Riso: che passione!

febbraio 24th, 2009 by Valentina Clemente | No Comments

 Riso: che passione!

Intervista a Carlo Zaccaria, titolare dell’omonima azienda di riso.
Attraverso le sue parole scopriamo caratteristiche e peculiarità di un
amido semplice ma assai ricco. E magari, in una delle prossime cene ad
un ristorante giapponese, guarderete al piatto di sushi e sashimi con
un sano orgoglio italiano…!
 
* Che cosa rappresenta il riso per te?
* E’ il riso che fa la differenza o l’ingrediente?
* La crisi colpisce il settore alimentare: qualità e prezzo vanno d’accordo?
* L’Italia e l’Impero del Sol Levante: c’è un po’ di Italia nel Sushi?
 


Le radici secolari della sushi-mania

febbraio 17th, 2009 by Carolina Saporiti | 1 Comment

Le radici secolari della sushi-mania

Più che di passione sarebbe giusto parlare di moda. Mi riferisco al “fenomeno sushi” che ha invaso l’Italia e il mondo intero. In ogni grande città, ma anche in quelle piccole, si trova infatti almeno un ristorante giapponese o meglio un ristorante sushi. A differenza di quanto pensano in molti, il sushi è solo uno dei piatti tipici della cucina nipponica e, nelle grandi città come per esempio Londra, è possibile mangiare in ristoranti che servono molti piatti tipici giapponesi, ma non il sushi (da provare).
Quella che oggigiorno è diventata una vera e propria mania ha però una tradizione secolare alle spalle. La storia del sushi è incerta: alcune fonti ritengono che l’origine del piatto debba essere fatta risalire all’VII secolo quando i monaci buddisti tornando dalla Cina portarono con sé l’inimitabile ricetta, altri spostano in avanti di alcuni secoli la nascita di questo piatto.
Se incerta è la data di nascita del sushi, certe sono invece le origini sud-est asiatiche e le modalità con cui questo piatto è nato. Per tenere fresco e far fermentare il pesce si cominciò a conservarlo nel riso condito con sale. In origine, dopo la fermentazione, solo il pesce veniva mangiato mentre il riso veniva scartato. Successivamente per accelerare il processo di fermentazione e aumentarne il sapore, oltre al sale, nel riso venne aggiunto l’aceto in grado di rompere le catene di aminoacidi con maggiore velocità.
L’ultima parola nello sviluppo del piatto spetta però a Hanaya Yohei (1799-1858) che inventò il piatto che oggi noi conosciamo come sushi: un piatto preparato velocemente, che non richiedeva la fermentazione del pesce e che anticipava il moderno concetto di fast-food dal momento che questi bocconcini preparati con pesce e riso possono essere mangiati tenendoli in mano, mentre si cammina o a teatro. Il  sushi di Yohei veniva realizzato esclusivamente con il pesce della baia di Tokyo e da qui prese il nome di Edomae zushi (sushi della baia di Edo, Tokyo appunto); questo è il piatto che, con alcune modifiche e con nuovi apporti degli chef durante gli anni, ha conquistato le bocche dei giapponesi prima e quelle di tutto il mondo poi.
La parola sushi letteralmente significa “il suo sapore” e oggi indica il riso condito con aceto di riso, cucinato insieme ad altri ingredienti quali il pesce crudo (salmone, tonno, gamberi, calamari…), carne o verdure varie. Un altro ingrediente fondamentale è poi il nori ossia l’alga con cui viene avvolto il riso e che viene usata come condimento. L’unica alga usata nella preparazione del sushi è quella coltivata nei porti giapponesi e, mentre oggi in giro per il mondo si è soliti farla essiccare in modo artificiale, la pratica originaria prevedeva la naturale essicazione al sole. Se la scelta dell’alga non è libera, anzi è solo una la varietà che può essere usata, altrettanto difficile è la selezione del riso. Per il sushi si usa il riso bianco giapponese a grano corto, condito, come si diceva, con aceto di riso, sale, zucchero, talvolta kombu (un altro tipo di alga) e sake e, prima di essere lavorato, deve essere lasciato raffreddare fino a temperatura ambiente. Infine per arricchire il sapore del sushi si possono aggiungere altri condimenti quali la salsa di soia, il wasabi e lo zenzero sottaceto.
Nonostante la grande diffusione del sushi nel mondo e la facilità con cui vengono aperti ristoranti specializzati nella preparazione di questi piatti, in Giappone la cucina sushi è considerata una vera e propria arte e per questo motivo diventare “maestro di sushi” richiede una lunga gavetta: per i primi due anni l’apprendista può solo guardare il proprio maestro al lavoro e fare il lavapiatti; in seguito può passare a cuocere il riso, che è ritenuta una procedura molto importante e difficile e, infine (dopo quattro anni), può apprendere l’arte della scelta del pesce, del taglio e della composizione dei singoli piatti. Se ciò è vero in Giappone, al di fuori di esso è invece raro trovare un ristorante sushi che risponda a tutte le esigenze e le richieste del “vero sushi”. È per esempio facile mangiare in ristoranti giapponesi che di giapponese non hanno nulla, né i cuochi (magari cinesi o coreani per ingannare il cliente che vedendo visi orientali pensa di aver scelto il ristorante giusto) né gli ingredienti, né tantomeno l’arredamento. Qualcuno potrebbe rimanere male nello scoprire che il ristorante giapponese scelto non ha niente di giapponese e potrebbe criticarne fortemente i proprietari, ma, d’altra parte, quando noi italiani andiamo all’estero e vediamo l’insegna di un ristorante che vanta “la vera pizza italiana”, non guardiamo con un sorriso misto a compassione la gente impegnata a mangiare una versione rivisitata di uno dei nostri piatti tradizionali e, semplicemente, ridiamo e scegliamo un altro ristorante?


Stasera bevo biologico

gennaio 26th, 2009 by Giovanni Biglino | No Comments

Stasera bevo biologico

Saf non è soltanto un ristorante vegetariano all’angolo fra Curtain road e Old street.
Il ristorante, già presente ad Istanbul e a Monaco, è stato inaugurato meno di un anno fa nel quartiere scrostato-chic di Hoxton, là dove locali alla moda si alternano alle influenti gallerie d’arte White Cube o Victoria Miro, dove le strade si chiamano come le persone (Charlotte road o Leonard street) e dove si può respirare a pieni polmoni un certo profumo trasandato molto londinese. Saf propone raw food, ossia cibo servito crudo o cucinato a bassissima temperatura per preservarne le proprietà nutritive, e gli abbinamenti riescono ad essere sorprendentemente originali. Le lampade sono ricavate da sottili fogli di legno e spandono una luce calda, le pareti sono dipinte con colori neutri, di sottofondo la musica è intonata al locale (un accompagnamento a base di Air o Cinematic Orchestra) ma, così come il cibo creato dallo chef Chad Sarno riesce a stupire con pochi ingredienti organici, talvolta nella playlist si intrufola una chicca degli anni Ottanta.
Forse il punto di forza di Saf è il suo bar, dove il mixologist Joe McCanta ed il suo staff preparano per i clienti cocktail botanici, mescolando erbe aromatiche, frutta freschissima e alcolici organici. Rum, champagne, fiori freschi, timo, albicocche, anice stellato, rosmarino, sedano, bacche di ogni sorta: ogni cocktail racchiude un bouquet di sapori intriganti e originali. E, tra un cocktail e l’altro, Joe McCanta ci ha parlato di Saf, dei suoi bar preferiti, dell’impatto ambientale dei ristoranti, delle provocazioni dei critici gastronomici e, ovviamente, dei suoi cocktail botanici.
1) Saf sta per celebrare il suo primo compleanno; com’è stata l’esperienza sino ad oggi in termini di risposta del pubblico, di evoluzione del concetto e dell’interesse per i cocktail botanici?
Siamo estremamente fortunati, la risposta al nostro progetto è stata decisamente entusiasta. Per quanto riguarda il bar c’è stato molto interesse e copertura da parte della stampa, perchè ciò che offriamo coi cocktail è la combinazione di prodotti della più alta qualità e di ingredienti freschissimi – una combinazione vincente. Molti bar non si focalizzano sulla freschezza e posso capire perchè, in quanto la freschezza richiede tempo, devozione e passione. Dunque i nostri cocktail possono magari essere serviti più lentamente ma non dimentichiamoci che per decenni questo è stato  il modo di condurre un bar.
2) L’avventura di Saf è cominciata ad Istanbul e poi a Monaco. Londra non era ancora pronta?
Tutt’altro. Londra al contrario era probabilmente la città più pronta per accogliere un progetto del genere. C’è una grande cultura per quanto concerne il cibo biologico e ci sono bar di primissima qualità. I proprietari hanno voluto sbarcare a Londra con stile e soprattutto dopo aver già collaudato il brand in Europa. È stata un’ottima mossa, in quanto le aperture precedenti hanno collaborato a creare aspettativa per il ristorante londinese che ora è senza dubbio il quartier generale.
3) Hoxton sembra il quartiere perfetto per Saf  – l’avete scelto per la sua atmosfera?
Esattamente. Non solo l’atmosfera è vivace, creativa, giovane, alla moda, ma per quanto concerne i bar c’è una concentrazione incredibile di cocktail spots eccellenti che fanno di Hoxton l’epicentro di bar davvero fantastici. Quando non lavoro facilmente mi trovo a bere qualcosa all’East Room, al Lounge Bohemia, all’Hoxton Pony, all’Hawksmoore, che forse è il mio preferito, e molti altri locali dove lavorano bartenders appassionati e creativi. Personalmente vorrei creare un “Shoreditch Cocktail Trail” nel quale raggruppare questi locali straordinari.
4) Il raw food è partito dagli Stati Uniti e pare che in Europa il fenomeno non sia ancora dilagato nello stesso modo. Che cosa ne pensi?
Sono d’accordo. La gente dimentica che il raw food è stato introdotto nei ristoranti in più parti del mondo più di 30 anni fa, ma pare che ora più che mai ci sia interesse negli Stati Uniti e che questo stia lentamente espandendosi. Libri come “The China Study” e le preoccupazioni crescenti di molte persone riguardo ai costi dell’assistenza sanitaria fanno sì che misure preventive come una dieta sana e l’esercizio fisico diventino delle priorità. Ma senza il piacere la vita sarebbe molto piatta! Dunque noi cerchiamo di offrire cibo che sia fresco e creativo tenendo in considerazione aspetti salutisti. C’è molto interesse per questo tipo di cucina anche da parte di grandi marche europee e americane e penso che il 2009 vedrà il raw food crescere in modo esponenziale.
5) Puoi spiegare il concetto dei cocktail botanici?
L’idea del “botanico” è quella di guardare alla storia dei cocktail o anzi degli stessi alcolici. Che si tratti di New Orleans nell’Ottocento, di Amsterdam nel Seicento, o dei monasteri francesi nel Settecento, oppure di centinaia di anni di cultura popolare, gli alcolici erano usati per tenere in sospensione varie spezie, erbe, radici, cortecce. Questi alcolici venivano poi usati a scopo terapeutico – per aiutare la digestione, ad esempio, o per guarire una malattia. Ma era difficile berli allo stato puro in quanto molti di questi sapori erano troppo amari o troppo intensi. Così ingegnosi speziali li proponevano mescolandoli con altri sapori per coprirne il gusto ed ecco il primo cocktail della storia. Quello che faccio coi cocktail botanici è mescolare alcolici di nicchia, naturali e spesso organici, infusioni fatte in casa e gli ingredienti più freschi – frutti di bosco locali, erbe aromatiche fresche, succhi appena spremuti. Usiamo anche parecchie ricette classiche di cocktail del periodo antecedente al Proibizionismo nelle quali troviamo questi ingredienti. Dunque un cocktail botanico è la combinazione degli ingredienti migliori con metodi antichi.
6) Qual è la tua opinione sull’impatto ambientale dei ristoranti?
Proprio in questo momento sto lavorando moltissimo per lanciare il primo programma europeo di “Green Bar Certification” e ho la fortuna di essere appoggiato da alcune importanti marche di alcolici.  Come il mio collega H. Joseph Ehrmann sta facendo negli Stati Uniti, il programma offrirà supporto e consigli per bar che vogliono diventare più ecologici. I ristoranti e i bar faranno sempre parte delle nostre città e della nostra cultura e quindi è necessario lavorare in modo responsabile come in altri settori per fare in modo che …


Ricetta per “Il Tamarindo” dello chef Antonello Colonna

dicembre 11th, 2008 by Valentina Clemente | 3 Comments

Ricetta per

 
 
Ricetta per “Il Tamarindo” dello chef Antonello Colonna.
Artista del palato, del gusto e del sapore, lo Chef ha creato estemporaneamente una ricetta a base di patate per i lettori de “Il Tamarindo”.
Da provare ma soprattutto..da gustare!
 
 


La patata tra tradizione, innovazione e interpretazione

novembre 28th, 2008 by Valentina Clemente | No Comments

La patata tra tradizione, innovazione e interpretazione

 
 
Antonello Colonna, chef romano di fama internazionale, inaugura la sezione cucina de “Il Tamarindo” con un’intervista dedicata… alla patata.
Un ricco dialogo che ci permette di conoscere a fondo le origini, le passioni che guidano un uomo amante di un’arte culinaria basata sulla tradizione, innovazione e interpretazione.
Una cucina tutta da scoprire!
 
Domande:
1) È d’accordo con l’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha definito la patata “tesoro nascosto”?
2) Come ha iniziato ad appassionarsi a quest’arte? E come risponde al luogo comune che definisce la cucina e il cucinare come “cose da donna”?
3) Come nascono le sue ricette?
 
 
 
 
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