AttualitàOpinioniSegnalazioniDossierNausicaa LabAssociazione CulturaleEventi

La festa del ritorno, il carnevale

18 marzo 2009
Pubblicato in Attualità
di Thomas Villa

la-festa-del-ritorno-immagineLa Palma, isole Canarie. Mare, sole e vacanze. Ma forse, anche qualcosa di più.
Vi parlerò del Carnevale, di quello che ho visto e sentito in un carnevale molto originale ed interessante dal punto di vista sociale e culturale.
Ben più piccolo del carnevale della vicina isola di Tenerife (che secondo molti è a livello del carnevale di Rio, pur con minore violenza e criminalità), anche l’affascinante isola di La Palma custodisce un’allegra tradizione carnevalesca.
Ed è più interessante di quel che ci si potrebbe aspettare dalla festa del dio carnale, infatti, nell’isola de La Palma i festeggiamenti si legano a tematiche dure e drammatiche come quelle dell’emigrazione. Nell’isola infatti si festeggia a carnevale la festa di Los Indianos, con il quale nome si intende la festa dedicata alla commemorazione del ritorno dei Canari che andarono nel secolo scorso a cercare fortuna nel Nuovo Continente, ed in particolar modo nella fertile Cuba. “Indianos”, ovviamente, si riferisce alle Americhe di Cristoforo Colombo, cioè le Indie. A fasi alterne si verificarono migrazioni reciproche tra le Sette Isole e l’America centrale. I migranti, dopo l’esperienza all’estero, tornavano arricchiti di nuove esperienze, conoscenze e di umanità. Molto numerosa è la comunità canaria in paesi come Venezuela e Cuba, ed incredibilmente numerosa è oggigiorno la comunità cubana, venezuelana ed ecuadoregna nelle Canarie. In seguito a vicende come il franchismo (che proprio da Tenerife iniziò la sua tragica avventura totalitaria), si verificò una forte migrazione dalle isole Canarie al Nuovo Continente. Con la fine della seconda guerra mondiale, la Spagna ebbe un breve periodo di discreta floridezza economica, pur sotto la cappa di Francisco Franco, detto il Generalisimo. Fu in questa occasione che numerose famiglie oriunde della isola di La Palma decisero di abbandonare una Cuba devastata dalle lotte intestine e dai ripetuti colpi di Stato per tornare nell’isola natale.
Una volta ritornati, i “palmeros” furono accolti dal lancio entusiasta di farina, come auspicio di benessere e ricchezza futura. “Los Indianos”, ovvero gli emigranti che lasciarono le Canarie, vestiti con i loro abiti di elegante lino bianco, con i cappelli di paglia intrecciata e con i loro “puros” (sigari cubani), ricambiarono l’accoglienza con delizie culinarie e gastronomiche.
Questo ritorno, avvenuto attorno al carnevale di più di cinquant’anni fa, viene ancora oggi rivissuto con allegria, vitalità ed orgoglio sia dai Cubani che dai Canari. Una festa molto rara, in Europa e nel mondo, perché festeggia e vuole ricordare il fenomeno dell’immigrazione, altrove visto come un fenomeno pericoloso, dannoso ed assolutamente da evitare e contrastare in ogni modo.
Lo dovremmo sapere bene noi italiani, che dall’eclettismo etnico abbiamo da sempre fatto un punto di forza nelle nostre creazioni (vi immaginate la pasta senza l’americanissimo pomodoro? Spesso il valore dell’integrazione si inizia a comprendere in cucina!).
Non arrendiamoci alla paura del diverso, del cambiamento, al terrore del viaggio. Siamo bombardati da messaggi univoci che condannano l’apertura come dannosa. La migrazione porta criminalità e violenza, la fuga dei cervelli è da bandire, gli studenti all’estero si ubriacano…ecc ecc…
In realtà, il cammino attraverso quelle evanescenti linee immaginate da comunità più o meno coese (note come confini) è qualcosa di profondamente ed indissolubilmente scritto nella natura umana.
Per fortuna.



3 Responses to “La festa del ritorno, il carnevale”

  1. Vincenzo Ruocco scrive:

    Thomas, grazie. Articolo molto interessante, di rapida lettura ma non per questo privo di quella profondità e dell’attenzione che sai mettere ogni volta. Leggerti è un piacere.

    Vincenzo

  2. Drey scrive:

    Una bellissima descrizione del carnevale delle Canarie e del suo significato. Complimenti. Leggero ed efficace.

    Ci sarebbe bisogno di una mentalità carnevalesca anche nei nostri altri paesi europei (Italia in primis). Nel migliore stile dionisiaco, il discioglimento delle gerarchie (non sarebbe male, per levarsi di torno la Casta), una dissolutezza ma soprattutto apertura mentale verso il cambiamento. Si potrebbe dire che la società italiana é già una carnevalata di per sé, a volte. Specialmente nell’arte di lamentarsi senza in realtà produrre nuove idee per i cambiamenti. Un nuovo moderno carnevale, allora! :D
    Però tu dici: “Lo dovremmo sapere bene noi italiani, che dall’eclettismo etnico abbiamo da sempre fatto un punto di forza nelle nostre creazioni”. Dici? Ne abbiamo fatto un punto di forza, ma siamo stati abili nel NON sottolineare l’eclettismo etnico e l’integrazione in realtà. Mantenendo il tuo esempio, quanti italiani sanno che la pasta al pomodoro non esisterebbe, senza la Cina e l’America? Davvero gli italiani sono abili nell’eclettismo etnico? Secondo me invece siamo ancora in buona parte come ricci chiusi. Teniamoci sul tema cucina: ne conosco molti di italiani che, in vacanza all’estero (e non parlo di soggiorni di un anno o più, ma di una o due settimane) preferiscono andare al ristorante italiano che provare la cucina locale. (A questo in realtà si devono sommare gli spagnoli, che della chiusura mentale rispetto al cibo non loro ne hanno fatto un’arte). Ovvio, sto facendo forse dell’erba un fascio, e mi sono ritrovato a parlare solo di cucina. Ma come dici tu, “Spesso il valore dell’integrazione si inizia a comprendere in cucina!”.

  3. thomas scrive:

    Ciao Andrea!
    Guarda io proverei anche ad ampliare un po’ di piu’ il tuo ragionamento:
    Gli italiani (anzi, noi italiani!) siamo spesso del tutto inconsapevoli di cosa
    realmente siamo e che cosa ci determina.
    Questo ci porta ad avere un’atteggiamento estremamente scettico nei nostri confronti,
    che di fatto impedisce la nascita di un forte sentimento condiviso.
    Come puo’ un paese amarsi se non si conosce??
    Riguardo alla tua domanda se siamo davvero abili nell’ecelttismo etnico,
    la mia risposta è positiva, ma riconosco che devo specificare meglio la frase.
    I migliori risultati, le migliori scoperte e le migliori innovazioni che abbiamo dato al mondo
    (spaghetti alla carbonara a parte…) sono frutto di un comportamento e di una mentalita’ aperta, geniale e creativa,
    che a mio avviso è parte del nostro piu’ autentico carattere nazionale.
    Certo, cio’ non toglie che il 99% per cento degli altri italiani possano anche essere dei ricci chiusi,
    ma di fatto il meglio lo abbiamo dato quando ci siamo aperti e abbiamo insegnato anche agli altri come aprirsi.
    Essere consci di questi fatti, essere consi di chi realmente siamo e di che cos’è il nostro autentico spirito nazionale
    ci permetterebbe di risollevarci molto piu’ facilmente da questa impasse in cui stiamo cadendo…
    Ma, pensandoci meglio, forse anche questo puo’ essere ricondotto alla tavola:
    Forse siamo un popolo di ubriaconi!! ;-)

LASCIA UN TUO COMMENTO


Messaggio