Web 2.0 e social network-mania: i rischi sono alti
Di Carolina Saporiti • 13 gen 2010 • Categoria:Società • 2 CommentiSocial network. È questa una delle parole più usate nel 2009. Tutto sembra ormai succedere in rete o meglio sulle pagine degli utenti dei vari Facebook, MySpace, Twitter & Co. Se non hai un profilo web, per molti, non sei nessuno. Da due anni a questa parte il fenomeno non riguarda più solo i giovani, ma anche gli adulti. 40 e 50enni che, incuriositi, si sono lanciati nel mondo virtuale e che ora sembrano non poterne fare a meno.
Ma per fare cosa? La domanda sembra banale visto l’elevato numero di persone che credono che i social network siano delle macchine infernali che tengono occupate ore della giornata senza portare a nulla, se non a una percezione distorta della realtà. Ma esplorando questo mondo le cose sembrano diverse. Il web 2.0 di cui tanto si parla, ossia quello in cui gli utenti possono non solo consultare pagine, ma anche contribuire e creare nuovi contenuti, raccoglie siti di interazione di ogni genere: esistono business social network per le aziende (linkedin.com e plaxo.com), quelli per commemorare i defunti (funeras.it) ed è ora comparsa la versione italiana della prima azienda web 2.0 (xing.it) che conta già oltre 7 milioni di utenti nel mondo che lo utilizzano in 16 lingue diverse. Quindi social network non solo come passatempo senza scopo se non quello di cercare e aggiungere nuovi “amici”, ma anche opportunità di lavoro e di scambio di opinioni. Così il numero di utenti continua a crescere: facebook conta 700.000 nuove iscrizioni al giorno nel mondo tanto da aver raggiunto nel novembre 2009 i 350 milioni di registrazioni.
Nulla da dire sull’uso delle nuove tecnologie e dei nuovi media, anche nel caso di semplice svago, ma dubbi e allarmi sorgono quando dall’uso si passa all’abuso, sempre più frequente anche in Italia. E ancora una volta il problema non riguarda solo i cosiddetti nativi digitali ma tutti gli utenti internet, anche gli over 50. Gli esperti però mettono in guardia: navigare in rete per più di 3 ore al giorno, non a scopo lavorativo, porterebbe ad avere una percezione distorta della realtà, confondendola con quella virtuale. Così alcuni utenti “illuminati” nell’ultimo anno si sono cancellati da questi siti perché, più che interessante, la partecipazione diventava assillante, dovendo continuamente controllare gli aggiornamenti dei propri contatti.
La comunicazione mediata di tipo testuale -come la definisce Luca Chitarro, in un articolo comparso su Nova100- è pericolosa anche perché totalmente priva delle informazioni che si raccolgono normalmente nella comunicazione faccia a faccia, ciò significa che nelle relazioni interpersonali che si instaurano sul web occorre maggiore attenzione e consapevolezza. Recentemente un adolescente si è suicidato dopo un conto alla rovescia fatto pubblicamente sulla bacheca della sua pagina. Subito dopo il funerale sono comparsi migliaia di messaggi dispiaciuti, ma fino a un attimo prima nessuno se ne era preoccupato.
Il fatto di poter trovare di tutto sul web e di aver reso fruibile a chiunque qualsiasi tipo di informazione è senz’altro uno degli aspetti più rivoluzionari di internet, ma allo stesso tempo nasconde dei rischi altrettanto grandi. E la cronaca degli ultimi mesi regala casi esemplificativi. Su facebook qualche mese fa circa 7 mila utenti hanno giocato a fare i camorristi. Sullo stesso social network è comparso un gruppo contro i giudici Falcone e Borsellino. Sia questo, che l’applicazione sono stati fatti chiudere appena diffusa la notizia della loro presenza, ma il numero degli iscritti raccolti in pochi giorni indica come sulla rete, grazie anche all’anonimato, ci si faccia influenzare facilmente e facilmente si ceda alla violenza e alla volgarità perché, si spera, percepita solo virtualmente.
Episodi come questi hanno portato all’apertura di un dibattito circa l’esigenza o meno di nuove leggi nei riguardi di chi sulla rete inneggia alla violenza, minaccia o diffama. Il problema è un altro. La libertà di comunicazione è già disciplinata dalla nostra Costituzione da due norme, l’art 15, che tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni interpersonali, e l’art. 21, che ha come oggetto le comunicazioni pubbliche. La distinzione fra questi due tipi di comunicazione diventa difficile quando si parla di web 2.0 dove spesso capita che l’utente non sappia se la conversazione cui sta partecipando è pubblica o privata.
Non si può e non si deve giustificare o tollerare l’istigazione a delinquere e l’apologia di reato, considerando, per comodità, internet una zona franca. In rete, come rilevano molti sociologi, non c’è confronto dialogato ed è facile sfociare nel fanatismo perché apparentemente si gode di assoluta libertà. Ma libertà di odio e violenza non corrispondono a democrazia ed è necessario porre un confine a questa tendenza, come ha scritto recentemente Gian Antonio Stella sul Corriere, non con il buon senso, non solo, ma con il codice penale. Porre delle limitazioni ex ante comprometterebbe la nostra democrazia che si fonda, tra l’altro, sulla libertà d’opinione, per quanto questa possa essere fastidiosa.
La soluzione più sensata è quella di instaurare un dialogo con i fornitori di questi servizi (facebook & Co.) così da poter richiedere e ottenere velocemente la chiusura di gruppi o la cancellazione di diffamazioni o inneggiamenti alla violenza e di punire chi commette un reato, perché ciò che è fuori legge off-line lo è anche on-line.
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Carolina Saporiti classe 1986, residente fisicamente a Varese e mentalmente in giro per il mondo. Neo-laureata in Lettere moderne con una tesi in Letteratura araba contemporanea, in cerca di un posto nel mondo adatto a lei. Appassionata d’arte contemporanea, collabora alla rivista Arte Mondadori da ottobre. Amante delle feste a tema, della musica country, folk ed elettronica, del vino bianco e del cioccolato. Riservata ma decisa, discreta ma curiosa, “incurante ma non indifferente”.
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Riguardo alla quella che ritieni la situazione più sensata: Facebook, Youtube & Co. possiedono già dei canali molto veloci per fare richiesta ed ottenere l’oscuramento di contenuti inopportuni, nulla di nuovo.
Non c’é bisogno di Luca Chitarro per notare e comprendere come il fatto di nascondersi dietro ad uno schermo mostri il peggio di molte persone - vedi come su youtube spesso e volentieri la gente si ’scanni’ a forza di insulti, sapendo che tanto nessuno tirerà loro un pugno in faccia per essere stati insultati-. Invece di (ri)leggere cose scritte da altri, e che comunque noi giovani ci ritroviamo davanti agli occhi tutti i giorni attarverso l’uso quotidiano dei canali web 2.0, sarebbe più interessante sentire le tue idee su come questi comportamenti possono essere evitati.
Questo dialogo a cui accenni alla fine non solo già esiste ma é anche una mossa puramente reattiva:
1) un problema nasce,
2) qualcuno lo nota ed avverte,
3)il gestore (Facebook, ad esempio) reagisce.
Sarebbe assai più coinvolgente (e magari anche utopico ed incocludente, ma siamo giovani!) intavolare una discussione su come la situazione può essere modificata con mosse proattive invece che reattive. Capire come diffamazioni e comportamenti inopportuni posso essere eradicati prima che avvengano.
Ben più difficile, certo.
Piú facile a dirsi che a farsi, sicuro.
Ma quanto meno puó creare delle visioni a cui tendere e trovare soluzioni che portino non a dover sempre reagire al problema dei contenuti inopportuni oscurandoli, ma facendo in modo tale che la gente, questi comportamenti, li eviti. Per scelta.
Caro Andrea,
piacere.
Il mio articolo non è un commento, ma un semplice sguardo su quello che avviene.
La mia opinione (in questo caso) non è espressa, volutamente. Ci sono articoli di cronaca e ci sono quelli di commento.
Questa è cronaca. Raccolta di fatti: ordinati e riportati.
Sempre per la cronaca.
Le segnalazioni di facebook non sono così immediate come può sembrare: se segnalo persone o pagine, queste non vengono immediatamente cancellate. Non si spiegherebbe perché il Governo ha chiesto (e avuto) un incontro con il sig. Facebook per oscurare alcuni gruppi.
E, comunque, a volte, il gestore non reagisce.
Come penso che si possano evitare diffamazioni via internet?
Tecnologicamente, non ne ho idea, non essendo grande esperta né appassionata di informatica.
Credo sia una questione di senso civico e di lassismo. E ignoranza. Cose sempre esistenti, solo amplificate oggi da un mezzo così potente.