Nessuna giustizia senza ecologia  Facebook 

aprile 30th, 2009  |  Pubblicato in Segnalazioni  |  1 Comment di Michelangela Di Giacomo

logoDal 20 Aprile al 6 maggio si tiene presso la Facoltà di Scienze Politiche e la Scuola Superiore Santa Chiara dell’Università di Siena un ciclo di seminari del Prof. Sachs del Wuppertal Institute intorno al tema “Conoscere il territorio”, storia e governance ambientale.
Nel primo incontro il relatore ha disegnato una prospettiva diretta alla costruzione di un’“economia leggera di risorse”, raggiungibile attraverso le tre vie della sostenibilità – dematerializzazione, rigenerazione, moderazione.
Nella seconda lezione, cui ho partecipato, si è collegata questa esigenza della trasformazione ecologica delle economie industriali con il nesso ambiente-giustizia sociale, a partire da una concezione dello sviluppo come costruzione sociale e culturale, come un’idea più che una tecnica.

logo-santa-chiaraNel discorso di Sachs sono stati sollevati tantissimi spunti per una riflessione non solo geografica, ma per l’intero sistema culturale euroatlantico. La storia, le scienze sociali, la politica anzitutto sembrano dover prendere maggior coscienza del risultato di analisi portate avanti da anni dagli studiosi intorno ai temi della praticabilità del sistema di sviluppo cui siamo abituati. Mi sembra si tratti di rivedere tutta la legittimità del percorso industrialismo-capitalismo e di cambiare dei paradigmi culturali, politici ed economici radicati da secoli che, al di là della diatriba liberismo, keynesismo, socialismo, si sono incentrati sostanzialmente su una visione “egoistica” della crescita. Laddove forse la via della “decrescita” in stile Latouche non appare praticabile, dato che prima dell’innovazione tecnologica la speranza di vita era notevolmente più bassa e dunque appare impossibile ritornare ai modelli produttivi precedenti, quale dev’essere il cammino di una distribuzione delle risorse che rispetti il pianeta e tutte le popolazioni che ci vivono, garantendo ad entrambi una dignitosa sopravvivenza?
Il discorso di Sachs si è sviluppato attraverso sei punti, che tenterò qui brevemente di riassumere.

1) Europa – un caso speciale
La domanda di partenza è: come mai fino ad alcuni anni fa l’Europa emergeva come la “civiltà egemone”, “il contenente superiore”? In chiave storico-ambientale la risposta può essere incentrata attorno a due componenti: colonie e carbone. Fino alla fine del XVIII sec. le civiltà erano più o meno equilibrate, anche ai livelli più alti, ossia a livello di Cina ed Inghilterra. Entrambe le società, tuttavia, si dovevano scontrare con una barriera ambientale, cioè con la scarsa disponibilità di terra e di risorse conseguenti. La Gran Bretagna fu in grado di superare questa barriera importando risorse attraverso un sistema di colonie che costituivano degli “ettari virtuali” e sfruttando le possibilità della “terra virtuale”, del sottosuolo, ossia le foreste fossili di carbone. Il gap  si creò dal momento in cui la Gran Bretagna, a differenza della Cina, si dimostrò capace di mobilitare risorse nella vastità dello spazio geografico e dalla profondità del tempo geologico. Dal XIX secolo, dunque, il mondo cominciò a polarizzarsi, fino ad arrivare agli attuali macroscopici squilibri.

2) L’era dello sviluppo
Oggi sembra naturale parlare di paesi “sottosviluppati” ma il concetto di “sviluppo” nacque solo nel 1949, quando Truman, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, chiamò la metà della terra “un’area sottosviluppata”. Da allora, l’“era del colonialismo” fu sostituita dall’“era dello sviluppo”, che a sua volta dopo l’’89 ha lasciato il passo all’“era della globalizzazione”, anch’essa ormai in via di esser superata da un qualcosa ancora in gestazione. Il concetto di “sviluppo” come lo si è inteso nel secondo dopoguerra ruotava attorno a tre punti. Anzitutto si basava su una “cronopolitica”, ossia su una sola storia globale nella quale il futuro risultava più importante del presente, come se tutte le nazioni stessero correndo in un’unica direzione lungo un’unica strada. Nei 200 anni precedenti “sviluppo” era una parola intransitiva, ossia una società “si sviluppava”. Da allora divenne transitiva, per cui un paese poteva “essere sviluppato” dall’esterno, attraverso la tecnologia e le strategie sociali. Da ciò derivava la necessità di una misurazione della posizione in questa “corsa” delle varie nazioni. Dagli anni ’40 tale classifica fu costruita in base al PIL (pro capite) per cui era possibile vedere il divario tra paesi ma al prezzo di accomunare esperienze diversissime, tralasciando ideali e aspirazioni delle varie nazioni, in nome della valutazione delle capacità di produrre PIL elevati. In terzo luogo, costruito così il mondo, c’era il chiaro imperativo per cui i paesi che venivano dietro dovevano raggiungere i primi della lista.

3) Il dilemma dello sviluppo
L’epoca dello sviluppo ha portato una “promessa”, esaudita per molti paesi, in particolare negli ultimi 20 anni, durante i quali la geografia economica del mondo è cambiata e sono emersi nuovi paesi che mostrano un notevole successo in termini di sviluppo. Se si considera il solo termine del PIL la disuguaglianza tra nazioni è cresciuta comunque in questi anni, ma se si aggiunge il dato della popolazione non si può più dire che “lo sviluppo non ha funzionato”, posto che è aumentato il PIL di paesi con una popolazione molto numerosa (Cina, India). La Cina in tal senso è un “allievo brillante” dell’era dello sviluppo, poiché ha grandemente combattuto la povertà assoluta (diminuita dagli anni ’80 ad oggi dall’ordine di grandezza del 30% al 6%, misurata in termini di denaro). Ciò fa capo anzitutto ad un concetto profondo di giustizia, non in senso di distribuzione della ricchezza ma in senso di riconoscimento, di rispetto. La Cina, in altri termini, sa che non può più permettersi di restare povera se non vuol rischiare un nuovo colonialismo, desidera un riconoscimento – quindi una giustizia – e pensa di ottenerlo attraverso lo sviluppo. C’è tuttavia da considerare anche la differenza tra povertà (misurata in termini monetari come soglia di reddito, concetto assoluto) e la disuguaglianza (cioè la distanza tra il reddito dello strato superiore e di quello inferiore, dunque relativo). La povertà dunque è anche esperienza, misurazione soggettiva, ossia in termini assoluti può essere diminuita la povertà ma, aumentando la disuguaglianza, molti si sentono più poveri di quel che in realtà non siano. Il che chiama in causa anche un sistema di crescita basato sull’induzione di bisogni.
Il dilemma dello sviluppo a questo punto è: la civiltà euroatlantica ha guadagnato la supremazia, in base alla propria esperienza ha costruito uno standard e ha modellato l’immaginario del mondo intero secondo il proprio; ma se le condizioni che hanno portato all’ascesa della civiltà euroatlantica (colonie ed energie fossili) diventano sempre minori e il numero degli attori internazionali che desiderano imitare il modello euroatlantico aumenta, come gestire i conflitti che ne deriveranno?

4) Conflitti
I conflitti dunque saranno a breve inevitabili, dettati dal fatto che i bisogni tendono a diventare molto simili – dunque aumentano i concorrenti alle stesse mete -, dalla finitezza delle risorse e dalla conseguente rivalità. Appurato che le risorse non sono abbastanza, questione cruciale è dunque a chi appartengono le risorse e chi può accedervi. Più si accentua la rivalità, ossia più una società raggiunge i limiti di carico della Terra, più i più deboli tenderanno ad essere marginalizzati. Perciò la questione ecologica si traduce sempre in una questione sociale. Ci saranno dunque sempre più conflitti tra nazioni e conflitti per la sopravvivenza. I primi, massimo esempio le guerre per il petrolio,  derivano dalla combinazione di desiderio generalizzato per alcune materie, di finitezza di tali risorse, dell’arrivo di nuovi soggetti che rivendicano il diritto ad accedervi. La domanda che ne deriva è: che cosa succede con tutti i paesi che non hanno né petrolio né soldi per acquistarlo e che già oggi devono spendere la maggior parte delle proprie risorse per tali rifornimenti? La finitezza delle materie prime ne genera inevitabilmente un aumento del prezzo, il che a sua volta porta ad un ulteriore impoverimento dei paesi più deboli che non hanno potere d’acquisto per affrontare la scarsità delle risorse e la conseguente rivalità. I conflitti, dunque, si generano ancor prima della crisi dell’ecosistema. I conflitti per la sussistenza assumono invece le più svariate forme. Da un lato si può considerare il caso dello spazio vitale di popolazioni che vivono in territori che diventano produttori di risorse, come ad es. nella Selva dell’Uruguay, di recente diventato esportatore di petrolio. Si confrontano le necessità dell’economia internazionale (ossia di una domanda di consumatori molto lontani ma con forte potere d’acquisto) e quelle dell’economia di sussistenza di popolazioni da tempo radicate in un dato territorio, che viene trasformato per le necessità della produzione. Un secondo aspetto deriva dalle conseguenze del caos climatico. Da un lato, esse colpiranno le popolazioni più fragili, con economie prevalentemente agricole, che, a causa della scarsità progressiva del suolo e dell’acqua, rischieranno di doversi spostare su altri territori. Dall’altro, ad esempio, l’aumento del livello del mare potrà ripercuotersi sui 600 milioni di persone che vivono a 1mt s.l.m. nel pianeta, a loro volta costrette a spostarsi. Spostandosi, inevitabilmente incontreranno altre popolazioni, dando luogo a conflitti che apparentemente potranno sembrare di natura etnica, ma in realtà sono conflitti sulle risorse.

5) Nessuna giustizia senza ecologia
Da tutto ciò, deriva che esistono due tipi di giustizia. Nei conflitti tra nazioni entra in gioco la giustizia “distributiva”, un concetto relativo in cui la prospettiva utopica è parlare di uguaglianza. Ma non uguaglianza di reddito, prodotti e stili di vita, che implicherebbe sacrificare la diversità e la libertà in nome dell’uguaglianza, ma uguaglianza di libertà. La prospettiva dovrebbe essere una situazione in cui nessun paese possa infrangere sistematicamente lo spazio di libertà di un altro, ossia una ristrutturazione dei paesi sovraconsumatori affinché essi non premano più sullo spazio naturale di altri paesi. Ma esiste anche una giustizia in senso di riconoscimento di diritti (umani, economici, sociali, politici), che si basano su un concetto non comparativo. L’utopia implicita diventa quella della dignità umana. Nessun paese, dunque, ha il diritto di far peggiorare sistematicamente la situazione dei meno privilegiati, ossia il sovraconsumo di risorse pone non solo un problema di giustizia distributiva ma anche di diritti umani.

Il futuro sviluppo dovrebbe quindi basarsi lungo i due filoni della contrazione dell’uso di risorse da parte di paesi sovraconsumatori e della convergenza dei paesi “sottosviluppati” per raggiungere livelli di crescita elevati attraverso percorsi diversi da quelli dello “sviluppo”, dando luogo così ad un livello sostenibile di sfruttamento del pianeta e di iniquità.

Scuola Superiore Santa Chiara
via Valdimontone 1, 53100 Siena, tel. 0577-235940/53

CALENDARIO

Aprile

20 Aprile     ore 10.15 Le tre vie della sostenibilità – dematerializzazione, rigenerazione, moderazione (Auditorium Scuola Superiore Santa Chiara).

21 Aprile     ore 15.00 Workshop: Fonti e metodi per la ricerca ambientale, Facoltà di Scienze Politiche.

29 Aprile    ore 10.00 Ambiente e giustizia sociale ovvero la vocazione cosmopolita  dell’ecologia,  Facoltà di Scienze Politiche.

30 Aprile    ore 15.00 Seminario interdisciplinare. Futuro sostenibile e territorio.
Intervengono Prof. Wolfgang Sachs, Prof.ssa Maria Tinacci Mossello dell’Università di Firenze, Prof. E.Tiezzi, Prof. Simone Neri Serneri, Prof. Fabio Berti (Auditorium Scuola Superiore Santa Chiara).

Maggio

5 Maggio     ore 15.00 Fra decrescita e green new deal: proposte per un’economia sostenibile (Auditorium Scuola Superiore Santa Chiara).

6 Maggio    ore 10.00 Workshop. Dibattito aperto con gli studenti, Facoltà di Scienze Politiche.



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Commenti

  1. Nessuna giustizia senza ecologia - Il Tamarindo says:

    aprile 30th, 2009 at 05:54 (#)

    [...] Vai a vedere articolo:  Nessuna giustizia senza ecologia – Il Tamarindo [...]

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