Se Lisbona non basta

novembre 22nd, 2009 by Francesco Vannutelli | No Comments

Se Lisbona non basta

Diciamoci la verità: la nomina di Herman Van Rompuy e della baronessa Ashton alle nuove posizioni di vertice dell’Unione Europea rappresentano una bella delusione.
Nelle settimane precedenti alle nomine erano circolati altri nomi, e che nomi. Tony Blair presidente o David Miliband mister Pesc, con l’alternativa Massimo D’Alema pronta a subentrare nel ruolo di ministro degli esteri. Personaggi di alto profilo, ben noti sul piano internazionale, Blair su tutti, e pronti a far partire da subito e con forza le nuove figure di potere previste dal trattato di Lisbona.
E allora cosa è cambiato nel frattempo? Perchè si sono scelti dei (quasi) Signori Nessuno?
La scelta di nominare due personalità non rilevanti a livello europeo, né universalmente note e stimate, sembra rispondere alla volontà dei governi nazionali di non vedersi surclassare dai  nuovi arrivati, per continuare, quindi, a mantenere un ruolo preminente sulla scelta delle politiche dell’Unione e sull’opinione pubblica. È chiaro: di fronte ad un Europa più forte, i primi a rimetterci sarebbero i singoli Paesi europei che si vedrebbero privati della loro capacità decisionale. Personaggi forti al vertice, soprattutto un Blair, sarebbero stati più difficilmente controllabili da Londra e dai singoli Parlamenti, e avrebbero avuto canali di dialogo immediati con i media, potendo contare direttamente sul loro prestigio personale.
Van Rompuy e Lady Ashton, con tutto il rispetto per le loro rispettive carriere nazionali, sono poco più che sconosciuti al di fuori dei propri paesi di origine e non esercitano sulla stampa quel fascino in grado di catalizzare l’attenzione permanentemente.
Soffermandoci sulla nomina del responsabile della politica estera, poi, è possibile fare delle considerazioni più generali su queste novità europee. Dopo il ritiro della candidatura di David Miliband voluta da Gordon Brown, l’unico nome di peso rimasto sul piatto era quello di Massimo D’Alema. L’ex presidente del Consiglio è noto a livello internazionale per gli incarichi ricoperti in passato in Italia, godeva dell’appoggio del leader del PSE Martin Schulz e inoltre rappresentava quel PD che, dopo mille tribolazioni, aveva deciso di confluire nel partito socialista europeo e aveva ottenuto, nelle ultime elezioni europee, il maggior numero di voti tra tutti i partiti dell’area riformista. Tutte le carte in regola, insomma, per ottenere la poltrona. Sarebbe stata una bella scossa, per l’Italia e per il Partito Democratico.
Non si erano fatti i conti con Londra, però, e con la risposta che morettianamente riserva da anni alla chiamata europea: “Vengo, no non vengo. Vengo e mi metto così, vicino ad una finestra, controluce”. E controluce dalla sua finestra la Gran Bretagna prima ha visto sfumare la candidatura di Blair alla presidenza, troppo in disparte per essere il leader, e poi ha preteso di sancire la propria posizione in Europa occupando l’altro incarico rimasto. Il 10 novembre Gordon Brown annunciò che David Miliband non era candidato al ruolo di Mister Pesc perchè il governo inglese era interessato esclusivamente ad appoggiare la nomina di Blair all’incarico di presidente. Questo sembrava aprire le porte a D’Alema. Dopo che però fu chiaro che la poltrona di presidente sarebbe andata ad un popolare, ecco pronta la marcia indietro britannica. Va bene pure mister Pesc, Miliband ormai è bruciato, troviamo un altro nome.
La decisione britannica di puntare agli Esteri è stata appoggiata da un articolo del Financial Times che definiva D’Alema “ferrato negli intrighi della politica nazionale” ma non adatto ad un ruolo internazionale, visto che non è neanche in grado di parlare fluentemente inglese.
Ed ecco arrivare la nomina della baronessa Ashton, che  ha messo in evidenza, inoltre, la debolezza del PSE rispetto ai partiti nazionali che lo compongono. Mentre Schulz e i vertici appoggiavano D’Alema, il Labour e il Partito socialista spagnolo, appoggiati dagli altri governi socialisti in carica, spingevano per la Ashton, riuscendo a far prevalere la loro posizione. Motivo: la nomina doveva spettare ad un partito socialista al governo, per tanto D’Alema non era adatto al ruolo, visto che in Italia è all’opposizione. Che a Brown facesse comodo ottenere una nomina di spicco in Europa alla vigilia delle elezioni politiche, che quasi sicuramente determineranno il ritorno al governo dei conservatori, è un altro discorso.
La scarsa fama degli insigniti e il ruolo chiave dei governi nazionali nell’arrivare alle nomine mettono in risalto come, nonostante il nuovo Trattato di Lisbona, il cammino verso un’Europa forte sia ancora appena agli inizi.
La politica dell’Unione Europea continua ad apparire come l’incontro degli interessi dei Paesi di volta in volta dominanti, in un sistema di equilibri in cui gli altri Stati hanno difficoltà ad inserirsi.
Le prime nomine post-Lisbona avrebbero potuto avviare una nuova era mandando subito un messaggio potente ai Paesi membri tramite lingue allenate a battere il tamburo.
Si è preferito un profilo basso.
Continuiamo così, facciamoci del male.


Se l’Europa non ha più un’identità

novembre 4th, 2009 by Roberto Giannella | 16 Comments

Se l’Europa non ha più un’identità

Partiamo dal dunque. L’Italia è un Paese laico, secolarizzato, con una forte identità cristiana, con un enorme patrimonio di opere d’arte contenute in chiese, che spesso rappresentano persino il simbolo di alcune città (San Pietro a Roma, la chiesa di San Francesco ad Assisi, quella di Sant’Antonio a Padova, ecc.).
Nel maggio 2002 il Consiglio di Istituto di una scuola in provincia di Padova respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi – ed in particolare il Crocifisso – unico simbolo esposto. Anche il Tar ha modo di esprimersi sulla vicenda: dopo un esame dettagliato della questione, i giudici amministrativi regionali concludono che “il Crocifisso, “inteso come simbolo di una particolare storia, cultura ed identità nazionale, oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità, può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato repubblicano”. Così si conclude la sentenza del marzo 2005.
Il Consiglio di Stato aggiunge che il Crocifisso non va rimosso dalle aule scolastiche perché ha “una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni”. Non è affatto una “suppellettile”, né solo “un oggetto di culto”, ma un simbolo “idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili” – tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione – che hanno un’origine religiosa, ma “che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”.
Questo in Europa non sembra essere chiaro. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo vuole rinnegare il primo diritto di ogni cittadino europeo, ovvero sia la libertà – la stessa che rappresenta il simbolo che si vorrebbe vergognosamente rimuovere. È un’Europa sempre più asettica, sempre più lontana dalla sua identità costitutiva, è un insieme di Paesi che talvolta non ricorda nemmeno le proprie origini, non sa più da dove venga né quale sia la sua storia. Non c’entra la chiesa cattolica. È un discorso che esula dagli schemi religiosi, è una questione d’identità e di libertà, che riguarda tutti gli europei. L’Europa è libera, laica e tollerante in nome di quell’identità che qualcuno vuole rimuovere. I valori ispiratori dell’Unione Europea, e quelli che stanno alla base di ciascuna delle 27 costituzioni dei Paesi membri, hanno proprio questa peculiarità: richiamano quei valori rappresentati dal Crocifisso, che è ben lontano dall’essere un mero simbolo religioso. Esso rappresenta la storia della nostra Europa. Rinnegando il Crocifisso, l’Europa non fa altro che rinnegare se stessa. La nostra identità di cittadini europei è ben più rappresentata dai valori di libertà, tolleranza e rispetto reciproco, simboleggiati dal Crocifisso, piuttosto che da un’asettica bandiera blu con delle stelle gialle. Se l’Europa nega il suo passato, condanna se stessa a non avere un futuro. E su questo la religione non c’entra proprio nulla. Grazie al Cielo, poi, il Crocifisso non ha bisogno delle simpatie di qualche giudice di Bruxelles.


Va pensiero, ma meglio il South Stream

agosto 13th, 2009 by Francesco Vannutelli | 4 Comments

Va pensiero, ma meglio il South Stream

L’accordo siglato lo scorso sei agosto tra Russia e Turchia consentirà a Mosca la costruzione del gasdotto South Stream, imponente progetto di Eni e Gazprom per collegare i giacimenti di gas russi all’Europa orientale, passando attraverso le acque territoriali turche. In cambio, la Russia parteciperà alla costruzione dell’oleodotto Samsun-Ceyhan, al quale partecipa anche l’Eni, che attraverso un percorso di 500 chilometri collegherà le coste turche del Mar nero al Mediterraneo.
La strategia russa dell’accordo diretto con la Turchia è un affondo alla politica energetica europea, rivolta alla costruzione di un gasdotto parallelo, il Nabucco, che dovrebbe collegare il Mar Caspio alla Germania attraverso un percorso di 3.330 km.
Il progetto Nabucco, ideato nel 2002, ha visto un decisivo passo avanti nella firma dell’accordo tra i paesi interessati dal progetto (Austria, Bulgaria, Romania, Turchia, Ungheria) lo scorso 14 luglio, che ha fissato il termine dei lavori al 2014, con il beneplacito di Unione Europea e Stati Uniti.
Il progetto dei cinque paesi ha uno specifico valore geopolitico: consentirebbe all’Unione europea di superare, almeno in parte, la sudditanza energetica verso la Russia, che già in passato ha utilizzato i rubinetti del gas come strumenti politici. La pipeline Nabucco garantirebbe un traffico di circa 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Ma il condizionale è d’obbligo, perché il progetto non ha ancora trovato le risorse energetiche per garantire un traffico sufficiente di idrocarburi, dato che al momento non è ancora stato firmato nessun accordo di fornitura con possibili partner, Iraq su tutti, e le prospezioni in Azebaijan, maggior giacimento potenziale di gas, non hanno ancora portato a risultati soddisfacenti.
L’intesa russo-turca per il South Stream è un duro colpo per il Nabucco, visto che il gasdotto Eni-Gazprom potrà contare sin dalla sua inaugurazione sulle riserve di gas russe, capaci di garantire l’iniziale traffico previsto di 31 miliardi di metri cubi annui. La Russia inoltre si sta già muovendo per trovare partner in ex paesi satelliti sovietici come Kazakhistan e Turkmenistan, con cui potrebbe arrivare in poco tempo a far circolare nei propri condotti circa il doppio del metano previsto per il primo periodo.
In un’ottica politica, il progetto russo è un chiaro segnale di opposizione alle strategie europee in un tema, come l’energia, nel quale Mosca ha spesso tenuto il coltello dalla parte del manico. L’Unione Europea vedrebbe fortemente ridotte le proprie possibilità di differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico. L’imponente South Stream, oltre a ridurre considerevolmente il potenziale del Nabucco, consentirà infatti a Putin di isolare e indebolire l’Ucraina, paese ostile al Cremlino e fermamente intenzionato a ritagliarsi un posto di rilievo nello scacchiere energetico europeo.
In questo delicato quadro geopolitico la posizione del governo italiano rimane quantomeno ambigua. La presenza del premier Berlusconi al momento della firma dell’intesa russo-turca lascerebbe intendere un ruolo di primo piano nella preparazione dell’accordo, così come la rivendicazione del merito decisivo per la firma da parte del Presidente.
Secondo l’agenzia di stampa Reuters, però, la partecipazione del governo italiano all’incontro sarebbe di tutt’altra entità. Fonti vicine ad Ankara lasciano intendere infatti che Berlusconi avrebbe un ruolo completamente marginale nell’accordo, sostenendo addirittura che il primo ministro italiano avrebbe telefonato a Erdogan e Putin alla vigilia della firma chiedendo di poter partecipare alla cerimonia. I due avrebbero acconsentito alla presenza del collega solo per i buoni rapporti personali che intercorrono tra loro. Il governo turco sarebbe inoltre infastidito dalle dichiarazioni e dalle assunzioni di merito di Palazzo Chigi.
La presenza al vertice russo-turco del Cavaliere potrebbe essere interpretata come un tentativo di riaffermare il ruolo chiave nello scenario internazionale del governo italiano e soprattutto del presidente del consiglio, ultimamente apparso delegittimato dalle note vicende personali.
Tralasciando i dubbi sul ruolo del premier italiano e sulle sue affermazioni, un simile coinvolgimento italiano all’accordo potrebbe sembrare inappropriato a fronte della politica comunitaria europea, rivolta a favorire il Nabucco piuttosto che il suo concorrente.
Berlusconi ha rivendicato la propria buonafede sostenendo di non aver ricevuto pareri negativi o riserve al progetto da parte dei principali paesi europei. Il Cavaliere ha sempre preteso una certa autonomia politica per l’Italia dalle decisioni di Strasburgo, di cui spesso ha criticato i metodi e le lungaggini.
In un’ottica di breve-medio periodo, il South Stream garantirà benefici all’Italia, sia in termini energetici che economici, ma questo principalmente grazie al lavoro dell’Eni, che segue il progetto da anni indipendentemente dal colore del governo di turno. Ma estendendo l’orizzonte temporale, nel momento in cui il Nabucco si dovesse trovare a regnare sullo scenario energetico come il suo omonimo verdiano su Babilonia , le attuali prese di posizione del governo italiano potrebbero portare amare conseguenze.
L’evoluzione nei prossimi anni della delicata questione energetica, nella quale la Russia sembra intenzionata a mantenere un ruolo egemone, richiederà un maggior concerto europeo per garantire una più omogenea distribuzione. La posizione italiana nei confronti di South Stream rappresenterebbe, per tanto, un’anomalia nel quadro geopolitico dell’Unione.


La Miseria dell’Europarlamento

luglio 24th, 2009 by Francesco Vannutelli | 2 Comments

La Miseria dell'Europarlamento

Il 14 di luglio scorso si è insediato il nuovo Parlamento Europeo. I neoeletti hanno occupato per la prima volta i loro seggi e preso confidenza con l’aula, hanno posato emozionati, chi più o chi meno, per le foto di rito, hanno fatto conoscenza tra loro. E alcuni hanno trovato subito il modo di mettersi in mostra. Come Josè Bovè, francese, contadino, ex sindacalista  ed ex leader del movimento no-global, eletto a Strasburgo con la lista Europe Ecologie, che ha colto l’occasione del discorso di benvenuto all’aula del presidente delle Commissione Europea José Manuel  Barroso, per contestarlo esibendo una maglietta con la scritta “Stop Barroso”. O come il neo eurodeputato del PDL Clemente Mastella, una vita sui banchi del Parlamento italiano, alla sua prima esperienza europea. Sulla quale ha avuto subito da ridire.
Si perché, da questa legislatura, le autorità europee hanno deciso di rendere unica la retribuzione degli eurodeputati. Infatti, mentre prima gli stipendi dei parlamentari europei avevano come canone di riferimento i corrispettivi riconosciuti dalle camere  nazionali delle singole delegazioni, da questa legislatura è stato deciso di concedere a tutti i parlamentari un mensile netto di 5700 euro , ai quali si devono sommare altri 4.402 euro mensili per spese generali, cui si ha diritto partecipando ad almeno sette sedute all’anno, 17.570 euro al mese a disposizione per il pagamento di collaboratori e assistenti, 295 euro di diaria per spese di vitto e alloggio, più una serie di rimborsi relativi ai biglietti aerei, ai chilometri percorsi in auto e alla partecipazione a missioni parlamentari all’estero, per i quali è necessario presentare regolare ricevuta. Alle retribuzioni si aggiunge il diritto di percepire la pensione dopo cinque anni di attività, equivalenti a un singolo mandato legislativo.
Un totale mensile di circa 27.700 euro a disposizione degli eurodeputati, quindi, a cui si devono sommare fino a 8.850 euro al mese di rimborso spese per vitto e alloggio.
Il Parlamento europeo ha deciso di uniformare gli stipendi e di fornirli direttamente, anziché delegare la corresponsione ai relativi parlamenti nazionali, decidendo regole più severe in materia di assenteismo, con sanzioni che possono arrivare alla detrazione della metà dello stipendio, e ai rimborsi spese, per i quali è necessario presentare, ora, la corretta e dettagliata documentazione.
Ed è proprio sul tema degli stipendi, in particolare sui rimborsi spese, che Mastella ha trovato l’occasione di esternare il suo disappunto. Appena arrivato a Strasburgo, leggendo le carte delle circolari europee che i suoi assistenti gli passavano, il leader dell’Udeur è esploso in un “È una miseria!” quando si è soffermato sul dettaglio delle cifre della diaria.
I neo eletti italiani si trovano di fronte a una riduzione dello stipendio medio annuale di circa il 40% (da 134.000 a 81.000 euro), considerando il precedente mensile di circa 12.000 euro lordi riconosciuto dal Parlamento italiano ai membri della Camera europea. Bruxelles ha reso noto che la modifica dello statuto parlamentare sulla materia del trattamento economico è mirata principalmente a ottenere maggior trasparenza nella gestione del bilancio europeo.
L’equiparazione degli stipendi favorisce fortemente paesi come Lettonia, Ungheria e Polonia, i cui deputati percepivano, nelle legislature precedenti, circa 10.000 euro l’anno, mentre la situazione rimane pressoché immutata per paesi come Gran Bretagna e Germania, che si attestavano attorno agli 80.000 euro annui.
A pochi giorni dall’inaugurazione della nuova legislatura, la delegazione italiana, quindi, dà immediata prova di stile e umiltà.
Al Parlamento italiano si prende di più e Mastella, che è riuscito a occuparne un seggio ininterrottamente dal 1976 al 2008, lo sa bene. E soprattutto nessuna norma punisce l’assenteismo in termini di decurtazioni di stipendio. Probabilmente, se l’ex ministro della giustizia del governo Prodi avesse letto meglio le comunicazioni europee relative agli stipendi avrebbe evitato di candidarsi. Adesso è costretto a partecipare alle sedute per percepire meno di quanto avrebbe percepito in Italia, o nella precedente legislatura europea.
E così , Clemente Mastella da Ceppaloni, l’artefice della caduta dell’ultimo governo di centro sinistra, siede al suo posto a Strasburgo sentendosi in trappola. Dopo aver visto sfumare la candidatura che Berlusconi gli aveva promesso alle scorse elezioni politiche, si è dovuto accontentare di un posto nelle liste europee. E ora è lì, lontano da casa e con i suoi miseri 36.500 euro al mese.
Bei tempi, quelli in cui era ministro.


La legge “Per la protezione della creazione via internet”: un nuovo vaso di Pandora?

luglio 17th, 2009 by Ernesto Benelli | 1 Comment

La legge

Il 10 giugno scorso, il Conseil constitutionnel (l’equivalente francese della nostra Corte Costituzionale) ha parzialmente rigettato il Disegno di Legge sullo “scaricamento” da internet di opere protette dal Diritto d’autore. La sentenza oltre che bocciare il dispositivo sanzionatorio contenuto nel Disegno di legge, riconosce un “diritto costituzionale” all’accesso ad internet ed al contempo apre un dibattito sulla nozione di “Autorità gurisdizionale” i cui risvolti pratici sono difficilmente prevedibili.
1. Il rigetto del meccanismo della “risposta graduata”.
E’ raro che il Conseil constitutionnel censuri le disposizioni centrali di una legge svuotandola della sua portata normatrice. Cio’ accade, per lo più, quando una tra le libertà fondamentali di cui questa istituzione é garante viene lesa o minacciata. Il Disegno di Legge in questione, oggetto di aspre controversie, mirava ad arrestare (o almeno a rallentare) il massiccio sviluppo dello scaricamento di documenti “illegali” provenienti da internet.
Il sistema posto in essere prevedeva, oltre ad una sorveglianza strettissima della rete da parte delle forze dell’ordine foriera di tutti i problemi che si possono immaginare in materia di protezione della riservatezza, un meccanismo sanzionatorio chiamato “risposta graduata”. Qualsiasi persone titolare di un indirizzo IP  da cui fosse stata scaricata una quantità ed un tipo di dati giudicati “sospetti”, avrebbe ricevuto via posta elettronica dal fornitore accesso alla rete due messaggi di invito a cessare tali attività. Qualora non si fosse omologato, per ordine dalla costituenda « Alta Autorità per la protezione dei diritti su internet » (Hadopi) sarebbe scattata  la sanzione penale comportante l’esclusione dalla possibilità di navigare in internet. L’utente sarebbe comunque rimasto obbligato nei confronti dell’impresa fornitrice dell’accesso al pagamento dell’abbonamento.
Al di là degli aspetti puramente giuridici sollevati dalla sentenza, il parziale rigetto della Legge “Per lo sviluppo della creazione via internet”, approvata nella sua parte non censurata il 12 giugno 2009, solleva alcune riflessioni.
2. La violazione del principio della presunzione d’innocenza.
Il Conseil constitutionnel ha respinto l’idea che un dispositivo legislativo possa invertire il principio della presunzione di innocenza istaurando una “presunzione di colpevolezza”. Il meccanismo della “risposta graduata” non presuppone infatti una corrispondenza necessaria tra file scaricato da un qualsiasi indirizzo IP e responsabilità personale del titolare di quest’ultimo. La sanzione viene comminata senza la produzione di una prova a sostegno dell’effettiva e personale implicazione del titolare dell’indirizzo ricevente. Cio’ ovviamente va contro, oltre che al buon senso, anche al citato principio della presunzione d’innocenza.
3. La proclamazione di un “diritto all’accesso ad internet”
La Consulta transalpina ha cassato la legge anche su un altro punto importante che potrebbe aprire nuovi dibattiti anche in Italia.
I Supremi Magistrati, invocando l’articolo 11 della Dichiarazioni Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 (che in Francia ha valore costituzionale) secondo cui :
“La libertà di comunicazione del pensiero e delle opinioni é uno dei diritti piu’ preziosi”, hanno considerato “l’importanza assunta dai servizi di comunicazione in linea per la partecipazione alla vita democratica e per l’espressione di idee ed opinioni”. In altri termini,
i giudici hanno ritenuto che una delle manifestazioni di questa suprema libertà dell’individuo passi anche per la possibilità di accedere ad internet. La legge del 12 luglio 2009, prevedendo come sanzione estrema la sospensione dell’accesso, sarebbe stata in contrasto con l’articolo 11 della Dichiarazione del 1789 e quindi con i valori della Costituzione. La portata di tale passaggio della decisione é sicuramente importante poiché consacra de facto un diritto a fondamento costituzionale all’accesso alla rete anticipando di molto la protezione di questa forma della libertà di espressione prima confinata alla sola possibilità di connessione a determinati siti ed all’espressione del proprio pensiero tramite gli strumenti a disposizione sulla rete.
Se fosse stata resa in Italia, tale sentenza si sarebbe di certo basata sul primo comma dell’articolo 21 della Costituzione secondo cui: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. L’assoluta impossibilità di controllare il contenuto di Internet, munita di un fondamento costituzionale forte e preciso, avrebbe avuto il merito di riproporre l’actuto problema, sovente sottovalutato, dei limiti alla libertà di espressione del pensiero presenti nel nostro Paese.
4. L’apertura di un dibattito sulle Autorità amministrative, controllori o giudici?
Infine, la decisione del Conseil constitutionnel é importante anche perché  apre un dibattito molto attuale circa la necessità di ridefinire la nozione di Autorità giurisdizionale.
Nell’ordinamento giuridico francese, come in quello italiano, sono presenti disposizioni (regolamentari o, come nel caso dell’Italia, costituzionali) che, in un certo qual modo, definiscono che cosa sia un organo dell’Amministrazione statale in grado di giudicare il cittadino.
Il potere di controllo e sanzione di cui sono dotate, in Italia come in Francia, numerose Autorità Amministrative specializzate, nominate dal Parlamento o dall’esecutivo e quindi non indipendenti, ha la pericolosa tendenza a permettere la “trasformazione” di tali organismi da meri controllori, e quindi esecutori materiali di disposizioni legali, in organi “giurisdizionali”. L’alto grado di specializzazione richiesto alle Autorità amministrative consente loro di “interpretare” la norma e  formare de facto una giurisprudenza parallela a quella dei Tribunali.
Pertanto, la questione che si pone é quella di sapere entro quali limiti un “controllore” possa arrogarsi il potere di giudicare un cittadino e privarlo dei suoi diritti fondamentali. E’ lecito che questo potere sia di fatto conferito ad un’Autorità dipendente da organi politici?
Al di là del carattere legale o meno di scaricare musica da internet, quesito a cui solo il potere politico può rispondere, l’interrogativo di portata più generale, che nasce dalla sentenza del Conseil, é sapere chi e come potrà giudicare in futuro questo gesto. Almeno per ora in Francia tale facoltà é esclusivo appannaggio della Magistratura ma sarà così anche in futuro?


Erroneous synecdoche

giugno 2nd, 2009 by Giuseppe Matteo Vaccaro Incisa | No Comments

Erroneous synecdoche

How much do you like to be harassed by superficial conversations, based on stereotypes or – probably worse – journalistic trumpetings?
How many times have you been genuinely surprised that even your friends – even those close friends – not only could associate to clichés, hearsays and idiotic speculations but also tried to sell them to you as perfectly logical arguments, based on the evidence that this person or that journal ‘said that’?
How often have you tried to smooth those sins against logic, proposing different and ‘normalizing’ perspectives? And how often have you been accused of spatial-arrogance, because you can’t know more than this person or that journal?
Let’s go to the point. I already had occasion to express my personal distance from Mr. Berlusconi. I had also expressed, though, my ‘necessary vicinity’ to figure of the Prime Minister of Italy. The scission between the two things is as crucial as basic, for anyone interested in filling his own mouth with big words such as ‘democracy’ (in western sauce).
That is why I can certainly understand any critic over the person (indeed, sometimes clownish), yet I become way more rigid when the critic-virus extends to the Institution he represents, the Government of Italy in general and, by further syncopated extension, to ‘the Italians’. Because, in the end, ‘they are like him’ or, invariably, ‘they elected him’.
The former account is not true; the latter, a failed syllogism.
As Italian, at some point I got a little sick of this constant light (when not heavy indeed) international press reprimanding from our glorious international neighbors. Sickness becomes real annoyance, then, when even supposedly professional figures seem to base their analyses on extemporaneous mixes of third-hand hearsays and prejudices more than on coherent set of information and some proper research on the subject.
Instead of receiving some journalism I’m often left with the impression I’m reading a smattering of CIA’s world factbook seasoned with some villain’s protesting for anything – as if it is hard to find villains protesting for something convenient to any thesis (or simply eager to hit the news).
Ever more often, reading international news on Italy (or having dinner with friends from abroad), looks like a trial, as an Italian, because of what my PM does or says – or, worse, for how he does or says anything.
Here is, then, the erroneous synecdoche: since my PM is a debatable person then, by extension, so are Italy and the Italians, in a vicious circle that sees the person phenomenally contaminating the whole country, people and institutions.
Way worse, if you do not associate to the reprimanding chorus then you’re automatically disqualified, classified as a ‘Belusconian’, your word losing weight because tolerating the ‘elsewhere’ intolerable.
It is that ‘elsewhere intolerable’, though, that does not convince me, at all.
The vicious circle, in fact, might be also somewhere else.
I believe such an unpleasant confusion of terms and concepts derived by ignorance, and creating more. A soft-crime, the most evident sign of the loss of the conceptual divide between information and (superficial) opinion, perpetrated by nowadays media for the sake of filling columns or air-time.
The latest international remarks on Italy – and their effect on the international crowds – appear to go exactly in this direction.
Probably, the time for an answer has come.
The Italian Government ridiculous? Fine.
Before attacking a PM of any country, though, you might want to drop a glimpse at that one of your own – and those who came some time before.
Let’s not talk about politics, democracy, western values or other big paraphernalia. Let’s just remain on more cosmetic and immediate considerations.
Thus, instead of providing for justifications (which, anyway, I wouldn’t have many) to counter the alleged deficiencies of the Italian PM, his unfitness to drive the country, or reply to the idiotic consideration that he might set a dangerous precedent for any other government in Europe, let’s have a look to a few neighboring excellent Heads.
In the try to remind, to everyone, that after all we’re all on the same boat.
And to offer a different perspective, for once.
How not to start with the almighty France. Their hyper-president, half-Hungarian and half Greek (not that this would imply anything, were we not to be talking about France), at the age of 54 has three marriages on his shoulders – the ‘making of’ of the last of which (with an Italian singer) has been one of the two main subjects of his electoral campaign. So much for talking about being scared of foreigners. His agenda of ‘rupture’ – the other main subject – two years after the hyper-government started, lays probably somewhere off in a forgotten drawer, stopped by cab-drivers in riots, Parisian suburbs in riot (and fire), students in riot, professors in riots, public employees in riot, and I don’t continue because I got a word-limit here. The Mr. Attali ‘Commission for the French Growth’, prompted as the battering ram of the new French economical revolution, is listened less than the Cuma’s Sybil, any of its proposals now looked with more apprehension than expectation by both the French people and its Government.
To wrap up: he’s not ‘French’, he’s far from being a family-model, he’s certainly not a model for discretion and understatement (CBS interview-case docet), he’s not really pushing the French growth at the supersonic level he promised.
Anyway, no one thinks France today might ‘weight less’ or its institutions less valuable because of Mr. Sarkozy. Nor anyone would associate Sarkò’s pathetic Napoleonic stance (political, stance) and debatable public behaviors to the French people.
The rive gauche may still snobbishly refer to him as the ‘Hungarian-dwarf’, yet you’re left wondering how much the majority of the French may have detested the idea to have a woman at the Élysée to prefer this in lieu of her. So much for talking about a modern country, the ‘driving civilization of Europe’. Going with this reasoning, the only way to imagine Mrs. Royal winning the past election is for her to have had a gay opponent.
In fact, today Sarkò may appear losing some consensus, yet the …


EUI: European University Institute

maggio 13th, 2009 by Giacomo Marconi | No Comments

L’Istituto Universitario Europeo è un istituto di alta formazione, unico nel suo genere, che Firenze ha l’onore di ospitare. L’Istituto è stato creato nel 1972 dai sei Stati Membri fondatori delle Comunità Europee con la missione di favorire l’avanzamento della cultura in campi di particolare interesse per lo sviluppo dell’Europa.
L’Istituto opera attraverso quattro Dipartimenti (Storia, Scienze Giuridiche, Scienze Economiche e Scienze Politiche e Sociali, cui si affianca un Centro Ricerche di Studi Europei denominato Centro Robert Schumann) frequentati da circa 600 ricercatori, provenienti in prevalenza da Paesi dell’Unione Europea, ma anche da altre aree geografiche, che conseguono Dottorati di Ricerca di altissimo livello.

Il Dottorato conseguito presso l’European University Institute costituisce infatti un titolo di grande prestigio, se si pensa che il Dipartimento di Scienze Politiche è stato classificato al quinto posto su scala mondiale nella classifica della London School of Economics, ed il Dipartimento di Scienze Economiche è considerato negli Stati Uniti fra i primissimi su scala europea.
Oltre a svolgere attività accademica e di ricerca post laurea e post dottorato secondo un approccio europeo, l’Istituto mette a disposizione un’amplissima biblioteca il cui materiale ben rappresenta le problematiche europee e che raccoglie oltre 3000 riviste stampate, circa mezzo milione di libri inerenti alle materie di cui si occupano i suoi quattro dipartimenti e consente l’accesso a più di 8500 riviste elettroniche. Gli Archivi Storici dell’Unione Europea, attualmente ubicati presso la Villa del Poggiolo, verranno presto ospitati nella vicina Villa Salviati.
Il Dott. Marco Del Panta Ridolfi, Segretario Generale dell’Istituto Universitario Europeo, parla della storia di questa istituzione, di quali sono i suoi campi d’interesse e delle modalità con cui l’Istituto persegue i suoi obiettivi, senza trascurare le condizioni di ammissione e selezione dei candidati e le prospettive che offre ai suoi studenti.


Il diritti del malato terminale

aprile 20th, 2009 by Ernesto Benelli | 2 Comments

Il diritti del malato terminale

Scosse da alcuni fatti di cronaca particolarmente crudi, le opinioni pubbliche francese ed italiana hanno cominciato ad interrogarsi seriamente sulla necessità di disciplinare una materia tanto delicata quale quella inerente l’accompagnamento dei malati terminali verso il trapasso. Il dibattito si è articolato prevalentemente su due direttrici: la ferma rinuncia all’eutanasia attiva, contrariamente a quanto hanno scelto altri paesi europei, e l’elaborazione di un obbligo per i medici di prendere atto della volontà del malato prima di adottare misure irreversibili.
A questo proposito analizzeremo brevemente la legge francese dell’aprile 2005, per poi illustrare le maggiori differenze con il Disegno di legge Calabrò, recentemente approvato dal Senato.
Il parlamento transalpino ha approvato, il 22 aprile 2005, una legge relativa “Ai diritti dei malati ed alla fine della vita”. Timida, contraddittoria e lacunare, ma precorritrice ed audace se paragonata al vacuum che regna ancora nel nostro ordinamento, tale normativa prevede alcune soluzioni recentemente dibattute nelle anche nostre aule legislative.
Il dispositivo francese, applicabile solo a persone aventi un quadro clinico definitivamente compromesso, si fonda sul concetto di “eutanasia passiva”, in altri termini, è permessa l’interruzione di trattamenti aventi il solo scopo di prolungare artificialmente la durata della vita qualora si dimostrino inefficaci, lasciando sussistere le sole cure palliative.
Se il paziente, affetto da una patologia incurabile in fase terminale, sia in possesso delle sue facoltà mentali, può decidere la sospensione o limitazione ogni trattamento, comprese alimentazione ed idratazione. In tal caso, il medico curante è obbligato al rispettarne la volontà, dopo averlo delucidato, però, sulle conseguenze della sua scelta. Il legislatore transalpino, in questa fattispecie, ha applicato due principi fondamentali: il diritto a non essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà, riconducibile, oltre che ad alcuni articoli del Code civil, a numerose convenzioni internazionali, tra cui la Dichiarazione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e quello, meno universale ma altrettanto importante, del consenso informato in materia di trattamenti sanitari, previsto, nel diritto francese, dal Codice della salute pubblica.
Tutte le persone maggiorenne, inoltre, hanno la possibilità di predisporre, in ogni momento della propria vita, una dichiarazione di volontà riportante direttive sulla limitazione o l’interruzione cure mediche a cui potranno essere sottoposta in futuro. Tale atto è revocabile in ogni momento dal solo interessato. Tuttavia, il medico curante sarà tenuto al rispetto di tali direttive solo se siano state redatte entro i tre anni precedenti la perdita della capacità di intendere e volere, altrimenti sarà obbligato solo alla loro mera consultazione.
Infine, se il paziente abbia perso la possibilità di esprimere la propria volontà e non vi sia la possibilità di basarsi sulle direttive anticipate, il medico curante, sotto la propria esclusiva responsabilità, può decidere di interrompere la terapia. Questa scelta è possibile, secondo la legge, se il quadro clinico è definitivamente compromesso e dopo aver informato, il malato, i parenti del degente ed il comitato consultativo dell’ospedale.
Se la normativa francese è stata definita “timida” e “contraddittoria”, il Disegno di legge “Calabrò”, approvato dal Senato della Repubblica il 26 marzo 2009, potrebbe fregiarsi di appellativi ancora migliori, ciò grazie anche ad alcune disposizioni alquanto “originali”.
Mosso da un imperioso afflato protettore della vita e della dignità della persona umana, il testo nostrano, oltre che introdurre una dubbiosa distinzione tra pratiche mediche e “forme di sostegno vitale”, quali alimentazione ed idratazione, riduce la portata della dichiarazione anticipata di trattamento prevista per il malato. Questa, curiosamente, ha validità quinquennale e non può contenere alcun riferimento all’alimentazione ed idratazione artificiale. Come nella legge francese, quindi, anche il legislatore italiano, rispondendo a mere logiche politiche, ha attuato un’inconcepibile ed inedita riduzione temporale della portata di un atto personalissimo che, per definizione, non può essere modificato se non dal titolare.
Inoltre, differentemente dall’omologa disciplina francese, il medico curante non ha un potere decisionale completo. In casi di contrasto con parenti e conoscenti del degente, deve rimettersi al parere vincolante di un comitato di colleghi che, pur non essendo a contatto con il malato, ha comunque l’ultima parola in merito ai trattamenti applicabili. Non solo, al medico curante è vietato anche di intraprendere atti che possano cagionare la morte del paziente, il che, in certi casi, può condannare il corpo sanitario all’immobilità. Inoltre, in ossequio alla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 “sui diritti delle persone con disabilità” (del cui corretto impiego, in questo caso, si dubita), neanche il più prestigioso dei medici può ipotizzare la sospensione di alimentazione ed idratazione anche qualora, come nella fattispecie riportata dal legislatore francese, abbiano il solo risultato di prolungare artificialmente la vita del malato.
In conclusione, ambe due i dispositivi non possono essere ritenuti soddisfacenti, soprattutto in merito alla portata della dichiarazione di volontà del malato. Sia in diritto francese che in quello italiano esistono, infatti, atti definiti “personalissimi”, che possono venir prodotti solo da una persona determinata, ad esempio i testamenti. In tali casi, la volontà del redattore dell’atto è limitata solo se lede dei diritti altrui e, comunque, l’ordinamento giuridico cerca sempre di attuare un certo “equilibrio” tra le parti in causa. Nelle leggi sul fine della vita, la limitazione della volontà del malato è giustificata non dalla violazione di un diritto di un terzo ma, paradossalmente, dalla lesione di un diritto della stessa persona del paziente, ad esempio il diritto alla vita. I poteri pubblici francese ed italiano, basandosi su norme generali e di carattere spesso meramente programmatico, come certi articoli della nostra costituzione, arbitrariamente si sostituiscono alla volontà del malato, riducendone di fatto la facoltà di autodeterminarsi che pure è garantita dalla legge.
La normativa italiana, in questo senso, è un vero capolavoro. Non solo la dichiarazione di volontà è caduca dopo soli cinque anni, ma al malato viene imposto un vero e proprio “obbligo di permanenza in vita”, fondato su una visione integralista dello stesso “diritto alla vita”, attuata mediante la distinzione tra misure mediche e somministrazioni necessarie all’esistenza. Il disegno di legge Calabrò limita di fatto anche altre dichiarazioni di volontà del paziente, ad esempio l’autorizzazione all’espianto degli organi. Così si arriva alla situazione paradossale in cui ad …


Sotto il segno del Mediterraneo

gennaio 31st, 2009 by Thomas Villa | 14 Comments

Sotto il segno del Mediterraneo

Nel dicembre 2007, una serie di inaspettate dichiarazioni da parte del leader del governo spagnolo, Jorge Luis Rodriguez Zapatero, a proposito di un presunto sorpasso della penisola iberica su quella italiana in termini di indicatori di PIL pro capite aprirono una nuova fase dei rapporti con Madrid. Quello che nei decenni precedenti era stato considerato un paese partner, iniziò ad essere considerato un paese rivale. In seguito a tali dichiarazioni, l’allora Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi fornì una serie di confutazioni dell’efficacia delle rilevazioni dell’istat, basati su panieri di beni dalle caratteristiche ambigue. Ma quello che ci interessa ora non è la contesa su chi sta meno peggio, ma piuttosto il mutamento di atteggiamento tra due paesi storicamente e culturalmente estremamente legati ed amici. Sta nascendo un sentimento di rivalità tra Italia e Spagna? Ha motivo di esistere? Quali effetti può produrre? Analizzeremo in seguito tutti questi aspetti. Avventuriamoci dunque nell’avventura di una “relazione speciale” che ha contribuito a rendere la storia d’Europa così avvincente.
Tralasciamo il pur interessantissimo periodo Romano ed i primi tempi del Cristianesimo, epoche caratterizzate dal fortissimo interscambio tra la provincia iberica e la penisola italica. Iniziamo dunque il nostro viaggio nella storia comune dei due paesi nel periodo gotico, quando sia Spagna che Sicilia si trovarono a fronteggiare la potenza emergente araba. I “Mori” infatti conquistarono sia l’intera Spagna (attorno al 710) che la Sicilia (nell’827). Al termine della vicenda Araba, abbiamo un altro fondamentale passaggio nella sinergia italo-iberica: la scoperta dell’America. La Reconquista dei territori dominati dagli arabi infatti permisero l’acquisizione di immense ricchezze, e dunque il finanziamento di rischiose imprese come ad esempio quella di un coraggioso marinaio genovese che cercava una rotta occidentale verso le Indie. Isabella di Castilla e Ferdinando di Aragona finanziarono il viaggio di Cristoforo Colombo, e tanto bastò per cambiare il mondo ed entrare nell’epoca della modernità.
La dominazione spagnola in Italia si protrasse dal 1523 circa a tutto il regno borbonico delle Due Sicilie. Proprio in questo momento sembra accadere qualcosa di importante per i due paesi. Sia il Regno di Spagna che la futura Italia impattano con violenza il mondo della contemporaneità e della rivoluzione industriale. Entrambe impreparate, le due realtà reagirono in modo assai diverso. In Italia il nord ed in parte il centro accolgono la rivoluzione e iniziano a modernizzarsi, mentre il sud preferisce la strada della difesa dell’ancien régime, della difesa dei signori del latifondo, del brigantinaggio contro lo Stato moderno e, alla lunga, della criminalità organizzata. In Spagna invece la risposta è molto più largamente a favore del latifondo, elemento che gettò le basi per un Novecento di depressione economica per la penisola spagnola. Tuttavia, le conseguenze di tali cambiamenti furono molto simili: un frazionamento molto forte della società, con profonde differenze culturali, economiche e linguistiche.
Con il Novecento, alla “minaccia rossa” entrambi i paesi risposero nello stesso modo, cioè con una dittatura fascista. Mussolini in Italia e Francisco Franco in Spagna salirono al potere. La differenza fu la neutralità della Spagna nella seconda guerra mondiale, che mantenne il generalisimo al potere fino alla sua morte, nel 1975, e permise di mantenere l’unità nazionale anche durante la cosiddetta “transizione” verso la monarchia costituzionale dei Borbone. In Italia invece, la scellerata decisione di entrare in guerra e i tristi e confusi eventi intercorsi tra il 3 e l’8 settembre 1943 portarono ad un trauma ribattezzato da alcuni “morte della patria”.
Il periodo del dopoguerra fu infine caratterizzato – a fasi alterne – da una reciproca “idealizzazione” dell’altro Paese. Durante il Boom economico italiano, la Spagna prese a modello lo sviluppo industriale italiano, e viceversa, durante il recente Boom economico spagnolo, il modello di economia dei servizi iberico fu preso a modello dal nostro Paese.
Ora possiamo tornare alle nostre domande da cui siamo partiti. Considerando tutte le riflessioni sopra esposte e l’ampiezza del patrimonio reciproco, come si può pensare ad una rivalità tra le due sponde del Mediterraneo? L’Italia è un partner essenziale per introdurre la Spagna nelle dinamiche politiche internazionali, e a sua volta l’Italia può giovare dalla presenza di un’altra potenza meridionale nella UE. Forse il peso spagnolo può essere determinante per spostare un po’ verso il basso il baricentro decisionale Europeo. Purtroppo a tale naturale strategica alleanza non è d’aiuto lo scetticismo tra i governi di Zapatero e Berlusconi, di colore politico opposto ma pur legati da una comune matrice socialista e dalla forte attenzione nei confronti della “politica-spettacolo”.
Non resta che sperare che, anche nell’ottica della nascita di una futura Unione Euro-Mediterranea, le opportunità di tale alleanza non sfuggano ai due Paesi. Nel momento il cui il Mediterraneo sta recuperando il suo ruolo di crocevia della storia, è giusto che Italia e Spagna non si facciano trovare impreparate o divise da inutili barriere ideologiche.


Salviamo il sogno europeo!

settembre 4th, 2008 by Lorenzo Kihlgren | 1 Comment

Salviamo il sogno europeo!

Nel 1626 il valoroso sovrano svedese Gustavo II Adolfo Vasa ordinò la costruzione di una nave da guerra imponente (69 metri), dotata di 64 potenti cannoni disposti su due ponti, capaci di riversare sul nemico una potenza di fuoco allora inimmaginabile. La “Vasa” venne decorata finemente con circa 500 sculture in legno rappresentanti figure mitologiche e della Bibbia. La miope ambizione di costruire la più stupefacente e micidiale nave da guerra del mondo fece dimenticare ai mastri navai le regole più elementari della loro arte. La Vasa fu varata il 10 agosto 1628 e, dopo poche decine di metri, si inabissò nel porto di Stoccolma, soccombendo al peso delle sue bocche da fuoco, sotto gli sguardi stupefatti di migliaia di sudditi svedesi e dei dignitari (e delle spie) giunti per l’occasione da ogni dove.*

Sarebbe un peccato vedere l’Europa sognata da De Gasperi, Monnet, Adenauer, Schuman e Spaak finire come la Vasa. Forse i politici dei 27 Stati membri dovrebbero smetterla di comportarsi come i cesellatori che si ostinarono a ornare una nave ormai troppo imponente e pesante. Tutto ciò mentre le esortazioni all’autarchia e al ritorno al periodo precomunitario (curiosamente dipinto come un’età dell’oro) trovano una progressiva legittimazione nello spazio pubblico europeo. Beccheggi pericolosi: l’Unione corre il rischio di inabissarsi per le falle aperte dalle tempeste nei mari di Francia, Olanda e Irlanda.
Su come risolvere la crisi europea sono state avanzate molte ipotesi; personalmente sono affascinato da una delle più ardite e controverse. Tutto parte da una riflessione sull’identità del cittadino europeo. Chi viaggia spesso nel vecchio continente è consapevole che difficilmente un Greco troverà spiritosa una barzelletta scandinava (a questo proposito, si legga l’interessante racconto di viaggio di Matteo Incisa), mentre è chiaro che un Provenzale, un Catalano e un Ligure potrebbero passare delle ore in un caffé a discutere del più e del meno, ricorrendo all’occorrenza a un’acrobatica koiné di parole e gesti. Se poi, resistendo alla tentazione di sviare il discorso sul tema calcistico, i tre volessere discutere dei problemi che ciascuno è chiamato ad affrontare quotidianamente – infrastrutture, inquinamento, delinquenza, crisi dei porti commerciali – sarebbe relativamente facile trovare una posizione comune. Allo stesso modo un Italiano dell’Alto Adige ha poi molte più possibilità che le proprie esigenze siano comprese da un Austriaco o da uno Svizzero tedesco piuttosto che da un Italiano delle Isole, per non parlare di un Maltese o di un Cipriota. Suddividere l’Europa in aree socio-economicamente affini non sarebbe certo impresa facile, soprattutto quando sono coinvolti Stati fortemente centralizzati come quello francese. Ma come negare l’importanza socio-economica dei rapporti transfrontalieri in determinate macroregioni, tradizione millenaria estremamente rafforzata dalla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali?
Insomma, a mio avviso la risposta alla crisi potrebbe essere la seguente: fare del Comitato delle Regioni qualcosa in più di un bel palazzo nel quale discorrere amabilmente del più e del meno. La spinta propulsiva di un’Unione ormai in crisi potrebbe infatti venire proprio dal potenziamenti di questa istituzione nella quale – a mio avviso – le diverse istanze della realtà europea potrebbero venir presentate con maggiore uniformità ed efficacia. Le materie sulle quali il Comitato delle Regioni si pronuncerebbe non dovrebbero essere altre che quelle già delegate alle istituzioni comunitarie, senza perciò mettere in dubbio la competenza degli Stati in materie come la politica estera e la sicurezza. È indubbiamente prematuro abbandonare l’istanza intergovernativa in tutti quei campi in cui sarebbe troppo complicato – per quanto auspicabile – imporre una soluzione comune.
Al di là di questo nostro volo pindarico, seducente ma reso quasi impraticabile dalla gelosia con la quale gli Stati custodiscono le proprie competenze, mi sembra evidente che la crisi dell’Unione può risolversi solo risvegliando l’entusiasmo dei suoi cittadini. La domanda che mi pongo e che pongo ai lettori del Tamarindo è questa: sapranno i Governi dei 27 mostrare il coraggio necessario per tenere in vita il grande sogno europeo?

* Il relitto della Vasa fu recuperato nel 1961 e si trova ora al Vasamuseet di Stoccolma, il museo più visitato della Scandinavia.



Ultimi commenti

Lista articoli per mese