Varcata la soglia dei sessant’anni, Jane Birkin pare più attiva che mai. Dopo una carriera da attrice durante la quale ha recitato in più di cinquanta film in un’alternanza di pellicole indipendenti e lavori di grandi registi (da Antonioni, che la scelse per Blow up, a Rivette) con alcune incursioni nel mondo del teatro, recentemente Jane ha debuttato alla regia dirigendo il film autobiografico Boxes, presentato a Cannes nel 2007. Sul versante musicale invece, la “scandalosa” interprete di Je t’aime, moi non plus si era sino ad oggi divisa tra ballate di Serge Gainsbourg (talvolta riproposte in versioni originali e di successo, come nel caso del disco Arabesque) e collaborazioni interessanti. Nell’album Rendez-vous ha duettato con interpreti disparati, passando da Françoise Hardy a Manu Chao, da Paolo Conte ad Alain Souchon. Nel successivo album Fictions invece Jane era solista e le canzoni erano state appositamente scritte per lei da Rufus Wainwright (la spensierata Waterloo), Beth Gibbons, Arthur H, Tom Waits, Kate Bush. Inoltre fu sempre lei a curare il progetto Gainsbourg Revisited, per commemorare i quindici anni della scomparsa di Serge, e per l’occasione coordinò un’eclettica schiera di interpreti (Jarvis Cocker, Marianne Faithfull, Carla Bruni, Portishead, Michael Stype, Franz Ferdinand) che hanno riadattato le più celebri canzoni di Gainsbourg in inglese – con tanto di I love you, me either, una cover “lesbica” affidata a Cat Power e Karen Elson. Ora, nel suo ultimo disco Enfants d’hiver, Jane si è cimentata per la prima volta con la stesura dei testi.
Probabilmente sentendo un forte impulso a guardare indietro (una sorta di autobiografia multiforme iniziata col film Boxes, nel quale, accanto a Michel Piccoli, Geraldine Chaplin e sua figlia Lou Doillon, Jane recitava nel ruolo di se stessa) l’album si propone in forma molto riflessiva. Su semplici melodie appositamente scritte per lei e per il suo progetto autobiografico – fra gli altri anche da Alain e Pierre Souchon – Jane crea un disco di grande candore. A cominciare dalla copertina e dal libretto, in cui troviamo vecchie foto di famiglia. Jane Birkin apre la scatola dei ricordi e non guarda agli anni del successo, non guarda agli anni Settanta in cui era un’icona di stile (e lo è rimasta sino ad oggi, basti pensare all’omonima borsa di Hermès), ma guarda all’infanzia. Figlia dell’ufficiale David Birkin e dell’attrice Judy Campbell, famiglia molto British con forti legami con l’aristocrazia, ripensa ai giochi d’infanzia con i fratelli Andrew (il regista) e Linda. Ma lo canta in francese, la sua seconda lingua. Forse per creare un certo distacco dai luoghi e dalle persone, forse perchè abituata al vocabolario di Serge Gainsbourg (la cui presenza, inevitabilmente, aleggia anche su questo disco). Da un lato in Enfants d’hiver, la canzone che dà il titolo all’album, vengono evocate “les plages noirs” dell’isola di Wight, sfondo delle indimenticabili vacanze estive – Jane ricorda quel tempo in cui lei e i suoi fratelli prendevano le biciclette all’alba e vivevano l’avventura di una giornata di vacanza – e sospira: “C’était génial”. Dall’altro in Period bleu troviamo la Bretagna: “Il y a un carnet qui dispose de belles images de nous en Bretagne”. E il vento sulla spiaggia.
Nel disco troviamo anche un segno del suo impegno civile, con la canzone Aung San Suu Kyi. Dedicata alla leader dell’opposizione al regime che opprime la Birmania, alla melodia si alterna il parlato (in inglese): fatti, date, rapporti di Amnesty International. La canzone si conclude semplicemente: “This is a plea for Aung San Suu Kyi”. Un’altra causa per la quale Jane è impegnata è Anno’s Africa, in memoria del nipote Anno Birkin (figlio di Andrew) prematuramente scomparso nel 2001 in un incidente stradale a Milano insieme a tutti gli altri componenti della sua band, Kicks joy Darkness. Oltre ad essere musicista Anno era anche poeta ed i suoi testi, fra cui alcuni particolarmente intensi, sono stati raccolti nel libro Who said the race is over?. Attraverso la fondazione a lui dedicata vengono attuati progetti di educazione musicale in Africa. Jane sempre impegnata, non per posa ma per convinzione; un entusiasmo à la Joan Baez, con le dovute differenze.
Nel disco aleggia una malinconia piacevole. Jane Birkin si affida alla memorie d’infanzia per scrivere i testi e si siede in attesa che un fantasma le faccia visita (nell’ultima canzone del disco, Je suis au bord de ta fenêtre). Eterea, come il profumo che ha creato per sé insieme a Miller Harris, dall’impalpabile nome “Air de rien”.
Con Enfants d’hiver ci ha condotti in un mondo fatto di visioni e di ricordi. Jane sulla spiaggia della Bretagna, accompagnata dal fedele bulldog Dora, senza i suoi amanti, sola, guarda verso l’Inghilterra. Scalza, un paio di jeans, i capelli corti su un viso solcato dalle rughe e sempre molto affascinante.