Il difficile equilibrismo di Obama sull’Afghanistan
Pubblicato in Attualità, Fiori
di Filippo Chiesa
Dopo mesi di consultazioni con i suoi consiglieri più stretti, il presidente Usa Barack Obama ha preso la decisione di inviare altre 30.000 truppe per contrastare il risorgere dei Talebani in Afghanistan, colpire le cellule di Al-Qaeda (soprattutto nella regione di frontiera con il Pakistan), e garantire temporaneamente la sicurezza della popolazione afgana. Nello stesso discorso, Obama ha anche annunciato l’obiettivo di iniziare a ritirare le truppe Usa dall’Afghanistan a partire dalla metà del 2011. A prima vista contraddittoria, questa strategia rappresenta l’unica possibilità di un equilibrio tra esigenze contrapposte.
Annunciare una scadenza per il ritiro delle truppe nello stesso momento in cui ne si annuncia l’invio può apparire paradossale. John McCain è stato il primo a segnalare il paradosso, affermando che porre una data per il rientro dei militari Usa rappresenta un assist per i Talebani e un duro colpo al governo di Karzai. Chi ha ragione dunque tra i due ex contendenti alla presidenza americana? Avremo una risposta solo dopo aver lasciato passare i 18 mesi che Obama ritiene necessari per ribaltare la difficile situazione su territorio afgano. Tuttavia, è già possibile tentare di interpretare l’annuncio di Obama, così come le critiche di McCain e del partito repubblicano.
Innanzitutto, le critiche repubblicane non tengono in considerazione le necessità di politica interna che il presidente si trova a fronteggiare. Obama doveva tentare di non deludere la maggioranza dei democratici (sempre più scettica sulla possibilità di portare il conflitto a termine in tempi brevi) e al tempo stesso guadagnare il consenso di alcuni repubblicani per garantire il sostegno del Congresso (che deve finanziare il rinnovo della missione). Un aumento del numero delle truppe serve a soddisfare la seconda esigenza. Annunciare una data per l’inizio della fine dell’intervento, la prima. Si tratta di un difficile tentativo di equilibrismo politico, ma anche l’unico possibile dato il sempre minor consenso di cui la missione afgana gode in Congresso e tra gli elettori.
Inoltre, il duplice annuncio è anche un tentativo di trovare un equilibrio tra i due segnali diversi che Obama ha voluto mandare alle parti belligeranti. Da un lato, fissare una data per il rientro delle truppe responsabilizza il governo afgano e le sue forze di sicurezza a prendersi responsabilità del proprio paese in tempi i più ristretti possibili. Il presidente afgano Karzai è ora consapevole di non avere l’appoggio incondizionato degli Usa all’infinto (“è finita l’epoca degli assegni in bianco”, ha detto Obama durante il discorso), e dovrà agire di conseguenza preparando il governo e il paese ad una transizione verso il pieno autogoverno. D’altra parte, annunciare una data per iniziare a ritirare le truppe è rischioso nel caso in cui 18 mesi non siano sufficienti a sconfiggere i Talebani. Obama ha quindi ammesso che l’inizio del ritiro dipenderà dalle “condizioni sul campo”. In tal modo, Obama si è lasciato aperta l’opzione di prolungare ulteriormente la missione, nel caso ci sia bisogno di più tempo per portare a termine la missione con successo. Al tempo stesso, dichiarando che il ritiro di metà 2011 sarà solo un inizio e dipendente dalle condizioni sul campo, Obama ha anche reso chiaro ai Taliban e Al-Qaeda di essere pronto a mantenere la presenza americana in Afghanistan finché la vittoria non apparirà chiara.
Il discorso di Obama ha tentato quindi di trovare due tipi di equilibrio. Uno tra le esigenze di politica interna a Washington. L’altro tra i due messaggi da inviare a amici e nemici in Afghanistan. Le decisioni del Congresso sul finanziamento ci faranno capire se le abilità retoriche di Obama saranno servite a garantirgli il consenso politico necessario. La situazione in Afghanistan ci dirà invece se la dinamica invio-ritiro avrà successo. Per ora, si può dire che, nel momento di prendere una delle decisioni che segneranno il resto della sua presidenza, Obama ha fatto il miglior uso possibile delle sue capacità retoriche per spiegare quella che molti considerano, dopo l’esempio dell’Iraq, l’unica strategia possibile per vincere il conflitto afgano: inviare più truppe per ritirarle il prima possibile.
Questo è il primo di una serie di articoli che esamineranno il primo anno di Obama da presidente. La decisione sull’Afghanistan, la riforma sanitaria, le politiche economiche e occupazionali, e le sorti del pacchetto energia-ambiente saranno infatti decisivi nel determinare il successo o il fallimento della sua presidenza.
Related posts: