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Una, nessuna, centomila nazioni: matrici culturali e differenze regionali

27 maggio 2008
Pubblicato in Attualità, Fiori
di Pamela Campa e Michel Serafinelli

Nel primo articolo (uscito ieri) abbiamo investigato le determinanti culturali di un elemento di eterogeneità specifico nel panorama italiano, quale il gender-gap; la questione delle differenze territoriali in Italia e della loro matrice culturale può essere tuttavia portata a livello più generale. Putnam (1993) documenta l’esistenza di una forte correlazione tra la performance dei governi regionali italiani e la cultura civica dei cittadini dell’area corrispondente. Come chiavi del successo del Nord sono enfatizzati i networks orizzontali (piuttosto che verticali), l’alto senso civico, e l’importanza attribuita alla sincerità, alla coesione e alla collaborazione.
Secondo Putnam l’inizio del gap culturale può essere ricondotto al periodo (1500 circa) in cui il Sud era ancorato a forti legami feudali con massiccia influenza da parte della Chiesa, mentre il Nord aveva sviluppato le città stato con varie forme di organizzazione civile.
Questo filone di ricerca ci riporta al racconto dell’esperienza di Banfield (1954) nella cittadina di Chiaromonte, in Basilicata, in cui l’autore americano conia la celebre definizione di “familismo amorale”, nonché a diversi paper più recenti.
Questo tipo di studi guarda ai problemi da un punto di vista per così dire neo-weberiano piuttosto che marxista, e la linea della “scuola di Chicago” è rimpiazzata da un approccio da economista-sociologo.
Val la pena notare che una delle grandi questioni in questo campo è quella della causalità. Entrare nei dettagli della questione esula dagli scopi di questo articolo; ma anche senza arrivare al punto da ipotizzare un impatto causale di valori e beliefs sugli outcomes economici, possiamo trarre delle conclusioni interessanti basate su un’analisi delle correlazioni portate alla luce, tra indicatori di specifici tratti culturali (ad. es. fiducia interpersonale, rispetto e tolleranza, cultura di genere) e indicatori di performance economica.
I risultati principali, se confermati dalla ricerca futura, suggeriscono che la bassa produttività di alcune aree del nostro Paese, al di là delle promesse, non sarà superata nel giro di una o due legislature. Ci vorrà molto più tempo. Le conclusioni di Tabellini (2007) sono illustrative a tal proposito. L’idea generale è che i trasferimenti monetari o gli investimenti pubblici non sono una soluzione alla scarsa produttività di alcune regioni italiane, in quanto iniziative che non mirano al cuore del problema. In altre parole, un ponte in più o in meno non dovrebbe fare un’enorme differenza. La grande questione è la sostanziale mancanza di “capitale sociale” in alcune parti del Paese. A nostro avviso queste aree potrebbero beneficiare di maggiori investimenti in educazione (che non significa università pubblica e per tutti, ma buone scuole elementari e medie) e del decentramento politico-amministrativo (per stimolare l’accumulazione di capitale sociale, appunto).
La fiducia dei cittadini tra loro stessi e nelle istituzioni può essere stimolata attraverso una proposizione di modelli positivi di governo locale, che operino in maniera trasparente, con una documentazione semplice e precisa di obiettivi e risultati; e che, dove possibile, coinvolgano il cittadino nella progettazione e implementazione degli interventi nel territorio, promuovendo attività ad “alto contenuto civile” quali la raccolta differenziata, il volontariato, la gestione di un turismo sostenibile, la valorizzazione del patrimonio artistico-culturale.
Infine Tabellini (2007) suggerisce un’ulteriore implicazione delle ricerche di cultural economics, riproposta dallo stesso autore sul Sole24Ore di qualche giorno fa: nelle aree a più bassa produttività dovrebbe essere pagato un salario più basso. Questa idea è piuttosto chiara da un punto di vista dell’efficienza (basata sul piu classico principio di marginalità) ma spesso politici e sindacati se ne dimenticano. Un singolo salario nazionale potrebbe rendere difficile la crescita delle imprese nelle aree più povere del paese. Una disoccupazione più alta non farebbe altro che portare avanti nel tempo caratteristiche come bassa fiducia in se stessi e negli altri, scarso rispetto delle istituzioni, l’idea che l’individuo non abbia pieno controllo della propria vita, insomma quei tratti culturali che potrebbero essere alla base della bassa produttività stessa. Ovviamente la nostra idea è che questi interventi di adeguamento dei salari alla produttività debbano essere seguiti e accompagnati da misure per far crescere la produttività stessa nelle aree più povere del Paese, con investimenti in innovazione, incentivi all’imprenditorialità, in modo da poter agire non solo sul sintomo ma anche e soprattutto sulla malattia.

“Intervenire” sul sostrato culturale di un territorio sembra ed è compito arduo, e richiede forme di intervento forti e non scontate. La lontananza dell’obiettivo non deve scoraggiare l’impresa; al contrario, deve essere un monito a partire in fretta, perché c’è tanto da fare, ed il sogno di un Paese più coeso non sembra più voler aspettare. “Abbiamo fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia!”.

Per saperne di più:

Almond G.A. and S. Verba (1963) “The civic culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nations” Princeton, NJ: Princeton University Press.

Banfieild, E. C. (1976), Le basi morali di una società arretrata. Con la collaborazione di Laura Fasano Banfield. Nuova ed. di Una comunità del Mezzogiorno / seguita dagli interventi di F. Cancian …[et al.]; a cura di Domenico De Masi. Bologna : Il Mulino, 1976.

Knack, S., Keefer, P. (1997), “Does Social Capital Have An Economic Payoff? A Cross Country Investigation”, Quarterly Journal of Economics, 112/4, 1251-1288.

Platteau, J.P. (2000), “Institutions, Social Norms, and Economic Development”,
Harwood: Academic Publishers & Routledge.

Putnam, R. D., Leonardi, R., & Nanetti, R. (1993). “Making democracy work: Civic traditions in modern Italy.” Princeton, NJ: Princeton University Press.

Roland, G. (2006) “Understanding Institutional Change: Fast-Moving and Slow-Moving Institutions”, mimeo Berkeley University

Tabellini G. (2007a) “Culture and institutions: economic development in the regions of Europe” Mimeo, Bocconi University



2 Responses to “Una, nessuna, centomila nazioni: matrici culturali e differenze regionali”

  1. Davide Crapis scrive:

    Complimenti per l’articolo, è un argomento molto interessante e mi ha colpito soprattutto l’approccio positivo e propositivo rispetto ai temi analizzati. Ho letto anch’io il libro di Putnam e la sua analisi, riproposta nell’articolo, mi sembra quantomai attuale; sapete se c’è anche una versione in italiano(i nostri “amministratori” potrebbero leggerlo e rendersi finalmente conto che non basta una “cassa per il mezzogiorno” o una “Banca del Sud” per avviare un processo di sviluppo sociale prima che economico)?
    Siccome mi piacerebbe approfondire un po’ l’argomento sapreste dirmi se i paper di Tabellini sono disponibili liberamente su internet?

  2. PAMELA E MICHEL scrive:

    caro davide,

    grazie per il commento.
    ci troviamo d’accordo sulla tua valutazione della “cassa per il mezzogiorno” o della “Banca del Sud”

    quanto alle tue domande

    1) a questo link

    http://www.igier.uni-bocconi.it/whos.php?vedi=327&tbn=albero&id_doc=177

    puoi scaricare liberamente 2 papers che potrebbero interessarti

    a) Institutions and Culture – Presidential Lecture given at the EEA meetings in Budapest, revised
    November 2007

    b) Culture and Institutions: Economic Development in the Regions of Europe

    2) per Putnam, R.D., Leonardi, R., Nanetti, R.Y. (1993)

    la trad. it. c’è: “La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano”

    a presto, grazie

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