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Spacciatori d’inchiostro

28 novembre 2008
Pubblicato in Attualità
di Giovanni Cairo

È triste, per un lettore sussiegoso come me, dover confessare di essere caduto nella più bieca e prevedibile delle trappole. Tuttavia, spero che dalla mia contrizione nasca un messaggio positivo per le generazioni future, e che questa testimonianza diventi un monito per i lettori sventurati. È sempre bene imparare dagli errori degli altri.
Il mio fallo consiste nell’aver ceduto alla tentazione di acquistare uno di quei libri che vengono regolarmente venduti a pacchi prima di Natale. Il titolo sembrava stuzzicare il mio appetito letterario, la “confezione” era attraente e prometteva rassicuranti sorrisi di compiacimento, come se parlassi con un vecchio amico.
Invece sono cascato nelle trappole editoriali che servono a dare alla gente la convinzione di aver letto un bel libro, sbolognando loro quelli che chiamo “libri da marchettari”.
Il libro di cui parlo si presenta come uno spiritoso manuale di sopravvivenza sociale, scritto a due mani, e lodato dal critico di una rivista (che probabilmente si sarà intascato qualche mazzetta) che ho sfogliato recentemente mentre ero in bagno. Ciò mi fornisce uno spunto per la futura collocazione del suddetto libro.
Quest’orrido libercolo che appariva facile e frivolo –come mettersi a bere un bicchierino di vodka alla pesca- si è rivelato un ammasso di cretinaggini filosofeggianti e di citazioni incomprensibili. Un’ottantina di pagine, gorgheggianti di allusioni insulse, che hanno avuto il risultato di farmi sentire un cretino, sia per l’esborso di quattrini che per la tortura cui mi sono sottoposto.
È su questo che vorrei portare l’attenzione. I libri che ci spacciano come capolavori. I bestseller.

Non so voi, ma a me il termine “bestseller” fa venire in mente le bestie di Satana.
Spesso si tratta di cagate d’oro massiccio, tanto per citare il commercialissimo ma sottovalutato film “Love actually”.
Vorrei stigmatizzare la faciloneria di certi scrittori e la cieca cupidigia con cui editori e venditori di libri (non librai) ci appioppano le più grandiose schifezze nella folle corsa pel danaro, approfittando della tontoloneria con cui molti, me compreso, acquistano certi rigurgiti subletterari.
Molti “abbagli” sono causati dai titoli. Sarei capace anch’io di vendere una “Retrospettiva post-dadaista marinettiana applicata all’onanismo vudù” intitolandola “Come aver successo con le donne”; ossia, spacciare un libro orrendo, o mal scritto, e godermi la gloria del successo letterario per meriti puramente d’incasso.
Pongo all’attenzione dei lettori alcuni interrogativi, per avvalorare le mie strampalate teorie.
Quanti scrittori così ci saranno? Quanti di noi avranno letto libri simili? Penso sia capitato a tutti. Più volte mi è successo di sottopormi a queste ordalie libresche, sovente di mia spontanea volontà, non dietro il diktat dei professori del liceo.
Ancora: questi libri di cui parlo sono mai stati letti dall’editore o dal responsabile delle pubblicazioni? O da chi li vende? Se sì, come accidenti fanno a dormire la notte?
Forse sono un caso limite. Se consiglio a degli amici un libro brutto o scritto male, o che offende la loro sensibilità, mi guarderanno ancora nello stesso modo? Mi terranno nella stessa considerazione?
Sono problemi che evidentemente non sfiorano le coscienze degli editori.
So di non essere l’unico. Ma di chi è la colpa di tanta sofferenza? Di autori privi di dignità, che sperano in guadagni facili, e non esitano a vendersi come meretrici con un libro dal titolo appariscente e dalla prosa belluina? O la colpa forse è di editori senza scrupoli, che sguazzano nei miliardi di introiti, danaro macchiato di sangue e inchiostro che soffoca la coscienza di aver gettato in pasto al pubblico un orrore?
Come se Briatore vendesse una magnum di arsenico ai beoti paganti e gongolanti del Billionaire!¹
Non si sentono come Dorian Gray, di fronte al suo ritratto deforme?
No, poiché ci troviamo di fronte a una cospirazione!
Riflettiamo su questo fatto. Vi prego di aver ancora un po’ di pazienza,  e questi miei deliranti strali morranno; avrà fine questa prosa baroccheggiante e folle, non senza aver però scoccato il velenoso quanto effimero dardo.
Chi decide quale libro viene esposto sugli scaffali? Ci ho pensato più volte. Forse sono uno snob del libro, ma quante volte schifezze inaudite arrivano in cima alle classifiche? Non è che forse sono stati aiutati da una fortunata disposizione nelle librerie? Qui lo dico e qui lo nego, non voglio che la potente lobby degli editori mi metta lo zucchero nel serbatoio del motorino. Ma la mia mente perversa non può fare a meno di pensare a un clandestino mondo di tangenti ai librai, a una mafia della carta stampata.
Chissà invece quanti scrittori avranno avuto (e hanno) successo perché “gente del partito”.
Non mi riferisco solo ai partiti politici, ma anche alle cricche letterarie, sindacati di scrittori che si reggono in piedi sostenendosi l’un l’altro. Nel “Disco volante” di Tinto Brass², Alberto Sordi, interpretando uno scrittore di provincia non pubblicato, diceva a una telecamera di passaggio nel suo paese: “Ci sono in provincia scrittori di grande valore che a Roma vengono boicottati dai soliti Moravia e dai soliti Pasolini”.
Esagero? Pensiamo però alle tribolazioni di Giuseppe di Lampedusa per la pubblicazione del Gattopardo, che fu rifiutato di editore in editore; respinto da una selva di scrittorucoli neorealisti, famosi all’epoca per meriti politici e non letterari. Alla fine ne morì.
Non riesco a spiegarmi come si possano vendere libri commerciali di autori pseudo-impegnati; o peggio, di “gente che tiene corsi di scrittura creativa” per citare il tanto vituperato Luttazzi. Eppure anch’io, che fremo e m’indigno, ci son cascato.
Tuttavia mi rifiuto di credere che in Italia esista un pubblico “deficiente”. Non voglio crederci; checchè ne dicano certi sapientoni da quattro soldi.
Una piccola riserva, però, i lettori la meritano. Non c’è un pubblico “deficiente”; esiste un pubblico sottomesso, che legge gli intrugli di inchiostro che vengono propinati, non so quanto consapevolmente.
E ciò, mi spiace dirlo, potrebbe generare un pubblico veramente deficiente. L’ingordigia della cricca assetata di soldi degli editori e dei supermarket del libro, unita alla remissività del pubblico, rischia di spianare la strada verso l’abisso. Inutile ricordare che chi controlla la stampa controlla il potere, ma nelle mie torbide visioni si sta creando il brodo primordiale per un controllo della cultura. Un grande fratello orwelliano dove la cultura verrà annichilita da libri facili e fugaci, mentre ci assopiremo beati nella convinzione di “aver letto”, ignari di aver finanziato indirettamente la rovina.
I miei detrattori diranno che io ho una visione catastrofica –anche se tragicomica- della vita. Sono il primo a riconoscerlo. Ma sono anche il primo a riconoscermi Cassandro (non un giocatore di calcio, ma una Cassandra al maschile). Vi esorto dunque a prendere armi contro questo attentato alla cultura da parte delle multinazionali del libro, e di scagliare frombole e dardi contro un futuro denso di minaccia che si staglia contro di noi. Non è un caso che un articolo così controcorrente lo leggiate sul Tamarindo.
¹ L’autore dell’articolo si scusa col gentile pubblico per non aver trovato una metafora migliore.

² Ha fatto anche film non pornografici. È stata una sorpresa anche per me. Quanto miserrima è la mia cultura.



3 Responses to “Spacciatori d’inchiostro”

  1. Aldo scrive:

    Caro Giovanni
    (lo scritto mi costringe all’intimità)

    approvo la tua esposizione. Credo comunque che i lettori di qualsivoglia scritto e gli scrittori tali, debbano essere suddivisi. Io amo scrivere, ma scrivo per diletto e i contenuti del mio” conversare” se non letti per amore dai miei familiari, fanno “letteralmente” schifo. Leggo molto e di tutto, sono un trasversale.
    A volte acquisto attratto da un titolo come dici tu, altre volte per opportunità di aver letto alcuni passaggi on line, altre volte per recensioni su pubblicazioni o televisive. Ma non ho un stereotipo letterario. Hai parlato di Pasolini che ho scoperto pienamente in un’estate del 2000 con i suoi scritti corsari, per poi alla fine apprezzare lo scrivere di un’uomo legato a delle verità di vita. Scrivere per realtà o per fantasia? Leggere pensando al reale o al fantastico? A volte acquisto e lascio poi i libri o sul metrò o alla stazione o sui bus pensando che a me fanno schifo ma ad alri potrebbero piacere. Pazzo? Forse.Questo per farti capire solo una parte di come mi pongo nei confronti della letteratura e non so se io faccio statistica. Adesso sto leggendo “Il gioco dell’Angelo” acquistato dopo aver letto una recensione. Parla di un giovane e della sua vita nel tentativo di scrivere. Ecco l’acquisto dove diventa fobico. Tutto ciò che parla di scrivere…. Comunque i libri li vendo anche e noto che gran parte degli acquirenti che osservo come fai tu, potrebbero appartenere a coloro che li posizionano in bel vedere in sala o nel mobile che ormai serve da divisorio nei locali. La libreria (io giro volentieri la Mondadori sotto i portici del Duomo di Milano) pullula di ostrogoti e di pochi innamorati. Ma ci sono e sono sopraffini. Io mi circondo di quelli e ci chiacchiero volentieri. Invece per quanto riguarda gli scrittori siamo nel campo minato che descrivi tu, fatto delle cose che elenchi . Ma come può un buon scrittore emergere in tutto questo senza prostituirsi in qualche modo, senza dover arrivare nell’età dove la prostituzione è superata?

    Ciao alla prossima

    A.M.

  2. Giovanni Cairo scrive:

    Caro Aldo, innanzitutto ti ringrazio, per la pazienza che hai avuto nel leggere l’articolo e per il commento. Ne approfitto anche per ringraziare anche tutte le persone che mi hanno scritto in privato. Sono d’accordo con te che gli innamorati dei libri -specie in via d’estinzione e di cui faccio parte- sono rari, e ammiro il tuo esempio. Come sono certo che avrai notato, all’inizio dell’articolo pongo una distinzione tra librai e venditori di libri. Mi è caro il ricordo di una libreria dove andavo da piccolo, con mia mamma, libreria che adesso si è trasformata in libreria/bar , forse per rimanere in attivo e sopravvivere sotto i colpi delle catene di librerie), dove ci conoscevano per nome, si chiacchierava allegramente e gli acquirenti venivano coccolati e consigliati. E’ stato lì che ho fatto la conoscenza di uno dei miei autori preferiti, di quando ero piccolo e di adesso: Roald Dahl. Purtroppo luoghi così ce ne sono sempre meno.
    Quante volte mi è toccato andare in librerie del centro di Milano e venire ignorato dai dipendenti mentre cercavo aiuto (le rare volte che c’erano commessi). E’ così che sono incappato nel libro di cui parlo nel mio articolo. Immagino sia un subdolo trucco in stile supermercato, dove si mettono in luoghi introvabili i generi primari; e lo sprovveduto, nel cercarli, compra una valangata di carabattole che non gli servono realmente. Come faccio io tutte le volte che vado al supermercato.

  3. Mariaelena scrive:

    Caro Giovanni,
    premetto di essermi molto compiaciuta del tuo articolo,grazie all’ottima esposizione e coinvolgente leggerezza con cui hai esposto un problema effettivamente riscontrabile.Seguendo un lontano eco di tradizione medievale,probabilmente,penso al libro da sempre come a qualcosa di magico..in cui quello che vi è scritto,solo in quanto scritto,diviene per natura innalzato ad una dimensione superiore,alta e intoccabile in cui non esiste più un autore,un editore o un venditore,ma solo un messaggio,un personaggio,una vita,un pensiero.
    ecco..penserai che il bisogno di trascendenza sia quello che più mi anima in questo commento..ma credo che ciò che si nota ai giorni d’oggi sia proprio la perdita di quell’aura di rispetto che attorno alla letteratura si creava.Ormai settori interi del sapere,come la musica pura o la letteratura,hanno uno spazio irrisorio all’interno dell’immaginario collettivo,in quanto,soffocate dal bisogno di far fruttare il commercio,di creare bestseller e boom e qualsiasi altro record e primato di vendite e acquisti,sono costrette a serpeggiare,tenute insieme e vive da una stretta cerchia di uomini e donne,che più che estimatori definirei affezionati.Per meLa letteratura non è quella dei professori,dei nobili conti(di tradizione letteraria anch’essi)che vivono rinchiusi nei meandri di un’immensa e ricchissima biblioteca..ma l’immagine che ho dei libri sta nella loro cartacea semplicità,nei nonni che compravano i libri di favole ai compleanni dei bimbi(che romantica?beh..sfido,ora come ora,un qualsiasi nonno a fare un simile omaggio ad un pargoletto senza trovarsi di fronte a malumori e delusione)quando,come tu ricordi,si poteva trovare un negozio di soli libri,storie,per meglio dire,senza che esse dovessero essere necessariamente gettate con violenza in un calderone di marche,personaggi famosi,attricette,soubrettine,comici,
    reality,politici(dio ce ne scampi!),pubblicità e ideologie.E’ vero..era bello andare in libreria,,chiedere consiglio,darsi e trovare in sè e negli altri il tempo di scegliere con cura e calma i propri acquisti,permettersi di fidarsi degli autori e dei titoli..senza arrabattarsi dietro a bieche strategie di vendita.Per quanto riguarda la cultura del supermercato letterario..probabilmente qualcuno considera comodo fare la spesa,comprare un libro,bere un caffè e fare conversazione in un unico posto,considerando la frenetica a furiosa fretta del mondo moderno..forse però il contenitore ha soverchiato e superato il contenuto,se siamo arrivati al punto che persino tu,Giovanni Cairo,sia finito col ritrovarti un lettore traviato..anche se subito rinsavito.
    .

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