Ogni volta che sono stata in Israele ho vissuto un’esperienza diversa. Quest’ultima volta in special modo, poiché ho lavorato e vissuto a Tel Aviv per tre mesi e non ho soltanto passato le mie vacanze in Israele.
Tel Aviv è un’isola felice in uno Stato che faticosamente cerca di integrare immigranti provenienti da tutto il mondo e soprattutto comunità intere che da Paesi dell’Europa dell’est e dell’Africa sono state sradicate e trasferite in un una nuova nazione. Agli appartenenti di queste comunità, quella russa e quella etiope in special modo, son stati dati nuovi passaporti, una nuova nazionalità e naturalmente nuove vite al loro arrivo. Israele è infatti uno Stato che oltre le differenze linguistiche delle comunità di provenienza deve affrontare il crescente divario tra laici e religiosi che ha portato negli ultimi anni ad un cambiamento geoetnico e georeligioso degli Israeliani. Gerusalemme si è trasformata sempre più nella capitale di chi ha fatto della religione ebraica, e delle altre religioni, la base della propria vita e condotta civile e politica. Molto spesso anche chi lavora negli uffici governativi e nei ministeri che hanno sede a Gerusalemme abita in altre città e sceglie una vita da pendolare piuttosto che di gerosolmita poiché non si sente accolto in una città che non da spazio sufficiente alla condotta di una vita laica.
Tel Aviv è estremamente diversa da Gerusalemme. Da un lato essa rappresenta in maniera inconfondibile la storia della fondazione dello stato d’Israele e della costruzione materiale di questo paese dagli anni dieci e venti del Novecento. I primi edifici costruiti dagli Ebrei che già prima delle due guerre cominciavano a realizzare il progetto sionista di Herzel si trovano infatti a Tel Aviv. Tel Aviv si è espansa negli anni e oggi è l’indiscusso centro economico e finanziario di Israele. Tel Aviv è una città che non ha nulla da invidiare a New York o alle città europee d’avanguardia, per quanto riguarda la cultura, la musica e il divertimento. È una città giovane e vivace e in cui la religione e chi la pratica non sembrano trovare terreno per mettere radici. Spesso mi sono domandata, camminando dopo il tramondo per rehov Rotchild, la parte della città tra le più chic, in quale luogo del mondo fossi. Poi, girando l’angolo dei caffè più alla moda arredati da designer professionisti, ho sempre ritrovato il sapore del medioriente nelle bancarelle dei mercatini che vendono noci e mandorle e spezie che non si trovano da noi in Europa.
Se dovessi trovare un aggettivo per descrivere i giovani a Tel Aviv, direi che sono liberi. Sono liberi dal peso della situazione di tensione che ininterrottamente grava su Israele, poiché a Tel Aviv non sembra di essere circondati da vicini ostili, piuttosto pare che non ci sia altro fuorché Israele stesso intorno. Sono liberi dalle tensioni tra gli Ebrei laici e gli Ebrei religiosi, dal momento che questi ultimo prediligono Gerusalemme o piccole città come Cfar Chabad o Bene Berak. Addirittura nei ristoranti di Tel Aviv è spesso difficile trovare cibo Kasher, anche se questa affermazione può risultare astrusa. Il sabato, invece di essere tutto chiuso e silenzioso, i giovani di Tel Aviv passano la mattinata nei caffè e si ritrovano per il brunch. Ciò che forse più ricorda il sabato ebraico è il fatto che in questo giorno i mezzi di trasporto pubblico non funzionano, ma tale consuetudine è più una scocciatura per gli israeliani di Tel Aviv, e per i turisti, che un valore.
Ciò che pero rende davvero Tel Aviv affascinante e diversa dalle città occidentali, a mio avviso, è l’intensità con cui si vive ogni giornata. Ho avuto la fortuna di conoscere, in quest’ultima mia esperienza, dei giovani politici, giornalisti e sindacalisti impegnati naturalmente nelle attività dello Stato. La passione, l’idealismo con cui questi individui portano avanti la propria battaglia, intesa come battaglia dentro lo Stato d’Israele per migliori condizioni di lavoro, meno tasse universitarie, contro la corruzione degli alti gradi dei partiti e dell’esercito, non l’ho mai trovata nei giovani de nessun altro stato. Con ciò non voglio naturalmente dire che all’infuori d’Israele i giovani siano poco impegnati, andrei contro il buon proposito di questo articolo stesso e del giornale che lo pubblica, ma è facile notare come in uno stato giovane, quale è Israele, la possibilità reale o la speranza si poter plasmare in maniera sensibile il futuro sia più forte. Ho percepito la sicurezza della generazione che in questo momento si affaccia alla politica di poter offrire condizioni migliori per i cittadini, gli immigrati nel futuro prossimo e ho notato come vi sia una minore rassegnazione dei giovani all’impossibilita di cambiare un sistema vecchio e corrotto da troppi anni. Nonostante i problemi e le difficoltà di Israele, i giovani laici sono convinti di avere la responsabilità di non lasciare la guida politica dello Stato d’Israele a chi segue come prima legge, la Halacha, la legge ebraica della Torà e di chi vorrebbe trascinare Israele verso la religione. Inoltre la natalità è alta in Israele e i giovani sono sempre più una forza e una risorsa che non può essere ignorata.
Essere giovane a Tel Aviv significa vivere con spensieratezza da un lato, divertirsi, ma significa anche prendere coscienza che per vivere in uno Stato che segua degli ideali di giustizia e tolleranza è necessario impegnarsi fin dalla giovane età. Con la convinzione che realizzare i propri sogni è possibile.
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Bellissimo articolo Margherita.
Un solo appunto: non cediamo a chi vuol fare di Gerlusalemme la capitale dell’Israele religiosa. Nel tuo articolo sembri quasi darla per persa e invece non lo è affatto. Nei tre mesi meravigliosi che vi ho passato ricordo una gioventù libera, vitale e attaccata alla sua città non meno dei gerosolimitani ultraortodossi. Se l’Israele laica e progressita non vuole perdere la guerra per il contollo del paese non può permettersi di perdere la battaglia di Gerusalemme.
Io temo che, inconsciamente, regalare Gerusalemme ai relgiosi, sia per l’Israele laica un modo di evitare di fare i conti con il problema palestinese. Vivendo a Tel Aviv,rifugiandosi nelle sue spiagge e nei suoi locali, si può far finta di dimenticarselo. Temo che spesso dietro il fastidio per la Gerusalemme ultraortodossa si celi la ben più decisiva questione israelo-palestinese.
La gioventù israeliana, che tu hai descritto così bene e di cui entrambi siamo rimasti così affascinati, dopo tante sconfitte e tante delusioni è secondo me tentata di dimenticarsi di Gerlusalemme, di disinteressarsi della guida politica dello stato e di tenersi lontana dalla questione israelo-palestinese.
Sarebbe un errore fatale.