre, in cui la nostra presenza fra i paesi più civilizzati viene messa ancora una volta a dura prova. La rivista giudica apoliticamente l’azione del nostro governo, parlando del FFO come easy, but unwise, target e sottolineando come il ministro per l’educazione, l’università e la ricerca, Mariastella Gelmini, has remained silent on all issues related to her ministry, and has allowed major and destructive governmental decisions to be carried through without raising objection. Da formichina affaccendata qual è, il nostro ministro per la pubblica amministrazione e per l’innovazione si è subito preoccupato di tranquillizzare la pubblica opinione definendo i ricercatori “capitani di ventura” (in italiano su Nature) e sottolineando come dare loro un posto fisso would be “a little like killing them”. La superficialità di quest’inciso sottovaluta però il fatto che nel nostro paese mancano i finanziamenti per le posizioni permanenti e le infrastrutture in grado di favorire quegli scambi di giovani ricercatori prolifici e romantici quali li intende il ministro.
L’articolo mi trova d’accordo al 100%. D’altro canto non posso dirmi stupito di quello che sta accadendo nel Paese. Sarà che vivendo in Veneto sono sempre stato a contatto con la realtà delle PMI, ma la percezione che spesso e volentieri la formazione scolastica ed accademica sia più una perdita di tempo che una necessità è tutt’ora largamente diffusa.
L’assurdo è che siamo arrivati ad un’attitudine schizoide della società: ci si vanta d’aver il figlio/nipote/cugino dottore, si vuole il pezzo di carta, ma poi le prospettive per chi ha studiato sono estremamente limitate. Possiamo stupirci che il governo possa tagliare i fondi per l’università senza che la società nel suo insieme faccia nulla, quando alcune offerte di lavoro sono indirizzate a “diplomati/laureati” e pare del tutto normale farlo?!?
Non possiamo stupirci se la società nel suo insieme non reagisce, ma possiamo stupirci del fatto che il governo prenda provvedimenti di questo tipo, in direzione opposta al trend degli altri paesi più sviluppati, ed in un contesto in cui l’università è già sottofinanziata. Che ci sia bisogno di una riforma seria del sistema di distribuzione dei fondi universitari è indubbio, il problema è che un taglio indiscriminato non è una riforma, e l’università non ne trarrà alcun vantaggio.