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Le battaglie degli immigrati

25 febbraio 2010
Pubblicato in Attualità
di Laura Zunica

vetro rottoL’ennesima notizia di cronaca per le strade di Milano, simile a molte altre notizie, che si ripetono sempre più spesso e sempre più uguali, notizie che non avrebbero quasi bisogno di commenti, per quanto sono diventate tristemente parte delle routine urbane.
Un’altra guerriglia civile scatenatasi nella periferia nord-est della capitale lombarda, in Via Padova, tra gruppi di diverse origini che popolano le multietniche strade del Bel Paese. Come spesso capita, anche questa volta il dramma è stato scatenato da una parola sbagliata di troppo, un insulto nato da un futile incidente, che però si somma al cumulo di frustrazioni generate dalle condizioni di vita precarie in cui questi immigrati vivono: condizioni degradanti e ai margini della società che, come in un circolo vizioso, rendono sempre più difficile la loro integrazione.
Questa volta la vittima si chiama Ahmed Abdel Aziz El-Sayed Abdou, giovane immigrato di origini egiziane di neanche vent’anni. L’insofferenza che sta emergendo non è più tra immigrati e cittadini, ma trova terreno sempre più fertile tra le diverse etnie che popolano le metropoli italiane. Nello specifico, l’omicidio del giovane egiziano avviene per mano di un gruppo di peruviani. Per il futile episodio che ha generato il dramma, il quartiere si è istantaneamente trasformato in campo di guerriglia urbana tra sudamericani e nordafricani. Come inevitabile effetto a catena sono insorti gli abitanti del quartiere che, al colmo dell’esasperazione per una convivenza sempre più difficile con gli immigrati, hanno reagito a loro volta scagliando da balconi e finestre oggetti, gridando agli immigrati di “tornarsene a casa”. L’intervento immediato delle autorità è bastato solo ad evitare ulteriori danni, ma la calma è meramente momentanea. Per trovare soluzioni reali a questi episodi d’intolleranza è necessario scavare più a fondo, nelle radici di questa violenza.

Questo scenario infatti è come la punta di un iceberg. Si legge continuamente sui giornali che in qualche strada periferica di qualche metropoli italiana insorgono semi-guerriglie e disordini i cui principali attori sono gruppi di etnie diverse, immigrati (legalmente o meno) in Italia. La maggior parte delle volte questi episodi tragici scaturiscono da parole maleducate o piccoli gesti sconsiderati: questi stessi episodi in un tessuto sociale di tolleranza si spegnerebbero sul nascere. Il fatto che da cosi piccoli episodi nascano disastri di  dimensioni sproporzionate, porta ad interrogarsi sui veri motivi esulle vere cause scatenanti. Sicuramente alla base c’è molta frustrazione che genera violenza da parte degli immigrati, e intolleranza da parte dei cittadini, dando origine a un circolo d’odio. Ancora oggi per gran parte dei cittadini italiani è difficile accettare l’immigrato, colui che lascia i luoghi d’origine perché non offrono opportunità per una vita decorosa.

In Italia si dibatte molto sull’integrazione e sul dialogo interculturale, tuttavia siamo ancora lontani da praticare un accettabile livello di civile convivenza. Siamo ancora troppo impregnati da pregiudizi e stereotipi; per esempio ci preoccupiamo che gli immigrati ci sottraggano il lavoro, quando ormai dovremmo tutti capire che non è cosi. Quando le aziende italiane assumono immigrati, spesso lo decidono per ripiego, perchè manca la forza lavoro italiana. All’immigrato sono frequentemente affidati lavori definiti di “seconda classe”: imprese di pulizie o spazzini, camerieri o sguatteri tutto fare, lavori manuali di ogni genere e l’immigrato accetta di buon grado l’opportunità di poterguadagnare il danaro da mandare a casa per mantenere la famiglia.
Molti di noi hanno “collaboratori domestici” che possiedono lauree in medicina o ingegneria, che sono infermieri o aviatori ma che non possono lavorare nei loro Paesi per cause di forza maggiore: non ci sono possibilità lavorative o ci sono guerre in corso, e allora vengono nei paesi del “primo mondo” raccogliendo qui le briciole di lavoro che avanzano. Gli italiani non vogliono “abbassarsi a professioni umili”. Eppure noi italiani dovremmo essere i primi a comprendere le condizioni da cui questi immigrati provengono. Nel secolo scorso, non sono stati forse i nostri bisnonni e nonni che, per mancanza di lavoro e sopportando grandi sacrifici, sono emigrati a ondate nel nuovo continente, ma non solo, in cerca di ricchezza e fortuna?  Nel secolo scorso gli emigranti italiani si sono trovati nelle medesime condizioni nelle quali si trovano questi immigrati oggi; li muoveva lo stesso bisogno di trovare una vita decorosa e la possibilità di mantenere la famiglia.

In questo enorme dramma di intolleranza e di violenza da parte di gruppi di immigrati anche noi italiani giochiamo il nostro importante ruolo, non l’unico ma sicuramente un ruolo di peso. Dovremmo riconsiderare le nostre posizioni rendendoci conto che queste persone sono individui che provengono da realtà disastrose, non sono mossi da cattive intenzioni verso gli italiani, cercano solo delle opportunità per provvedere alle loro famiglie, o cercano la stabilità che i Paesi da cui provengono, al momento, non sono in grado di offrire. Del resto, non sono storicamente stati forse gli occidentali spesso la causa delle pesanti condizioni post-coloniali e post-belliche, nelle quali i paesi che ora chiamiamo “in via di sviluppo” si sono trovati?
Nessuno possiede la soluzione per migliorare l’attuale scenario dall’oggi al domani, ma se ognuno di noi, con un autentico esame di coscienza, facesse la propria piccola parte di questo lungo percorso, l’integrazione potrebbe trasformarsi da qualcosa di remoto e di cui si parla tanto, ad un fenomeno diquotidiana normalità, e gli episodi di rabbia e violenza diverrebbero, al contrario, l’eccezione.



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