La data del 16 aprile 2007 riporta alla memoria la strage consumata all’interno del campus universitario della Virginia Tech: una ventina i feriti, 32 i morti, 33 contando anche l’esecutore degli omicidi suicidatosi prima di essere catturato dalla polizia.
A distanza di quasi due anni da quella carneficina stanno cambiando le opinioni relative alla sicurezza. Diversi studenti scelgono di agire tutelandosi attraverso il possesso di armi da fuoco nascoste all’interno dei campus, spesso col nulla osta da parte degli istituti stessi.
L’assemblea legislativa dello Stato dell’Oklahoma ha preso in considerazione la possibilità di presentare un progetto di legge che permetta “concealed weapons”, l’omissione di denuncia del possesso d’armi all’interno degli istituti universitari. L’Università dello Utah è uno fra gli undici istituti che lo consentono.
“La cosa necessaria è proteggere me stesso”, questo il mantra ripetitivo pronunciato da molti studenti.
Un sopravvissuto alla carneficina della Virginia Tech racconta l’esecuzione: “ha messo in fila tutti e ha sparato”. Il cecchino, un ventenne asiatico dal nome Seung-Hui Cho, aveva due armi corte da guerra:
- una pistola semi-automatica Glock, prodotta dalla compagnia austriaca Glock GmbH
- una pistola semi-automatica Walther P22, prodotta dalla compagnia tedesca Carl Walther GmbH Sportwaffen
Il 20 aprile 1999 alla Columbine avvenne la strage nella ormai famosa High School: 13 morti, 15 contando anche i due esecutori degli omicidi, anch’essi suicidatisi come nel caso sopra riportato.
Al criminoso gesto dei due studenti fece seguito un lungo e acceso dibattito nazionale sulla legislazione statunitense riguardante il controllo sulla vendita e la reperibilità delle armi da fuoco, nonché la loro detenzione.
L’episodio richiamò l’attenzione anche sui problemi della sicurezza scolastica, delle diseguaglianze sociali e dell’uso di farmaci anti-depressivi da parte degli adolescenti.
Mi rendo conto come questa realtà talmente anomala e distante sia inconciliabile col pensiero comune dell’opinione pubblica in Italia e proprio in questo sta lo spartiacque storico-culturale. La storia degli Stati Uniti ci dice quanto fosse di primaria importanza garantire il diritto alle armi, “diritto collettivo” di autodifesa ridotto poi nel ventesimo secolo a “diritto individuale” di detenzione di armi da fuoco. Si deve altresì considerare lo spazio di azione di cui ogni Stato gode, il potere cioè di legiferare autonomamente in materia di difesa personale.
Evitando di trattare di logiche lobbistiche, mi chiedo che tipo di scelta farei io stesso se fossi nato negli U.S.A., magari proprio in Virginia.
Non ho la risposta a questo interrogativo, dubbio assoluto di quell’antico scetticismo filosofico. Mi basta avere però un dubbio relativo per sospendere il giudizio.
L’uso è il re di tutto, ecco, questo mi sento di riaffermare. Le abitudini, le consuetudini, il costume, le dipendenze, di un popolo, di una comunità, della società.
Nel linguaggio borsistico il diritto è la facoltà di esercitare un’opzione, avvalersene spetta al singolo, in questo come in altri contesti.
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Molto interessante. segnalo che sugli aspetti scientifici della prevenzione del fenomeno dell’abuso di armi esiste in Italia il sito http://www.ricercawar.com realizzato da studiosi universitari. E’ quotidianamente aggiornato e offre una prospettiva non schierata per comprendere il fenomeno. Cordiali saluti
Grazie Carlo, ottima segnalazione, veramente molto interessante.
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