La lista del sarto
ottobre 30th, 2009 by Ludovico Bruno | No Comments
Da quando la moda è scesa in strada, è diventata più accessibile. Prima il fatto stesso di essere di moda rispecchiava un’élite, un’alta società che, meno stressata dalla concorrenza, poteva permettersi il lusso di stare a contarsi le piume in totale serenità.
Poi è arrivato il ready to wear, il boom economico, l’America, le fibre povere, i grandi magazzini, i discount, i jeans, la cultura pop, le seconde linee… fino alla barbarie dell’umano buongusto: il pronto-moda (ovvero quei colossi che ti sfornano sei collezioni l’anno con uno “stokkaggio” planetario, dai costi irrisori e una creatività da compito scopiazzato di quinta elementare).
Oramai, quindi, la moda è talmente popolare e fondamentale da essere “il tutto”. E se la moda è tutto, va da sé che tutto è moda; ma, fortunatamente, non tutto è di moda.
Contemporanea e mutevole, la moda spara a salve tendenze e dettami che si dissipano nell’aria alla velocità di una stagione. Abbiamo molti più colori sulla nostra tavolozza, con la quale, ogni mattina, ci dipingiamo addosso il nostro ritratto di come vorremmo vederci. La differenza non la fa più il vestito in sé, ma il ruolo mediatico e sociale che può avere su di noi, cosa può darci e come può differenziarci per essere visti da chi è importante che veda.
Facciamo un esempio. Mettiamo a confronto una signora che negli anni ‘60 va in Avenue Montaigne, al 20 entra da Dior ed esce con un meraviglioso abito a clessidra rosa antico; quella signora potrà andare in giro per tutta Parigi senza mai imbattersi nello stesso abito, è unica, sa di esserlo e si sente speciale.
Prendiamo ora una ragazza di oggi (dove il marchio Dior lo trovi perfino sul cerchietto della commessa della Upim) che entra magari da Zara e si compra con 39,90 euro un vestitino nero; quella ragazza terrorizzata scapperà a casa di corsa nella sicurezza a priori di incappare in altre ragazze con lo stesso vestito.
Dov’è la glorificazione di un abito contemporaneo quindi? È nella eco mediatica che può avere. Quella ragazza viene fermata per strada per degli scatti che finiscono su un blog di tendenze dove compare lei nell’arguzia di aver scelto quel giustissimo vestito nero di Zara che, giocato con i sapienti accessori, in quel momento, si glorifica a “il vestito” nero di Zara, così da potersi sentire esclusiva al pari della signora che cinquant’anni prima entrava da Dior.
Vince chi si differenzia nell’indifferenza.
È l’essenza della moda contemporanea che, a differenza di quello che si è detto, non parte dal basso, ma dal basso arriva per farlo emergere.
Voglio focalizzare l’attenzione su uno dei canali più influenti degli ultimi cinque anni, un canale che si nutre della rappresentazione del popolare trasformandola in particolare, dandoci un limpido esempio di stile democratico: il blog “The Sartorialist”.
Scott Shuman, fotografo americano, dopo una breve carriera come designer, decide di condividere con l’etere i propri scatti ritraenti persone normali con un evidente senso dello stile. Parte da Bryant Park e in pochi anni arriva a essere l’occhio critico della moda di strada che, tra Milano, Parigi e New York, detta le nuove tendenze per creare una nuova idea di stile metropolitano.
Il suo blog conta più di 60.000 visite al giorno ed è stato inserito dal Times tra i cento siti più influenti del pianeta. Scott opera come un sapiente e lungimirante esploratore del settore investito dell’arduo compito di selezionare solo quelle persone che maggiormente intuiscono l’idea di stile, che come ricompensa potranno avere l’esclusivo privilegio di apparire sulla sua homepage.
Il ruolo di The Sartorialist è centrale nella moda contemporanea, funge da punto di riferimento, da sparti acque, giudice severo su cosa è stile e cosa non lo è.
Le sue fotografie hanno il potere mediatico di un tappeto rosso, di un traguardo, di un modo per poter dire: “Ce l’ho fatta, ci ho capito finalmente qualcosa”. Inoltre è retto da una sinergia vincente che si instaura tra il modello, ovvero quei selezionatissimi che prestano il loro stile (ma che allo stesso tempo ucciderebbero per quei famosi quindici minuti di notorietà), e Scott che, sciolto da qualsiasi fruitore, si serve dei sui manichini per illustrare la sua idea di stile, personale ma di matrice popolare, e quindi universale.
Il nostro arbiter elegantiarum, come dicevamo, ha costruito un nuovo canale, un canale diretto e semplice tra moda e utenza: le foto sono semplici, a figura intera, senza modifiche, su fondo bianco, pulito. Ritraggono volti delle gente comune, per strada, sempre felici, sempre sorridenti, è democratico. Tra le sue pagine le algide e spigolose regine del Fashion System posano accanto a barboni del Queens: la foto di Franca Sozzani è seguita da quella di un imbianchino di un backstage a una sfilata; persino lui può brillare per eleganza.
Per The Sartorialist, specchio della moda contemporanea, l’eleganza non è nella ricchezza, nel lusso estremo, nello sfarzo, ma nella nostra capacità di mescolare e interpretare, di fornire un tassello in più che completi il caleidoscopico nuovo mondo del fashion.
Ogni foto caricata riceve immediatamente centinaia di commenti di confronto, e le migliori sono perfino finite sul primo libro auto celebrativo, edito lo scorso mese, in cui The Sartorialist si racconta tramite oltre trecento pagine di scatti. Un bel traguardo, un bel percorso, seguito da milioni di altri bloggers che si ispirano alla fortunata formula per inserire tra le loro pagine virtuali scatti rubati di persone, dell’ultimo accessorio, di sfilate, di feste esclusive, tutto visto in maniera estremamente personale, forse troppo.
Il successo di Scott Shuman e di The Sartorialist si deve proprio a questo, al meraviglioso anonimato. Quando entri nel suo sito vedi delle persone bellissime, anche nella loro estrema umiltà e umanità; non vedi i contorni, ma una linea guida c’è; non vedi lo steccato, ma segui comunque un sentiero; non vedi la presunzione, ma l’esperienza; non percepisci la regola, il dettame, l’In & Out, ma gli equilibri che regolano il sito ci sono eccome. Le persone sono come le vedresti in un vecchio album fotografico, quello di cui non ti accorgerai è la selezione che viene fatta per costruire quell’album.
E così …