Turchia: al bando sigarette e tradizioni

agosto 12th, 2009 by Stefania Coco Scalisi | 4 Comments

Se chiedessi di alzare la mano a chi almeno una volta nella vita si è rivolto a un amico affetto da tabagismo con l’espressione “certo che fumi proprio come un turco!”, sono certa che troverei di fronte a me un letto di mani svettanti e di teste annuenti.
L’associazione fumo-Turchia, è tanto scontata che è divenuta oramai di uso comune. Mia nonna, ad esempio, era solita utilizzare questo epiteto verso chiunque fumasse più di quello che lei, da donna morigerata, riteneva un limite invalicabile, vale a dire circa cinque sigarette al giorno.
Eppure, anche questo mito è destinato a crollare.
Il premier Recep Tayyip Erdogan infatti, il cui obiettivo è quello di adeguare sempre più il paese alla normativa dell’Unione Europea, categorica in tal senso, ha fatto della battaglia contro il fumo uno dei suoi cavalli di battaglia, arrivando a definire le sigarette pericolose tanto quanto il terrorismo.
Dunque, dal 19 luglio, è stato applicato il divieto di fumo anche nei bar e nei ristoranti, ultime isole felici dei fumatori incalliti, ai quali già dall’anno scorso era stato impedito di accendersi una sigaretta nei luoghi pubblici, come gli uffici statali, gli ospedali, i cinema, gli aeroporti, i mezzi di trasporto pubblici e addirittura gli spazi in comune degli edifici privati.
Finisce insomma un’era, iniziata nel lontano 1600 per opera inconsapevole del sultano Muradiv, che fu il primo a proibire con la decapitazione il vizio di fumare, talmente radicato nella società del tempo che lo status di una persona corrispondeva in maniera direttamente proporzionale alla lunghezza della sua pipa. Quando però il divieto e la relativa pena terminarono, l’abitudine del fumo per reazione crebbe tantissimo e dall’Impero Ottomano si diffuse in tutta Europa.
E proprio per adeguarsi a quell’Europa spesso ostile all’ingresso della Turchia nel suo club, che la normativa antifumo è entrata in vigore con tanta fermezza, prevedendo multe pari a 25 euro per i trasgressori, e persino una multa di 10 euro per chi verrà sorpreso a gettare semplicemente dei mozziconi per strada. Per punire la vendita di tabacco ai minorenni c’è invece il carcere, da uno a sei anni di detenzione.
Tanta severità non è stata ben accolta dai cittadini turchi per i quali le sigarette più che un semplice vizio, sono un vero e proprio simbolo nazionale se si pensa che il padre della patria, Kemal Atatürk, ne fumava ben 80 al giorno.
La politica antifumo del premier Erdogan si inserisce in un più ampio quadro di riforme che mirano ad adeguare la legislazione turca all’acquis communautaire, così da rendere più semplice un futuro ingresso del paese nell’UE e mettere a tacere le critiche dei suoi più strenui oppositori.
Nello stesso senso vanno interpretati, dunque, alcuni emendamenti agli articoli del Codice di Procedura Penale, in modo particolare l’articolo 3 e l’articolo 250. Il primo stabilisce che, d’ora in poi, nessun civile può essere processato dalle corti militari. Nell’emendamento all’articolo 250 si stabilisce invece l’opposto, ossia che d’ora in avanti i militari accusati di crimini contro la Corte Costituzionale, la Difesa Nazionale e i segreti di Stato, vengano giudicati da tribunali civili e non più da corti militari. Si tratta di due cambiamenti epocali per la storia della Turchia e per i rapporti tra militari e politica, che da sempre caratterizzano il Paese e per cui l’Unione Europea ha sempre criticato Ankara.
Il premier turco insomma sta impegnandosi con forza per rendere il paese sempre più europeo, stravolgendone spesso usi e costumi.
A questo punto bisogna capire se per i turchi questo non sia un prezzo troppo alto da pagare.


Quale Tamarindo desideri?

maggio 3rd, 2009 by Redazione | 2 Comments

Quale Tamarindo desideri?

Ad un anno e mezzo dalla fondazione del nostro amato sito – che nel frattempo è diventato un periodico registrato -  la redazione ha deciso di trasformare quello che era nato come un sogno di un gruppo di amici in un vero e proprio punto di riferimento per i giovani italiani in patria e all’estero.
I redattori e i collaboratori del Tamarindo sono impegnati in questo giorno in un acceso dibattito sulla strada da intraprendere per proporvi un sito al quale voi lettori possiate sentirvi ancora più legati. Abbiamo così bisogno del vostro aiuto: cosa vi piacerebbe leggere/vedere/ascoltare sul Tamarindo? Cosa invece vorreste abolire?
La redazione ringrazia in anticipo per i vostri contributi!


La rivincita della natura

aprile 17th, 2009 by Carolina Saporiti | 1 Comment

La rivincita della natura

Uno a zero per Madre Natura! Dopo anni di sfruttamento del territorio e di abusi su di esso, arriva la rivincita del mondo vegetale, che si impossessa, a sua volta, delle creazioni dell’uomo. Tutto questo avviene nei giardini verticali: ideati, creati e brevettati (nel 1998) da Patrick Blanc.
Classe 1953, nato nei sobborghi parigini, Patrick è oggi uno dei più famosi botanici del mondo, un grandissimo studioso che ha vissuto per mesi su una zattera sospesa nella foresta pluviale della Malesia per osservare da vicino le particolari specie di piante, nonché uno dei paesaggisti europei più richiesto dai migliori architetti del mondo (da Jean Nouvel a Renzo Piano).
Il cinquantaseienne dal ciuffo e dall’unghia del pollice verde (non solo in senso metaforico), studiando la vegetazione delle foreste pluviali, ha deciso di riprodurre le condizioni ambientali grazie alle quali alcuni tipi di piante possono vivere in verticale: così ha progettato le mur végètal sospeso a metri di altezza nel vuoto o appeso alle pareti dell’edificio, come copertura delle pareti.
L’idea di Blanc parte dall’osservazione che, fondamentali per la crescita delle piante, sono l’acqua e i sali minerali, la luce e l’anidride carbonica (che permette la fotosintesi), ma, a differenza di ciò che la maggioranza delle persone pensa, non il suolo.
Da questi presupposti Blanc ha studiato e progettato una struttura su cui far crescere le piante o meglio dei veri e propri giardini verticali. Mancando del tutto la terra, non solo è possibile agganciare questa struttura leggerissima a una parete, bensì la si può sospendere nell’aria; unico elemento fondamentale è l’acqua, che deve essere rilasciata tra le radici delle piante a intervalli regolari. Nei giardini verticali l’irrigazione è controllata da un timer che ne regola  l’intensità liberando una miscela di acqua e sali; la miscela che avanzata viene poi riutilizzata grazie a delle pompe.
La struttura che viene sospesa o appoggiata alla parete è spessa al massimo 6 cm ed è composta da una lastra di metallo, una di PVC espanso (1 cm) e una di feltro con tasche di poliammide (2 cm). Il PVC serve a dare rigidità alla struttura ed è impermeabile, il feltro invece garantisce una distribuzione omogenea dell’acqua in tutte le parti del giardino verticale e inoltre non si disintegra, nonostante la forza delle radici.
Le specie di piante usate da Blanc nei suoi giardini sono diverse (tra cui i ficus, le felci, i filodendri e le fatsie) e sono tipiche delle vegetazioni che crescono sulle pareti di roccia delle cascate tropicali che, appunto, non hanno bisogno della terra. Possono essere piantate circa trenta piante per metro quadrato. Grazie a questa varietà Patrick può creare sfumature e disegni sulle pareti in modo da realizzare veri e propri giardini-opere d’arte.
I giardini verticali hanno un prezzo che parte dai 500 euro al metro quadrato e hanno una garanzia di durata di trent’anni.
Il pregio e l’economicità hanno reso popolari in pochissimo tempo i vertical gardens tanto che essi sono richiesti sempre più spesso come rivestimento di importanti edifici in tutto il mondo. Alcuni dei lavori realizzati sono: la Cartier Foundation for Contemporary Art, a Parigi (1997), la Hall del Pershing hotel a Parigi (2001), la boutique Marithé & François Girbaud a Manhattan, lo shopping center Siam Paragon a Bangkok, il 21st Century Museum of Contemporary Art in Giappone, il Quai Branly Museum a Parigi (2006), il giardino del Cafè Trussardi a Milano (2008) e la stazione Melbourne Central in Australia (2008).
I giardini verticali possono essere realizzati sia all’esterno che all’interno di edifici, anche se in questo secondo caso, è necessaria una particolare illuminazione che permetta la sopravvivenza delle piante.
I muri vegetali di Patrick Blanc infine non richiedono grande manutenzione (due o tre leggere potature l’anno), e hanno anche diversi vantaggi: non solo assorbono l’anidride carbonica e i raggi UV, bensì fungono anche da isolanti termici e sonori, limitando i consumi di energia.
Ciò che ha spinto Blanc alla realizzazione di questi giardini verticali è stata la voglia di ricreare un sistema  vegetale simile a quello naturale sfruttando per una volta la tecnologia dell’uomo in questa direzione. Se gli uomini si sono appropriati di molti spazi della natura con la forza, è arrivato il momento, sostiene il botanico francese, di renderli indietro e, ancora di più, di armonizzare il rapporto uomo-natura.
E così, nel XXI secolo, ci si è finalmente liberati dall’idea della pianta legata alla terra e si è approdati all’idea di una vegetazione mobile in rapporto con lo spazio urbano che interseca le necessità dei cittadini con quelle della natura.


Zibaldone d’inizio primavera di un dandy suo malgrado

marzo 20th, 2009 by Alessandro Berni | 2 Comments

Zibaldone d’inizio primavera di un dandy suo malgrado

Rose. Nessuna novità: rosse, per promettere le passioni di un forte e fugace amore. Bianche, per la propria madre. Gialle, mai. Significano gelosia oppure amicizia, sentimenti che un dandy suo malgrado non conosce e quindi non può regalare. Blu, per gli amori impossibili. Non sorprende che non le abbia mai date in dono.
Guardaroba. È internazionale, di indumenti incontrati (mai cercati) durante le sue lunghe passeggiate. Il vintage è una risorsa, ma solo se ricevuto come dono da persone a lui care.
I brand esposti, le marche in vista sono di cattivo gusto. Se un capo è d’alta moda deve essere segnalato (tollerato) solo da un’etichetta interna. Un partner occasionale potrebbe notarlo intanto che raccoglie i suoi abiti buttati in giro durante la notte quando lui, dandy suo malgrado, beato e a giorno inoltrato sta ancora dormendo. Questo, renderebbe malinconico il risveglio. Da evitare che succeda.
Scarpe. La comodità resta un gran pregio. L’affezione per un bagaglio leggero ne permette appena dieci paia.
I modelli a punta, bene in forma, sono nell’armadio della dimora di famiglia. Resteranno lì ad aspettare, dopo che personalmente si è pulito l’ultimo paio scelto alla fine dell’ultima cena di Natale.
La prossima preferenza sarà per un paio aperto in cuoio marrone, invecchiato.
Profumi. L’odore della pelle dell’essere che ama resta il favorito. Da parte sua, la fragranza di un dandy suo malgrado è per eletti, è indimenticabile.
Cappelli. Mai per necessità. Senza benda, a coprire le proprie malinconie; con la benda larga per salutare il proprio gusto per la vita. Rimangono l’oggetto più facile da smarrire, da regalare. Quando c’è da incontrare qualcuno, è sempre una buona cosa presentarsi all’appuntamento con un cappello mai visto durante gli incontri precedenti. La scelta non è banale: un solo partner ed infiniti cappelli o un solo cappello ed infiniti partner? La risposta è mobile.
Regali. Sì. Ogni giorno. D’improvvisi e meravigliosi.
A tavola. Champagne e fragole rimane la colazione da preferire. Si mangia sempre per noia. Si smette molto prima di essere già sazi.
Il denaro. Nella sua vita, in disparte, puo’ restare.
Viaggi. L’invisibile agli occhi è il posto dove abita. La realtà è una finestra da scostare di tanto in tanto, senza prenotare.
Il telefono cellulare. A proposito di questo argomento, pochezze da dire. Di inizio secolo o ultra-moderno, non è più un segnale. La suoneria, resta discreta. Nella tasca della moleskine almeno 3 sim ancora attive di 3 Paesi diversi per cui non si ha nostalgia. Nelle  varie rubriche, troppi numeri che non servono più.
Internet. È invadente. Si dispiace con se stesso ogni volta che lo usa per informarsi su come va il mondo. Le poste elettroniche sono discrete, ma quanta spazzatura! Facebook e Myspace sono una curiosità risolta. Asmallworld è pingue di vecchi volti che evita da tempo, rudemente. Attraverso questi strumenti comunica sempre meno, sempre più profondamente.
Lavoro. Quando è nominata questa parola, senza niente osservare, semplicemente se ne va. Comincia a mancare.
È primavera. Finalmente può vestire di sud-america: Il blu inconfondibile del cielo di Rio; il rosso scarlatto del vino dei rivoluzionari; raso chiaro e stropicciato da un tango argentino; un gioiello giallo delle stelle della croce del sud. Passeggiare senza meta è un dovere del proprio Piacere. È il momento di conoscere persone nuove. Insieme a loro ci si ubriaca, ci si ubriaca in continuazione, di poesia, d’ironia e di virtù.
La crisi. Non è più di moda e lui lo sa bene.
L’ultima riflessione. Un dandy suo malgrado non segue i pensieri letti su uno zibaldone. Riflette su come vive, ne scrive uno.


Viaggio semi-serio nel mondo della crisi

gennaio 10th, 2009 by William Sbrega | 11 Comments

Viaggio semi-serio nel mondo della crisi

Se qualcuno di voi per caso pensa che la crisi dei sub-prime sia iniziata a Wall Street, decisa a tavolino da grandi banchieri solo per fregarci, si sbaglia di grosso. Perché, anche se è difficile crederci, la crisi è nata dal basso, nelle peggiori periferie di Carac… ehm, degli Stati Uniti, proprio dove negli scorsi decenni si è avverata la favola della finta integrazione multi-razziale. Per completare questo sogno americano, costruito su ghetti e periferie immense, la finanza ha giocato la sua parte, come sempre: agli albori del nuovo millennio avevano finalmente capito che il profitto poteva essere tratto anche con la scusa dell’integrazione e del sociale! Tradotto: miliardi di dollari di prestiti e mutui a neri, ispanici ed immigrati di vario genere, regolari e non, ovviamente non necessariamente muniti di lavoro. Persino gli studenti, che qui nel cuore dell’Europa terrona-meridionale possono solo sperare di fare 6 al superenalotto prima di potersi comprare un sottoscala in periferia, hanno ricevuto negli anni passati il loro bel mutuo. Addirittura gli intermediari finanziari intercettavano gli “obiettivi” nei supermercati e nei centri commerciali, proponendo mutui a tasso variabile proprio quando i tassi erano ai minimi storici, senza spiegare alle centinaia di migliaia di persone che la rata mensile sarebbe potuta salire fino a 5-6 volte il valore iniziale. E la gente, confusa e felice come Carmen Consoli, firmava e si indebitava.
Il sistema ha funzionato finché i prezzi degli immobili sono saliti, perché per le banche era possibile semplicemente rivendere l’abitazione per recuperare il proprio credito con gli interessi. Ma un bel giorno imprecisato del 2007 (ebbene sì, 2007, non 2008, come i male informati credono) il sistema iniziò a collassare.
Immaginate la scena del primo pignoratore che, andando a riprendersi una casa ipotecata, si scopre fregato dai sub-prime. Immaginate il sorriso di questo biondino palestrato dagli occhi azzurri, impiegato in una filiale bancaria a Detroit, con 24ore alla mano, mentre va a pignorare un ridente bilocale al 78° piano di un grattacielo a soli 44 km dal centro, luminoso e collegatissimo al centro tramite una sopraelevata in stile Blade Runner. In quella casa, un ex detenuto di Sing Sing, a cui, appena uscito di galera dopo 34 anni (1) il nostro eroe aveva concesso un mutuo, era morto a causa di un ictus dopo solo un anno dall’accensione ed era sprovvisto di assicurazione. Poverino. Aveva solo 87 anni.
In ogni caso, il nostro impiegato, che chiameremo John per comodità, era abituato alla vista dei cadaveri, data la sua esperienza in banca, e non si lasciò intimidire. Provò ad accendere un altro mutuo ad un simpatico ragazzone di colore dal lavoro incerto, ma questo fu ucciso in una sparatoria pochi minuti prima di firmare il contratto. John non riuscì più a piazzare quel bilocale a nessuno e la banca, alla fine, si accorse che non poteva più venderlo a quel prezzo (anche perché portava un po’ di sfiga) e così gli rimase sul groppone. Sia la casa che la perdita in bilancio.
Così, col tempo, altri appartamenti iniziarono ad essere svenduti, in cambio di un big Mac Menù grande, quello da 6,5 euro per intenderci, servito con un bel sorriso da un ragazzo palestrato, biondo dagli occhi azzurri, che un tempo pignorava le case per una prestigiosa banca americana e che ora si ritrovava a fare i toast. Tutto sommato gli era andata bene: la moglie, ex dirigente di Lehman Brothers, era stata mandata ad annaffiare le piante in Sudan. Per non parlare di Fred, suo ex collega, specialista in un’attività particolare: prendeva tutti i mutui collezionati da John e dalla sua banca, li trasformava in titoli dotati di rating (2) e li rivendeva alle altre banche e ai risparmiatori. Un vero genio della finanza! Adesso è diventato suora dopo aver cambiato sesso e dopo essersi nascosto in un convento per anni (3).
Torniamo a noi: grazie al lavoro di Fred e dei suoi corrispondenti nelle altre banche, che non smetteremo mai di ringraziare, a partire dalla seconda metà del 2008, tutte le istituzioni finanziarie mondiali si accorsero di avere in mano un sacco di carta straccia e ciò provocò stranamente un imprevedibile crollo delle azioni in tutte le borse e in tutti i settori (ad eccezione delle società che si occupavano del riciclaggio della carta straccia, tra le quali la nostra Alitalia). Quando le banche iniziarono a fallire, i sopravvissuti decisero di comune accordo di smettere di scambiarsi la carta, anche perché avevano carenza di spazio dopo il crollo delle torri gemelle ed era troppo ruvida per essere messa in bagno, e smisero di prestarsi denaro e di finanziare le imprese.
A quel punto, anche i più sprovveduti iniziarono a cagarsi sotto. Piuttosto che comprarsi il televisore al plasma da 177 pollici in 1200 comode rate, la gente decise di lanciarsi nel mondo delle scommesse sportive e del superenalotto4, seguendo così la moda lanciata negli anni passati dagli studenti milanesi e dalle pensionate campane. I consumi crollarono e la gente fu licenziata un po’ dappertutto. La contromossa fu messa in atto quando la BCE si accorse di avere tanti di quegli edifici inutili su a Bruxelles, da poterli riempire di quella carta che tanto abbondava nelle banche e così inizio a finanziarle in cambio di titoli garantiti da mutui, nella speranza che quei soldi potessero arrivare alle industrie e alle famiglie, prima o poi. Secondo voi le imprese e le famiglie ne hanno beneficiato?
Lasciando la risposta e le imprecazioni ai posteri, adesso sappiamo che anche le banche centrali sono piene di titoli inutili e di carta ruvida (il che può spiegare il nervosismo di Trichet degli ultimi mesi) e che anche i governi sono pronti a distribuire ingenti aiuti ai settori in difficoltà per “rilanciare l’economia”. Non che io sia contrario eh, chiariamo… ma sapete… quando uno sa che il proprio Stato ha già un rapporto Debito/PIL al 106% non è che poi sta tanto tranquillo quando si decide di spendere e spandere. È come se mio padre avesse debiti superiori al suo stipendio annuale e, vedendomi triste, mi …


Illuminati! È Natale…

dicembre 12th, 2008 by Roberto Priolo | No Comments

Illuminati! È Natale…

Natale sta arrivando. Siamo tutti più buoni, forse. Il mondo si illumina di mille luci. Le metropoli del pianeta si agghindano per le feste, in certi casi con uno sfarzo incredibile.
Persino chi, come il sottoscritto, ha sempre provato sentimenti contrastanti riguardo il Natale non può non chinarsi di fronte a cotanta bellezza e colore. Quest’anno poi, le varie amministrazioni comunali si stanno facendo in quattro per farci dimenticare le ristrettezze e le difficoltà che presto incontreremo, con una crisi economica incalzante i cui effetti negativi e concreti, in molti casi, ancora non si sono visti. Quello che dovrebbe essere il Natale dell’austerity sembra più che altro un Natale da boom economico. Poco importa se i consumi calano, e se molti negozi sono vuoti. Anche con un calo nei guadagni, la grande distribuzione fa festa, come sempre. I grandi marchi brindano.
A Natale bisogna fare i regali… a tutti quelli che si conoscono. Alle colleghe che stanno antipatiche, ai parenti che ci si ostina ad invitare al cenone del 24 senza davvero sapere perché, alle vecchie fiamme, ai finti amici. Non è una decisione nostra, è più che altro un qualcosa che ci viene imposto dalle convenzioni. Chi non ha voglia di passare ore e ore negli affollati centri delle città, lo fa lo stesso. Perché è giusto che sia così. Ed è così che si fa a Natale.
E non ci si può far cogliere di sorpresa, perché la corsa allo shopping natalizio è folle, disordinata, inumana. Ore di coda alle casse dei negozi, spintoni, insulti che forse ci suggeriscono che a Natale siano in pochi ad essere davvero più buoni. Negli ultimi anni sono riuscito a disintossicarmi dal Natale, non per cinismo o per qualche spinta anti-consumistica dentro di me. Semplicemente per buon senso. Non comprerò un milione e mezzo di regali, non trascorrerò giorni interi nei negozi, non spenderò un patrimonio per una ricorrenza in cui non credo. Quello che invece farò, oltre che passare tempo con la famiglia, sarà osservare la città in festa, anche se di quella festa poco mi interessa. E soprattutto, ammirare le luminarie.
A dire il vero l’ho già fatto. E nessuno, nemmeno il Grinch più incattivito, potrà negare la bellezza della grigia e fredda Milano in questi giorni. Per una volta le cose sono state fatte davvero in grande, come si addice ad una città importante.
Possiamo discorrere per ore sull’inutilità di coprire di lucine bianche la facciata del Castello Sforzesco o dello spreco di denaro ed energia che comporta l’installare dei potentissimi fari sulla Stazione Centrale (via Pisani, quella che porta in piazza della Repubblica, con i fari puntati dalla stazione al cielo, assomiglia al red carpet la notte degli Oscar). Gli automobilisti possono urlare ogni tipo di improperio contro la Moratti, visto che i fari sono assolutamente accecanti, ma non importa. Le luminarie non vengono installate perché servono a qualcosa, ma solo ed esclusivamente perché sono belle.
Naturalmente esistono un gran numero di eccezioni. Prendiamo ad esempio la mia cittadina natìa, Sanremo. Non so ancora in cosa si siano spesi i soldi quest’anno, ma posso dire che negli anni passati le viottole e le strade principali della città costiera tra le più importanti della Riviera ligure di Ponente fossero sì addobbate a festa, ma non sempre con buon gusto. Ricordo in particolare quanto fosse inquietante camminare su via Palazzo a notte inoltrata: strada deserta e pochissima luce, solo le sagome di decine di Babbi Natale gonfiabili appesi ad ogni terrazzo, come un’orda di scassinatori in maschera.
Fortunatamente però si tratta di ricordi lontani.
A Milano, come ho già detto, il Comune ha fatto sapere quanto “ci sia bisogno di speranza”, giustificando così le centinaia di migliaia di euro spesi per le illuminazioni natalizie. Il fiore all’occhiello della città al momento è naturalmente piazza Duomo, con la chiesa simbolo del capoluogo lombardo finalmente quasi del tutto spacchettata, un grande albero di Natale e la galleria maestosamente addobbata, la sua cupola ricoperta di migliaia di lucine blu. Un vero spettacolo.
Anche all’estero le grandi capitali e metropoli si preparano alle feste con illuminazioni mozzafiato, che senz’altro spingeranno alle stelle il consumo di energia elettrica e, forse, lo spirito natalizio. A Parigi gli alberi sugli Champs-Élysées sono stati foderati di lucine, sotto l’Arco di Trionfo svolazzano due gigantesche bandiere, quella francese e quella europea, una grande ruota panoramica è stata montata in Place de la Concorde, mentre la Tour Eiffel si pavoneggia con il suo colore blu, e le stelline dell’Unione Europea.
Londra, sempre sobria, ha allestito il consueto albero a Trafalgar Square, concentrandosi sulle luminarie nelle vie più importanti, da Regent Street a Oxford Street, fino ad arrivare alle installazioni luminose nella galleria di Covent Garden.
E’ come sempre New York però a schiacciare la concorrenza, con l’allestimento natalizio del Rockefeller Center, con gli angioletti, la pista di pattinaggio sotto la statua dorata di Prometeo, il gigantesco abete addobbato e i fiocchi di neve proiettati sulle pareti dei grattacieli circostanti. Nella Big Apple, nemmeno Wall Street, che quest’anno ha decisamente poco da festeggiare, ha rinunciato ad illuminarsi per Natale, con uno sfarzoso albero e migliaia di luci sul colonnato dello Stock Exchange, che, in pieno stile americano, riproducono una bandiera a stelle e striscie.
Ogni angolo del mondo si prepara alle feste. Taipei, con il grattacielo 101 (il più alto del mondo) ricoperto di LED, Berlino, con gli alberi spogli di Unter der Linden dai rami foderati di lampadine, e poi gli abeti sulla Piazza Rossa di Mosca, nella città vecchia di Praga, davanti al Campidoglio di Washington, o al Colosseo a Roma.
Sarà un Natale particolare, questo del 2008. Un Natale magro per molti, carico di preoccupazioni per tutti, di riflessioni su un anno duro che volge al termine e di uno ancora più duro alle porte.
Ma se c’è una cosa che a Natale bisogna fare, quella è festeggiare. Dimentircarsi dei guai, almeno per qualche giorno, e del portafoglio che piange, e godersi un po’ di meritato riposo in compagnia dei propri cari. Festeggiare la vita, in ogni sua forma, e indipendentemente dal …


Crisi di coppia a Clarence House

dicembre 10th, 2008 by Giovanni Cairo | 2 Comments

Crisi di coppia a Clarence House

Di solito mi guardo bene dal leggere i rotocalchi (e i giornali in generale); l’unica eccezione è quando sono dal barbiere. Tempo fa per l’appunto mi è caduto l’occhio su un articolo “rosa” che riguardava una coppia di vecchi amici, Carlo e Camilla d’Inghilterra. Ora, potreste pensare, leggendo questo articolo, che io sia solito frequentare lo spleen. Non è così, li conosco solo perché venivano sempre da me in campagna per pescare le rane nei fossi.
Secondo una pseudo-psicologa e terapista di coppia, tale Annamaria Cagoni -se ho capito bene il nome-, ci sarebbe maretta tra i coniugi più amati del Regno Unito (no, non i Beckham).
Non avevo mai visto una crisi più preoccupante da quando si scoprì che il Duca di Edinburgo, nonchè re consorte, conduceva una vita segreta come cantante degli Oasis.
Per un uomo d’azione come me, pensare significa agire. Declinai prontamente un invito per un weekend di caccia all’assicuratore, e –dopo aver inviato un telegramma a Carlo- partii verso Londra, Clarence House, W1.¹
Dopo qualche ora ero lì, pronto ad agire. Carlo mi accolse sulla soglia di casa, un po’ preoccupato perché si stava facendo buio.
Poi che ci fummo salutati come possono solo coloro che han condiviso grandi avventure (come quella volta che ci buttarono fuori dall’Old Fashion), andai nella camera che mi venne destinata per cambiarmi per la cena. Visto che mi era sembrato un po’ giù di corda, decisi di indossare l’uniforme di gala dei Queen’s Own Ausiliari della Sosta, reggimento di cui entrambi abbiamo fatto parte in gioventù. Mi cambiai in un lampo e scesi.
Ora, devo rendere onore al merito: Carlo non ha ereditato la taccagneria della madre, e nonostante fossimo solo noi due, cenammo lui in frack e io in alta uniforme, ambedue con decorazioni. Unica pecca fu che la sala era poco illuminata, giacchè non può permettersi di accendere tutte le luci –e sono molte- con la miserrima rendita che gli passa la Civil List.
Durante la cena tuttavia, c’era un’atmosfera poco rilassata, parlammo di cose banali (“Ci vai al concerto di Alan Sorrenti?”), ma potevo capire che gli premeva raccontare qualcosa di delicato.
Poi che se ne fu andata la servitù, rimasti soli col porto, dopo aver acceso un sigaro con aria meditabonda, mi disse: “Vedi, credo che tra la Cami e me non ci sia più complicità”.
Lo guardai negli occhi.
“Ma che cavolo mi significa?” esclamai “Complicità in che senso? Complicità in frode? Associazione a delinquere? La stangata? Non capisco. Talk sense, man!”
“Ma no, vedi, mentre ero in bagno ho letto una di quelle riviste femminili –tipo donna moderna- che legge Camilla, e c’era scritto che è essenziale per una coppia mantenere una certa complicità tra di loro e…”. Lo interruppi bruscamente, per quanto si possa interrompere un ciarlone come lui.
“Ma tu ti fai condizionare dalle riviste che trovi in bagno? Per esperienza, certe riviste son buone solo come diversivo dalla carta igienica, te lo posso garantire”.
Capivo comunque che non era quello il grave problema che lo attanagliava, lo si intuiva dalla maniera in cui si era annodato il cravattino.
“Avanti, sputa il rospo, vecchio mio”.
Il principe del Galles scoppiò in lacrime. Era piuttosto imbarazzante come situazione, e per stemperare dissi: “Senti, ma se devi proprio piangere come un bambino, dai… un uomo fatto e finito come te. Se ti vedesse tua madre!”
Carlo si riprese, e si confidò. La res, mi spiegò, consisteva nel fatto che Camilla sta scomposta a tavola.
Trasalii.
Non si può dare torto a un uomo sensibile come lui. Io stesso rinunciai a sposare Rania, ora regina di Giordania, per lo stesso motivo. Si vede che Abdullah ci fa meno caso, o magari io sono ipersensibile. Ma immagino abbiate visto le foto di quest’estate, dove Rania ingurgitava un bignè con un’espressione di pura goduria culinaria. Ma sono cose da pubblicare sui giornali? Lasciamo perdere che se no mi viene il nervoso. Come quella volta che smisi di frequentare Paris Hilton quando lei mi regalò una cravatta gialla. Gialla per l’amor del cielo! Dovrebbe esserci una legge.
Tornando a noi, rimasi così di stucco che avrei fatto la gioia di un tassidermista a corto di animali da impagliare.
“Passami ancora un po’ di porto”, dissi.
Il problema era spinoso: si doveva trovare un modo per insegnarle il galateo senza richiamare l’attenzione dei media, che l’avrebbero messa alla berlina mettendo così a rischio la credibilità dell’Impero e del Commonwealth. Dovevamo pertanto fingere di inviarla in qualche missione diplomatica di copertura, mentre qualcuno le avrebbe insegnato i rudimenti del savoir vivre. Ma dove?
Fu in quel momento che notai una luce negli occhi dell’erede al trono che non mi piaceva affatto.
Vi siete chiesti perché è un po’ che Camilla, duchessa di Cornovaglia, non si vede sui giornali? Perché è a casa mia, per imparare, dal mio fulgido esempio, le buone maniere. Stasera, affronteremo il delicato argomento “Come non dare testimonianze udibili del mangiare la zuppa”.
 
1) Per inciso, non date retta a quanti dicono che sono senza fissa dimora, o peggio, che abiti a casa loro. Io ho una mia casa, solo che ci sono i fantasmi, come ho già scritto in un precedente articolo. Il problema è che scrivendolo mi sono suggestionato da solo e allora ho pensato che mi avrebbe fatto bene cambiare un po’ aria.


Guida Immaginaria ad una Milano Inesistente

dicembre 1st, 2008 by Rocco Polin | 6 Comments

Guida Immaginaria ad una Milano Inesistente

Non importa che città si decida di visitare; sia essa Parigi, Gerusalemme o New York. Prima della partenza spunta sempre un amico che, avendoci vissuto per un periodo più o meno lungo per ragioni di studio o di lavoro, vi compila una lista delle dieci cose da non perdere assolutamente.
Nel nostro caso la città era New York. L’ultima sera, davanti ad una birra, abbiamo riletto gli elenchi e ripensato a quanto fatto e visto nei giorni precedenti. Immancabilmente abbiamo cominciato a contrapporre la città appena visitata alla triste Milano che ci attendeva, sempre uguale, al nostro ritorno. Ad un certo punto qualcuno di noi, impietoso, ha chiesto “ma se dovessimo consigliare le dieci cose da non perdere a Milano, cosa consiglieremmo?”
Ne è venuto fuori un elenco delle cose che a Milano non ci sono, che vorremmo che ci fossero, che dovrebbero esserci, che non ci saranno mai, che sono anni che aspettiamo senza risultato. Dieci punti di una guida immaginaria ad una Milano inesistente.
Dieci cose da non perdere a Milano
1. Per una prima impressione della città potresti fare un giro sulle antiche mura normanne. Sali da Porta Lodovica e prosegui in senso orario lasciandoti sulla destra il mercato coperto (nota la bellissima struttura in ferro battuto risalente alla dominazione austriaca). Dalle mura potrai farti un’idea della conformazione della città, della sua pianta circolare, potrai vedere i tetti e le strade brulicanti di vita.
2. Sceso dalle mura ti consigliamo di fare un giro a piedi nel centro storico. Da quando l’introduzione dell’eco pass ha ridotto quasi a zero il traffico e l’inquinamento è davvero un piacere girovagare senza meta guardando le vetrine, la gente e i monumenti della nostra bella città.
3. In un giorno di bel tempo vale davvero la pena di fare un giro sui colli. Per pranzo potresti andare da Giulio, ottima trattoria a poco prezzo da cui si gode di una vista impareggiabile del nuovo skyline milanese con i grattacieli di  Libenskind, Isozaki e Hadid e quelli (costruiti in tempo record) di Garibaldi-Repubblica.
4. Sempre in caso di bel tempo ti consigliamo di dedicarti alla scoperta dei Navigli, un gioiello milanese che amministrazione e cittadinanza negli ultimi anni hanno fatto a gara a valorizzare. Potresti sia fare un giro in barca nei canali navigabili riscoperti dalla giunta Moratti in occasione dell’Expo sia goderti lo spettacolo dei Milanesi che al primo raggio di sole si riversano sulle rive e sui ponti a fare pic nic, a giocare a bocce o anche solo a fare due chicchere dimostrando un amore commovente per la propria città e per i suoi tesori.
5. La linea sei della metropolitana ti porta invece dalla nuovissima Biblioteca Europea di Informazione e Cultura (Beic) al Museo della Moda e del Design, due edifici degni di una città giustamente fiera di essere la capitale italiana dell’editoria e una delle capitali mondiali della moda e del design.
6. Bellissima anche la zona del porto. Recentemente scoperta da artisti e giovani coppie a nostro avviso mantiene inalterato (anche se chissà per quanto) il suo fascino popolare. Loft e gallerie d’arte stanno lentamente prendendo il posto di case chiuse e pescherie ma la trasformazione è graduale e rispettosa del contesto. Imperdibile il mercato del pesce il martedì mattina così come l’arrivo del traghetto da Pavia. Al molo 36 cerca il banchetto del signor Claudio che da quarant’anni sguscia ricci di mare e li serve ai passanti con una spruzzata di limone.
7. Come tutte le capitali europee che si rispettino anche Milano è arricchita dal contributo dei suoi cittadini di origine straniera. L’accoglienza e la curiosità per le altre culture dei milanesi hanno subito fatto sentire a casa le nuove comunità immigrate che si sono sentite incentivate a mettere a disposizione della città il loro patrimonio di tradizioni cosi come le loro energie fresche e la loro voglia di mettersi alla prova. Due esempi da non perdere sono l’integrazione della comunità cinese e di quella rom. Simbolo di questo fecondo incontro tra la lungimiranza della nostra amministrazione, l’accoglienza dei Milanesi e l’apertura delle comunità immigrate è però senza dubbio la nuova grande moschea. Ti consigliamo di visitarla e, se hai tempo, di fare un salto al piccolo ma delizioso museo adiacente al centro culturale islamico.
8. Quando arrivi informati sulle feste di quartiere. I Milanesi sono famosi per il loro senso della comunità e il loro attaccamento alla propria città; due qualità che spiegano come Milano sia riuscita, nonostante lo sviluppo economico e demografico, a mantenere un’atmosfera quasi paesana. In occasione delle Cinque Giornate ad esempio numerosi comitati di quartiere chiudono per qualche ora le vie del centro e organizzano cene all’aperto. Le strade si riempiono di lunghe tavolate imbandite di prodotti tipici e milanesi e turisti si ritrovano insieme a celebrare una delle pagine più eroiche della loro storia cittadina.
9. Per quanto la recente liberalizzazione abbia reso i taxi a Milano tra i meno costosi e i più facilmente disponibili dell’Europa occidentale e per quanto le 8 linee metropolitane coprano virtualmente l’intero territorio cittadino ti consigliamo comunque di utilizzare uno dei numerosi servizi di bike sharing e bike renting messi a disposizione dall’amministrazione comunale. Avrai cosi modo di apprezzare le nostre piste ciclabili e il rispetto quasi religioso che l’automobilista milanese porta al ciclista, vera e propria vacca sacra dell’incrocio meneghino.
10. Se, nonostante le mille attrazioni del centro cittadino, ti rimanesse tempo devi assolutamente visitare almeno uno dei quartieri decentrati. Una volta li avremmo detti periferici ma da qualche anno Milano è diventata una città che potremmo definire policentrica. Invece di orbitare intorno a poche strade congestionate e con affitti alle stelle, i cittadini  milanesi, aiutati da una lungimirante politica dell’amministrazione, hanno fatto rivivere le loro periferie. Da Corisco a Comasina, dalla Barona a Baggio è un fiorire di cinema d’essai, deliziosi caffè all’aperto, locali dove ascoltare buona musica dal vivo, biblioteche di quartiere e ottimi ristoranti a poco prezzo.
Speriamo che questi nostri consigli ti siano utili ma se anche perdi la lista non ti preoccupare, fatti guidare dall’istinto, è difficile non innamorarsi di …


Spacciatori d’inchiostro

novembre 28th, 2008 by Giovanni Cairo | 3 Comments

È triste, per un lettore sussiegoso come me, dover confessare di essere caduto nella più bieca e prevedibile delle trappole. Tuttavia, spero che dalla mia contrizione nasca un messaggio positivo per le generazioni future, e che questa testimonianza diventi un monito per i lettori sventurati. È sempre bene imparare dagli errori degli altri.
Il mio fallo consiste nell’aver ceduto alla tentazione di acquistare uno di quei libri che vengono regolarmente venduti a pacchi prima di Natale. Il titolo sembrava stuzzicare il mio appetito letterario, la “confezione” era attraente e prometteva rassicuranti sorrisi di compiacimento, come se parlassi con un vecchio amico.
Invece sono cascato nelle trappole editoriali che servono a dare alla gente la convinzione di aver letto un bel libro, sbolognando loro quelli che chiamo “libri da marchettari”.
Il libro di cui parlo si presenta come uno spiritoso manuale di sopravvivenza sociale, scritto a due mani, e lodato dal critico di una rivista (che probabilmente si sarà intascato qualche mazzetta) che ho sfogliato recentemente mentre ero in bagno. Ciò mi fornisce uno spunto per la futura collocazione del suddetto libro.
Quest’orrido libercolo che appariva facile e frivolo –come mettersi a bere un bicchierino di vodka alla pesca- si è rivelato un ammasso di cretinaggini filosofeggianti e di citazioni incomprensibili. Un’ottantina di pagine, gorgheggianti di allusioni insulse, che hanno avuto il risultato di farmi sentire un cretino, sia per l’esborso di quattrini che per la tortura cui mi sono sottoposto.
È su questo che vorrei portare l’attenzione. I libri che ci spacciano come capolavori. I bestseller.
Non so voi, ma a me il termine “bestseller” fa venire in mente le bestie di Satana.
Spesso si tratta di cagate d’oro massiccio, tanto per citare il commercialissimo ma sottovalutato film “Love actually”.
Vorrei stigmatizzare la faciloneria di certi scrittori e la cieca cupidigia con cui editori e venditori di libri (non librai) ci appioppano le più grandiose schifezze nella folle corsa pel danaro, approfittando della tontoloneria con cui molti, me compreso, acquistano certi rigurgiti subletterari.
Molti “abbagli” sono causati dai titoli. Sarei capace anch’io di vendere una “Retrospettiva post-dadaista marinettiana applicata all’onanismo vudù” intitolandola “Come aver successo con le donne”; ossia, spacciare un libro orrendo, o mal scritto, e godermi la gloria del successo letterario per meriti puramente d’incasso.
Pongo all’attenzione dei lettori alcuni interrogativi, per avvalorare le mie strampalate teorie.
Quanti scrittori così ci saranno? Quanti di noi avranno letto libri simili? Penso sia capitato a tutti. Più volte mi è successo di sottopormi a queste ordalie libresche, sovente di mia spontanea volontà, non dietro il diktat dei professori del liceo.
Ancora: questi libri di cui parlo sono mai stati letti dall’editore o dal responsabile delle pubblicazioni? O da chi li vende? Se sì, come accidenti fanno a dormire la notte?
Forse sono un caso limite. Se consiglio a degli amici un libro brutto o scritto male, o che offende la loro sensibilità, mi guarderanno ancora nello stesso modo? Mi terranno nella stessa considerazione?
Sono problemi che evidentemente non sfiorano le coscienze degli editori.
So di non essere l’unico. Ma di chi è la colpa di tanta sofferenza? Di autori privi di dignità, che sperano in guadagni facili, e non esitano a vendersi come meretrici con un libro dal titolo appariscente e dalla prosa belluina? O la colpa forse è di editori senza scrupoli, che sguazzano nei miliardi di introiti, danaro macchiato di sangue e inchiostro che soffoca la coscienza di aver gettato in pasto al pubblico un orrore?
Come se Briatore vendesse una magnum di arsenico ai beoti paganti e gongolanti del Billionaire!¹
Non si sentono come Dorian Gray, di fronte al suo ritratto deforme?
No, poiché ci troviamo di fronte a una cospirazione!
Riflettiamo su questo fatto. Vi prego di aver ancora un po’ di pazienza,  e questi miei deliranti strali morranno; avrà fine questa prosa baroccheggiante e folle, non senza aver però scoccato il velenoso quanto effimero dardo.
Chi decide quale libro viene esposto sugli scaffali? Ci ho pensato più volte. Forse sono uno snob del libro, ma quante volte schifezze inaudite arrivano in cima alle classifiche? Non è che forse sono stati aiutati da una fortunata disposizione nelle librerie? Qui lo dico e qui lo nego, non voglio che la potente lobby degli editori mi metta lo zucchero nel serbatoio del motorino. Ma la mia mente perversa non può fare a meno di pensare a un clandestino mondo di tangenti ai librai, a una mafia della carta stampata.
Chissà invece quanti scrittori avranno avuto (e hanno) successo perché “gente del partito”.
Non mi riferisco solo ai partiti politici, ma anche alle cricche letterarie, sindacati di scrittori che si reggono in piedi sostenendosi l’un l’altro. Nel “Disco volante” di Tinto Brass², Alberto Sordi, interpretando uno scrittore di provincia non pubblicato, diceva a una telecamera di passaggio nel suo paese: “Ci sono in provincia scrittori di grande valore che a Roma vengono boicottati dai soliti Moravia e dai soliti Pasolini”.
Esagero? Pensiamo però alle tribolazioni di Giuseppe di Lampedusa per la pubblicazione del Gattopardo, che fu rifiutato di editore in editore; respinto da una selva di scrittorucoli neorealisti, famosi all’epoca per meriti politici e non letterari. Alla fine ne morì.
Non riesco a spiegarmi come si possano vendere libri commerciali di autori pseudo-impegnati; o peggio, di “gente che tiene corsi di scrittura creativa” per citare il tanto vituperato Luttazzi. Eppure anch’io, che fremo e m’indigno, ci son cascato.
Tuttavia mi rifiuto di credere che in Italia esista un pubblico “deficiente”. Non voglio crederci; checchè ne dicano certi sapientoni da quattro soldi.
Una piccola riserva, però, i lettori la meritano. Non c’è un pubblico “deficiente”; esiste un pubblico sottomesso, che legge gli intrugli di inchiostro che vengono propinati, non so quanto consapevolmente.
E ciò, mi spiace dirlo, potrebbe generare un pubblico veramente deficiente. L’ingordigia della cricca assetata di soldi degli editori e dei supermarket del libro, unita alla remissività del pubblico, rischia di spianare la strada verso l’abisso. Inutile ricordare che chi controlla la stampa controlla il potere, ma nelle mie torbide visioni si sta creando il brodo primordiale per un controllo della cultura. Un grande fratello orwelliano dove la cultura verrà annichilita da libri facili e …


Chi ha paura del buio?

novembre 20th, 2008 by Federico Berlingieri | No Comments

Chi ha paura del buio?

Di giorno la luce, di notte il buio. Questa sicurezza rischia di vacillare visto che, per accontentare i nostri vizi, fra qualche anno potrebbe non essere più così.
Organizzazioni di scienziati sempre più allarmati denunciano con forza la progressiva riduzione del buio dovuta ad un incontrollato utilizzo della luce artificiale. Gli errori nella progettazione dell’illuminazione, inevitabili considerando la scarsa consapevolezza dei potenziali rischi, fanno si, che, all’atto di disperdersi esternamente, la luce si diriga verso l’alto in direzione del cielo.

L’oscurità notturna viene così radicalmente ridotta, in certi casi cancellata, e questo non solo a discapito di chi ama contemplare il cielo stellato; le creature notturne faticano infatti a riprodursi in seguito allo sconvolgimento dei bioritmi dovuti all’artificiale ingerenza dell’uomo. Per capire la forza dello squilibrio causato, gli esperti invitano ad immaginare di essere obbligati ad addormentarsi in una stanza illuminata, oppure, viceversa, svegliarsi la mattina e rimanere immersi nel buio pesto per tutto il trascorrere della giornata. Cosa ne sarebbe del nostro equilibrio psicofisico?
Per gli uccelli, ad esempio, più luce significa più necessità di cibo, mangiare di più porta ad ingrassare prima, questo causa l’alterazione dei periodi migratori e così via…
Molti animali rischiano di impazzire o di estinguersi dunque, ma neanche l’essere umano (il re della città) è immune da rischi. Ai già noti problemi di sonno, stress, indebolimento del sistema nervoso si sono aggiunte nuove inquietanti scoperte: alcuni ricercatori dell’università di Haifa in Israele hanno infatti individuato un legame fra l’illuminazione notturna e l’incidenza del cancro al seno nelle donne.
A questi pericoli di salute potenzialmente devastanti va aggiunto il danno economico procurato dallo spreco di energia elettrica utilizzata per illuminare zone totalmente inutilizzabili come la “volta celeste”.
La protezione del buio notturno è affidata ad organizzazioni senza scopo di lucro come la prestigiosa “International Dark-Sky Association” nata negli Stati Uniti nel 1988. La “IDA” propone lo sviluppo di un’illuminazione sostenibile dall’ecosistema e recentemente ha nominato la zona del “Natural Bridges National Monument” nello Utah primo “Dark Sky Park“, ossia primo luogo dove poter recuperare il contatto con un cielo “sano”.
Della vicenda lascia ben sperare la consapevolezza che l’inquinamento luminoso rappresenta la forma di violenza alla natura più facilmente debellabile. Tecnologie oramai collaudate consentiranno in futuro di continuare ad avere strade e palazzi illuminati in modo funzionale ma molto meno invasivo; certo un intervento deciso sembra necessario visto e considerato che, dati alla mano, l’Italia risulta essere circa dieci volte più illuminata di quanto dovrebbe essere. Non a caso per risolvere il problema il nostro paese ha sviluppato una ricerca scientifica all’avanguardia ben affiancata da leggi efficaci anche se ancora troppo generiche. In parecchi comuni dello stivale, grazie all’intervento di organizzazioni e di studiosi, si è potuto ridurre considerevolmente il flusso di luce indirizzato verso l’altro e con esso anche il dispendio energetico.

Non resta che augurarsi un futuro più buio.



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