“Una razza una fazza”, dicono i nostri vicini di casa greci.
Ed in effetti, a giudicare da alcuni tratti comuni nello stile di vita, è difficile dargli torto.
Le lingue cambiano, le religioni anche, la storia pure, ma una certa linea comune resiste.
In parte, è ovviamente dovuto ad una geografia comune o molto similare, la cosiddetta macchia mediterranea, che porta a vegetazioni simili, se non uguali. E forse, tra coltura e cultura non esiste poi molta differenza. Secondo alcuni storici del secolo scorso, le popolazioni mediterranee sono accomunate da una medesima attenzione alimentare, la cosiddetta “dieta medierranea”, che si basa soprattutto sull’olio, sul grano e sul vino.
Sicuramente le dominazioni prima latine, poi arabe, furono agenti di omogeneizzazione delle tradizioni culturali mediterranee. Forse, questa chiarezza e facilità nell’attribuzione delle “radici comuni” rende l’identità mediterranea ancora più marcata di quella europea e talvolta, addirittura, di quella nazionale.
Ma aldilà di questa idilliaca analisi, una unione mediterranea potrebbe resistere all’urto della pragmatica politica internazional e dei suoi biechi interessi?
Aldo Moro, uno dei politici italiani più lungimiranti (una tipologia di politico della quale si sente una grande nostalgia oggi) provò a proporre questa illuminata idea nel corso dei lavori preparatori della Conferenza di Helsinki del 1972 (che diede poi vita all’organizzazione OSCE). Purtroppo, l’idea fallì, a causa dei tempi ancora non maturi per un progetto simile.
Perché tale proposta potesse tornare in auge, si dovette aspettare gli anni Ottanta, quando, sempre in sede OSCE, nacque l’idea di una organizzazione regionale euro-mediterranea. L’obiettivo sarebbe stato quello di raggiungere entro dieci anni una unione tariffaria per il libero scambio di merci, idee e persone. Questo progetto assunse il nome di Processo di Barcellona, dalla conferenza che ebbe luogo nel 1995.
L’idea, in seguito ai conflitti tra mondo arabo e mondo occidentale (e, dunque, tra Nord Africa ed Europa) venne meno, e fu quasi dimenticata. Fino al 2007, quando il primo ministro francese, Nicolas Sarkozy, rilanciò l’idea. Nel frattempo, il fronte sud del Mediterraneo era divenuto il secondo mercato mondiale per rapidità di crescita, superato solo dal dragone cinese. Legittimo dunque l’interesse francese ed europeo per la zona. Anche lo sfortunato governo Prodi, in Italia, fu particolarmente attento alla politica Mediterranea, in particola modo per il sostegno alle proposte di Sarkozy. Nel 2008, Sarkozy annunciò la nascita dell’entità Euromediterranea. Tuttavia, non appena cominciata l’avventura della nuova organizzazione Euromediterranea, subito cominciarono i “mal di pancia”. La Libia, quasi immediatamente, uscì dal progetto, che risultava dunque orfano di un paese strategico per l’economia nordafricana.
Che i tempi ancora non siano maturi? Di certo, la crescita del prezzo del petrolio avvenuta negli anni recenti ed il conseguente boom del surplus legato all’oro nero nei paesi arabi e nordafricani spinse molto ad una politica di integrazione economica. Altrettanto certamente, l’attuale crisi finanziaria costituisce di fatto un fattore frenante alla creazione di nuove, costose organizzazioni internazionali.
Ma non tutto è da gettare al vento.
A patto di ripensare l’organizzazione e le sue stesse basi.
Ad esempio, la “questione turca” è stata spesso affrontata in sede europea: è da considerarsi un possibile candidato per la UE? Economicamente e strategicamente è un grosso affare avere la Turchia in Europa, ma dal punto di vista sociale ed istituzionale, che cosa potrebbe comportare avere un paese membro islamico?
Bene, l’Unione Euromediterranea costituirebbe una forma di “adesione europea intermedia” che potrebbe pragmaticamente salvare capra e cavoli. La Turchia sarebbe infatti un paese membro imprescindibile per ogni possibile Unione Euromediterranea.
Analogamente, possiamo osservare come il Mediterraneo è divenuto sempre più un triste teatro di conflitti senza fine, come quello arabo-israeliano, quello libanese, e quello regionale interno all’area ex-yugoslava. Spesso, il problema negli interventi di peacekeeping in queste zone sono complicati dalla paralisi politica dell’ONU, e dal suo intricato gioco dei veti incrociati.
Una organizzazione regionale mediterranea, invece, potrebbe aggirare o anche solo ridimensionare il peso delle istanze delle grandi potenze, e velocizzare le azioni di peacekeeping prima che le eventuali crisi degenerino in conflitto.
Al momento attuale, non ci è dato sapere se Sarkozy sia stato o meno affrettato nel proclamare lo scorso anno la nascita della Unione Euromediterranea.
Ciò che è sicuro è che una tale organizzazione necessariamente deve essere assai diversa dalle entità che fin’ora abbiamo visto. Una organizzazione regionale, in grado però di intersecarsi bene con altre organizzazioni regionali, come l’Unione Africana e l’Unione Europea.
In altri termini, una organizzazione internazionale a geometria variabile, basata su un insieme assai pragmatico e realistico di principi, affinchè non si verifichino fastidiose e dannose sovrapposizioni di responsabilità. Forse, è proprio verso questa tipologia ibrida di organismi internazionali che ci si muove in questo incerto periodo di crisi politica non meno che economica.
Tutte queste riflessioni, impietose analisi e sogni richiedono tempo per realizzarsi, ma, come ci insegna un saggio proverbio: “Roma non fu costruita in un giorno”.
Il Mediterraneo, d’altra parte, non ha mai avuto fretta.
Il mediterraneo non ha mai avuto fretta. Bellissima conclusione.
Il progetto di Sarkozy e’ nato male ma non v’e’ dubbio che l’idea vada recuperata, sarebbe bello se per una volta l’Italia se ne facesse promotrice. Senza dubbio siamo in una posizione migliore della Francia il cui passato coloniale e le cui manie di grandeur fanno sempre sospettare che piu’ che ad un’Unione Mediterranea si aspri ad un Lago Francese. L’Italia, europeista per convizione, modesta per necessita’, potrebbe avere maggior successo. Certo non con questa classe politica. (rimango perplesso sul tuo elogio ad Aldo Moro, come disse scandalosamente Gaber non basta essere barbaramente ammazzati per guadagnarsi il titolo di statista, allora piuttosto Fanfani o persino, da questo punto di vista, Craxi e Andreotti).
Scrive Katzenstein “although often described in geographical terms, regions are political creations not fixed by geography” e ancora “regions do not just exist as material objects in the world. Geography is not destiny. Instead, regions are social and congnitive constructs that can strike actors as more or less plausible” (“Why is there no Nato in Asia? Collective Identity, Regionalism and the Origin of Multilateralims” in International Organization 56,3)
Del resto l’Italia non e’ bagnata da quel North Atlantic la cui Treaty Organization ne ha definito l’identita politica per gli ultimi cinquant’anni.
Il mediterraneo non ha fretta. La costruzione politica verra. Per ora sarebbe abbastanza contribuire a quella che Kazenstein chiama “social and cognitive construcition”. Un lavoro, mi sembra, degno del Tamarindo.
ero a parigi, se non sbaglio nel 2005, quando nella ville lumière si votava per quello che divenne il «non» più famoso del dopoguerra: quello al trattato costituzionale europeo. nel frattempo un giovane rampante questurino di immigrate origini e rara abilità da grimpeur (sociale ovviamente) – ormai già affermato dopo anni da sindaco della ricca banlieu neuilly sur seine in cui governava con l’89,5% dei voti, e dopo l’esperienza da sanguinario ministro degli interni – iniziava la sua scalata al potere che conta, impallinando in continuazione l’animo neogollista chiracchiano, in caduta libera e ben presto morto.
tale nicolas sarkozy, all’epoca, si presentò nella saletta di sciences-po predicando come un evangelico americano teorie e controteorie assolutamente di fantasia. ero presente. e venni pure cacciato dall’aula, quando, in un moto di contestazione, urlai nel mio francese tanto bello quanto maccheronico, «vous nous inquietez!» e «n’avez vous pas de honte?». ma cosa provocò questa mia vulcanica (e isolata) reazione? il vigliacco si era lanciato – perdendosi come riconobbero poi illustri professori dell’ateneo complimentandosi con il sottoscritto – in un pericoloso discorso su siria e libano, antiche colonie francesi, nonché avamposti di una guerra mai compiuta contro gli inglesi che si rivelò poi fatale per i popoli locali dalla turchia all’iran. il maledetto affermava, con i suoi tic e le sue schizofrenie all’epoca irrefrenabili (le sue dipendenze da psico farmaci non sono un segreto), che la francia non aveva alcun ruolo né, si badi bene, alcun interesse alla situazione siriana, né tantomeno libanese. il tutto si nascondeva dietro alla sua volontà di escludere la turchia dall’europa, che era un tema della campagna pro «oui» del referendum. dichiarava tronfio che un problema siriano (o libanese) non avrebbe dovuto mai essere un problema francese.
bene, concludo e vengo al dunque del post, anche perché ho fretta e non posso dilungarmi troppo oltre. al di là della negazione di respobnsabilità per quanto riguarda la bomba ad orologeria pronta a esplodere pochi mesi dopo in libano ecc ecc. come può tale individuo avere credibilità rispetto al mondo arabo quando parla di unione mediterranea? difatti gli unici a crederci siamo noi italiani.
l’errore resta uno solo: aver aperto all’est e aver chiuso alla turchia. un’europa a due velocità in cui includere polonia, turchia, kossovo e, chissà poi, tutto il mediterraneo nella seconda velocità. perché quando si parla di crisi si dimentica che il crollo dell’est europeo – atteso a breve – sarà la vera crisi economica europea. solo perché li abbiamo accettati. però abbiamo detto no alla moderna e efficiente turchia. allez sarko… nostra guida.