Flatterlandia: tutte le dimensioni del 21° secolo

dicembre 23rd, 2009 by Antea Brugnoni | No Comments

 Flatterlandia: tutte le dimensioni del 21° secolo

Ispirato ad un classico del 19° secolo, l’ultimo romanzo del matematico Ian Stewart apre nuovi orizzonti ‘dimensionali’ agli appassionati e ai profani.
Massiccia ed elegante, la traduzione italiana di Flatterlandia (Aragno 2008), uno degli ultimi ‘romanzi scientifici’ di Ian Stewart, mette un po’ soggezione. Ultimo rampollo della famiglia dei Flat-books, Flatterlandia è un degno erede di Flatlandia, romanzo scientifico-politico scritto nel 1884 da Edwin A.Abbott, capostipite della famosa discendenza. Nel romanzo dello scrittore vittoriano letture molteplici si intrecciano su una semplice trama: il quadrato A.Square, abitante di Flatlandia, un pianeta a due dimensioni, riflette sulla possibilità di una terza dimensione e riceve persino la visita di Sfera, abitante dell’universo 3D. Considerato eretico per queste sue visioni sovversive, A.Square è imprigionato e deve affrontare il dissenso della società flatlandese. Se dal punto di vista scientifico l’opera di Abbott fu ritenuta antesignana nello studio della quarta dimensione (a quel punto sono gli scienziati del nostro mondo tridimensionale ad essere considerati eretici) e della sua possibile configurazione, dal punto di vista politico, invece, fu considerata una satira della rigida struttura della società vittoriana.
Negli anni si sono susseguiti molteplici saggi o libri ispirati a Flatlandia, come Sphereland di D.Burger o The Planiverse di Kee Dewdey, fino all’ultimo Flatterlandia di I.Stewart.
Ian Stewart, autore di varie opere di divulgazione scientifica che gli hanno permesso di aggiudicarsi nel 1995 la Medaglia Micheal Faraday della Royal Society per ‘eccezionali contributi alla pubblica comprensione della scienza’ si è lanciato nella sfida di ‘attualizzare’ Flatland, integrandolo con tutte le ulteriori dimensioni di cui fa uso la scienza moderna. Questa volta sarà la discendente del quadrato A.Square, la nipotina Vikki, a dovere fare i conti con la società ‘piatta’ di Flatlandia. Moderna e tecnologica oltre le aspettative di A.Abbott, la Flatlandia di I.Stewart conserva la complessa divisione in caste: le donne (le linee), gli uomini umili (triangoli molto isosceli), quadrati (cittadini normali) fino a raggiungere, aggiungendo man mano dei lati, il clero (cerchi). La giovane Vikki, furba e intraprendente, dopo avere scoperto in cantina un manoscritto dell’antenato reietto, parte per un lungo viaggo attraverso le più svariate dimensioni, incontrando esseri strampalati, tra cui la mucca Moobius, formata dal famoso nastro scoperto dallo scienziato tedesco Moebius, i frattali Fiocco-di-Neve e Mandelbroccolo, con riferimento a Benoit Mandelbrot che introdusse i frattali, e persino la sfera-non-sfera Alexander, gentile ospite del Continente Foglio-di-Gomma, panorama topologico.
Se, come fa notare lo stesso autore, il libro risente della mancanza della prosa vittoriana di A.Abbott, esso è invece ricco di giochi di parole, sottili umorismi e fantasie matematiche, superbamente rispettate dalla traduzione di Filippo Demonte-Barbera, la cui introduzione è di per se un interessante viaggio tra generazioni di letterati e scienziati, compreso quella dello stesso traduttore.


Bernardí Roig e la sofferenza del corpo

giugno 21st, 2009 by Luigi Galimberti Faussone | No Comments

Bernardí Roig e la sofferenza del corpo

“Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte.”
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXII, 67-69

La presentazione del volume monografico edito da Skira Bernardí Roig ha dato una nuova occasione al pubblico italiano, dopo l’esposizione Light Never Lies dell’estate 2007 al Museo Carlo Bilotti di Roma, di conoscere le opere del celebre artista maiorchino. All’incontro del 28 maggio alla libreria della Triennale di Milano hanno preso parte oltre all’artista e al curatore del volume, lo stilista Elio Fiorucci, l’architetto e designer Alessandro Mendini e lo scrittore Aldo Nove.
Il lavoro di Roig si concentra sulla prigionia del corpo e sull’impossibilità dello sguardo e della comunicazione. Si tratta, in altre parole, di una riflessione sulla condizione dell’uomo contemporaneo e sull’isolamento. Il corpo di Roig è un “corpo che soffre, fatto di pezzi e di frammenti”, come l’artista lo ha definito in occasione della presentazione. Per le sue sculture Roig si serve di calchi che ottiene prendendo l’impronta di modelli umani con garze imbevute di gesso. In base al risultato cercato, sceglie poi di realizzarle o in resina poliuretanica, a volte mista a polvere di marmo, o in alluminio o bronzo interamente dipinti di bianco. Secondo Paparoni, curatore del volume, “le opere di Roig hanno il loro nucleo centrale in una scultura dalle forti connotazioni realiste, interamente bianca ma formalmente definita nei dettagli, al punto da non essere del tutto estranea alla tradizione classica”.
Una delle opere più significative – e tema ricorrente dell’artista – è L’uomo della Luce (2007; bronzo, acciaio, tubi fluorescenti e luce), esposto a Milano nella piazza di fronte a Palazzo Isimbardi, sede degli uffici della Provincia. Questa scultura non è statua (ossia statica), ma seconde le intenzioni dell’artista suggerisce movimento, leggerezza e instabilità. Elemento predominante è la luce, ma non una luce che illumina, ma che “acceca e satura lo sguardo e dunque non fa che aumentare la portata della nostra cecità”. Lo scopo dell’installazione di Roig è di ridefinire il luogo in cui è posta e di rigenerare lo sguardo su ciò che già si conosce. In contrasto con la scultura pubblica che è generalmente senza significato né emozionalità – un “fantasma inespressivo”, così la definisce Roig – L’uomo della Luce invita i milanesi e coloro che lì passano ad alzare la testa, osservare, riflettere. In altre parole, a farsi dotti.
Bernardí Roig, a cura di Demetrio Paparoni, Ed. Skira, 2009, €49, pp. 200. La monografia – in edizione inglese con testi tradotti in spagnolo e italiano – comprende un saggio introduttivo di Demetrio Paparoni, le schede delle opere a cura di Ida Parlavecchio, una sezione dedicata agli scritti di Roig, la biografia dell’artista e la bibliografia.


Shantaram

maggio 22nd, 2009 by Benedetta Baserga | No Comments

Shantaram

Shantaram è un romanzo e un percorso costellato di momenti sublimi e profondi abissi, dove è facile perdere il cammino e, allo stesso tempo, trovare improvvisamente la via giusta.
Lin, dal passato criminale, giunge nella metropoli di Bombay, con pochi dollari e una coscienza incapace di farlo sognare. Perde immediatamente ogni punto di riferimento, diventando col tempo amico di boss di spicco della malavita locale e di uomini dal cuore puro, e si innamora dell’unica donna che non può avere e cambia sovente vita. L’unica certezza è Bombay, egli la percorre e impara a conoscerla, vagando e vivendo in palazzi lussuosi, in prigione, costruendo un ospedale, e attraversandone i vicoli misteriosi con la grazia incredibile che possiedono solo le persone che tutto hanno visto.
L’audace scelta narrativa dell’autore, capitolo dopo capitolo, sembra farci rivivere le atmosfere distintive del romanzo del ventesimo secolo, con gli eroi, i malvagi e coloro che lasciano nel lettore sempre un dubbio circa la loro vera e intima natura.
L’abilità nel descrivere i personaggi, senza risparmiare dettagli, rende questo romanzo incredibilmente reale. Siamo coinvolti durante la lettura, viviamo di riflesso le esistenze che si snodano, seguendo la vita degli abitanti degli slums più poveri, dei trafficanti di droga, degli attori del cinema, dei turisti ingenui, dei padrini della mafia potenti e impenetrabili. Percepiamo la potenza di questo universo in perpetuo evolversi.
La vita di Lin, nonostante le esperienze drammatiche, gli amici perduti, la miseria e lo sconforto, è un simbolo del potere del cambiamento – egli infatti ha la capacità di modificare la propria vita, il suo modo di pensare e conseguentemente di comportarsi, riuscendo ad amare altri esseri umani in una città feroce ed enigmatica, che benché dia scarso valore alla vita umana sa improvvisamente realizzare piccoli miracoli. Raccontare Bombay e i suoi abitanti, temibili o candidi, è un’occasione per il narratore di scandagliare l’animo umano, spesso scegliendo appositamente toni crudi e distaccati, con descrizioni che sebbene ci ricordino istantanee non perdono mai un lirismo commovente.
Bombay con le sue contraddizioni è anche uno specchio che riflette l’India moderna, raccontata da uno straniero che vi approda senza legami, la cui unica preoccupazione iniziale è quella di sopravvivere, e che vi troverà invece quella pace che sola lo farà diventare l’uomo che ha saputo scrivere questo libro indimenticabile.
Come scrive lo stesso Roberts: ”Gli affamati, i morti, gli schiavi. Il ronzio quieto e ipnotico della voce di Prabaker. Esiste una verità più profonda dell’esperienza, che sta al di là di ciò che vediamo, persino di ciò che sentiamo. È una categoria di verità che separa ciò che è profondo da ciò che è soltanto razionale: la realtà della percezione. Di solito questa categoria di verità ci fa sentire inermi, e capita che il prezzo da pagare per conoscerla, come il prezzo da pagare per conoscere l’amore, sia più alto di ciò che i nostri cuori sono in grado di tollerare. Non sempre la verità ci aiuta ad amare il mondo, ma senza dubbio c’impedisce di odiarlo. L’unico modo di conoscerla è condividerla da cuore a cuore: proprio come Prabaker me l’ha raccontata, proprio come ora io la racconto a voi.”
Gregory David Roberts nasce in Australia nel 1952. Diventa eroinomane a ventiquattro anni in seguito al suo divorzio e la perdita della custodia della figlia.
Inizia allora una vita costellata di episodi criminosi, e dopo diversi furti, armato di pistole giocattolo, viene arrestato e condannato a diciannove anni di detenzione in un carcere di massima sicurezza, da cui tuttavia riesce ad evadere riparando a Bombay, dove vivrà in clandestinità molti anni, prima di essere di nuovo arrestato in Germania, dove finendo di scontare la sua pena scriverà Shantaram.
Best-seller mondiale, Shantaram sarà oggetto di un’adattazione cinematografica, i cui diritti sono stati comprati da Johnny Depp.
Shantaram di Gregory David Roberts, Edizioni Neri Pozza.


Dal cinema alla miniera

gennaio 8th, 2009 by Michelangela Di Giacomo | No Comments

Dal cinema alla miniera

Il panorama editoriale italiano, dominato come tutto il mercato globale da aziende colossali e tirature mastodontiche, offre tuttavia ancora – e lo si è visto nel successo della Fiera della piccola e media editoria che si tiene annualmente a Roma – lo spazio per iniziative accattivanti, per la promozione di soggetti letterari che escono dai binari del best seller pur essendo spesso dotati di ben maggiori qualità. Nello specifico, vorrei proporre ai lettori del Tamarindo le pubblicazioni di una piccola casa editrice, la Robin Edizioni, e le sue intelligenti collane. Nell’intento di proporre/riproporre i classici di ieri a rischio di esser dimenticati e di trovare i potenziali classici del futuro, la Robin ha lanciato due serie, la “Biblioteca del Tempo” e “I Luoghi del delitto”. La prima si compone di libri di viaggio, romanzi storici e quanto possieda un afflato classico, nel tempo e nei temi della narrazione. Nella seconda, riservata al giallo, trovano spazio romanzi che raccontano non solo i delitti, ma anche i luoghi nei quali essi si consumano, dettaglio mai marginale per arrivare alla loro soluzione. Città e territori sono infatti co-protagonisti dei personaggi che il lettore può imparare a conoscere, riconoscere e amare. Da un lato, attraverso le inchieste e la personalità dei detective sono indagati anche aspetti sconosciuti di città notissime o di intere regioni, dall’altro in ogni volume si offre un ritratto curioso e accattivante del luogo del delitto e dei suoi abitanti, raccontandone paesaggi, caratteri e tradizioni. In questa serie è recentemente uscito il primo romanzo di Marisa Andalò, insegnante per indole, sceneggiatrice per vocazione. Protagonista paesaggistico è la Sardegna, non la banale isola di soubrette e milionari, ma il suo angolo selvaggio dominato dal peso storico e paesaggistico delle miniere dell’Iglesiente.  Protagonista umano, il commissario Federico Diamante, padano trapiantato a Roma che si trova a scavare in sé stesso percorrendo cunicoli spesso più bui delle stesse miniere. Un luogo e un personaggio apparentemente ostili, chiusi ed indecifrabili che, al dipanarsi della trama, si rivelano solo esternamente arroccati a difesa di fragilità inconfessabili. Difficile non affezionarsi a questo poliziotto disperatamente burbero, ma appassionato, amante del mondo, della natura, della vela, rammaricato di un essere che non è, di capacità che non ha, di una vita perfetta improvvisamente sottrattagli da concatenazioni di eventi più grandi di lui. Difficile non provare pena o coinvolgimento per le storie di emigrazione, di miseria, ma anche di lotte e dignità, di speculazione e di resistenza che affliggono un territorio all’apparenza distante anni luce dal “Continente”. Attorno ad essi, un girotondo vorticoso di personaggi, immagini, ricordi, vite che si incrociano, si costruiscono e si decompongono, si frammentano, si sgretolano. Minatori rancorosi coperti di polveri ormai cristallizzate, velisti curiosi che camuffano di turismo frustrazioni quotidiane, un capo ispettore donna che lavora a ferragosto mai ripresasi per la perdita di un cane. E ancora, una gioventù repressa ma vitale, di chi tenta di fuggire dall’isola e dagli schemi socioculturali che essa gli impone e di chi invece vi approda per preservarla e svilupparla. E avidi speculatori, assessori corrotti, governanti sciamaniche, mogli impazzite e mogli partorienti, santoni stupratori, sette sataniche, poliziotti mediocri che rivelano un’inaspettata profondità… Una girandola di persone che però non cede mai alla confusione, una sequela di cadaveri che non scade nel trito spargimento di sangue, scene pulp e delicatezza affiancate in un mix dal forte sapore cinematografico. Una buona opera prima, piacevole e di lettura immediata. Qualche eccesso, forse, ma funzionale.


Arte al cubo

dicembre 7th, 2008 by Michelangela Di Giacomo | No Comments

Arte al cubo

Un paio di settimane fa è stato presentato un bel catalogo di una mostra altrettanto bella che si è tenuta a Terni poco più di un anno fa. “Arte³”, così si chiamava, era la prima edizione di un’iniziativa che prendeva le mosse dalla sfida di porre un limite alla spontanea creatività degli artisti imponendo loro la regola di un preciso spazio, al tempo stesso teorico e fisico: un cubo. Quindici artisti, cinque critici ed un unico curatore riunitisi a riflettere intorno alla necessità di “accostare, giustapporre, combinare, connettere testi diversi, con l’obiettivo di comporre – come in un ingigantito gioco di cubi – un unico disegno” (A. Cochetti). Ne è uscita una composizione mutevole, eternamente provvisoria, nella quale l’immagine complessiva è prodotto anzitutto della sensibilità dei molteplici punti di vista dello spettatore. Si passa dal divertentissimo cubo di plastica del gruppo Cracking art, che ci induce a ragionare sull’urgenza dei problemi e dei pericoli inerenti l’inquinamento planetario e il rischio di estinzione di molte specie, al cubo fotografico di Sergio Coppi, per il quale le sei facce corrispondono ad altrettanti passaggi di un viaggio a ritroso nel tempo, nella Terni asse industriale e politico-amministrativo. O ancora di notevole impatto visivo è il cubo di Fausto Segoni, che affronta il tema del viaggio attraverso una costellazione traforata che compone un firmamento automobilistico dal vago sapore vintage. Sulla luce e il gioco di perforazione agiscono anche Gilly Giacobbe e Xavier Vantaggi, l’uno proponendo una riflessione di somma eleganza tra il nero liscio del suo cubo e i fasci di luce e plexiglas che lo perforano e lo trapassano, l’altro perforando la superficie del cubo con la sagoma ripetuta di un familiare cucchiaio, che diventa un nuovo alfabeto segnino. “Equilibrio q.b.”, come suggerisce nel suo testo Leonardo Proietti. E così Alberto Bravini gioca sulla confusione tra sferico e cubico, tra ruvido e liscio, proponendoci un’arancia spigolosa e liscia, in un accattivante gioco tra il pop e il bulimico consumo di arte. Tutto ciò per citare solo alcuni degli artisti che l’anno passato diedero vita alla mostra. Come si diceva in apertura, è stato invece da poco presentato il catalogo a documentazione di tutta l’operazione. Un prodotto di notevole  pregio editoriale, bello nella carta. nella qualità delle foto – molte e molto grandi – e nella varietà di testi a spiegazione ed interpretazione di una così apparentemente semplice impresa artistica. Benucci, Cochetti, Pesola, Proietti e Santaniello analizzano dunque le diverse morfologie dell’arte e del cubo, dall’aspetto matematico all’aspetto visivo, dal percorso sociale al percorso storico, fornendo allo spettatore chiavi di lettura supplementari rispetto all’impressione immediata provocata dalla mera fruizione dell’opera. La dilatazione dello spazio espositivo prodotta dall’autonomizzarsi dell’opera catalogo rispetto all’opera mostra ci induce a soffermarci sulla riflessione artistica in quanto tale, sulla evidente esigenza di non limitare all’immediatezza discorsi che avrebbero bisogno di una più organica comprensione ma anzi di soffermarcisi in occasioni anche diverse. Perché l’arte è l’opera ma è anche la storia dell’opera, storicizzazione che solo opere a sé stanti, come questo catalogo, sono in grado di realizzare.


Lo mejor que le puede pasar a un cruasán

settembre 29th, 2008 by Michelangela Di Giacomo | No Comments

Lo mejor que le puede pasar a un cruasán

Barcellona. Un qualche momento degli anni ‘90. Una camicia pacchiana, una bestia nera per mezzo di trasporto, una bevuta di rubinetto e una canna per far passare la sbornia da vodka della notte precedente. Baloo Miralles. Protagonista inaspettato di un romanzo giallo che si sostiene in un precario equilibrio tra una moderna famiglia Buddenbrook e visionarie apocalissi sociali alla Eyes wide shut. Ritratto di una decadenza asfittica ma compiaciuta, di vie di fuga da una società che scivola, precipita verso derive petronesche nella quale la promessa di una vita diversa solo sembra essere costituita da un rifugio estremo nella filosofia


Aspettando novembre 2008

luglio 14th, 2008 by tdomf_9e53f | No Comments

http://www.liberal.it/dettaglio.asp?id=736
Le elezioni americane saranno a Novembre ma già da alcune settimane impazza il “toto vice”. Il ruolo di vice presidente è effettivamente così importante? Michael Barone dice di si e ne elenca le motivazioni.


Reflection sur la démocratie

luglio 1st, 2008 by tdomf_9e53f | No Comments

http://www.esisc.org/documents/pdf/fr/edito-koweit.doc-388.pdf
Cet incroyable article de Claude Moniquet montre la tendance qui de plus en plus ces derniers temps se trouve sur le web. Il montre la nécessité d’un regard plus réaliste et plus axé sur l’action. Bref: fini le temps des belles idées, essayons d’arriver à quelques résultats. La première nécessité est donc celle de connaitre les milieux où l’on opère.
A mon avis il aborde là un discours qui doit etre bien plus dévelopé pour l’Afrique, où la tentative de mener des projets de dévelopment erronés dès leur conception a porté le continent à une situation désormais critique (voire compromise pour les prochaines 50 années).


Un giovane poeta, la mente e la curva

maggio 17th, 2008 by Guicciardo Sassoli de Bianchi | 5 Comments

Chi legge ancora la poesia? Chi conosce i nuovi poeti? La poesia dimora in un palazzo
barocco nella soffitta della memoria, dimenticata, raramente visitata in attesa che Tancredi e
Angelica ispirati non decidano di riscoprirne le stanze dove rincorrersi, ritrovando tesori d’arte, eredità di una vecchia zia nemmeno tanto simpatica: la scuola.
Dopo gli anni della giovinezza, pochi rispolverano le letture di quella che dovrebbe essere una delle forme d’arte più elevate. La poesia, ‘ruscello di profumi e pensieri,insieme ribelli e servili ad un tempo’ pare che viva una stagione di diffuso disinteresse, fra lettori interessati ad altri generi letterari oppure paghi dei grandi poeti del passato. Esistono ancora i poeti? Ci si chiede; come se l’Italia degli ultimi decenni, dopo Quasimodo, Palazzeschi, Montale, Pasolini e Luzi non abbia più dato i natali alla rara pianta del poeta.
In realtà molte sono le nuove pubblicazioni ma sempre pochi i lettori, forse intimoriti dalla selva di pseudopoeti che abitano la letteratura italiana contemporanea.
Fra le ‘nuove poesie’ segnaliamo quella di un giovane poeta alla sua prima pubblicazione,
Saul Andreetti con ‘La mente e la curva’ , Manni editori presentazione di Gianni Scalia.
La poesia mette il critico di fronte ad un’alternativa: o parlare di tutto tranne che di poesia
o non parlare di nulla se parla solo di poesia; lasciamo che la poesia si presenti da se sfogliando
qualche pagina de ‘La mente e la curva’:
.
Un fiume non è la poesia
per me, ma un ruscello
di profumi e pensieri, insieme
ribelli e servili ad un tempo.
La vita è ciò che mi spreme
le membra, questo è il bello
del Tempo che divoratore non è,
nel senso che le mie teme
son altre, e d’amor non favello
e non so quali siano i perché.
Solamente posso affermare
che il poeta è la montagna
incantata dalla quale il ruscello
le armonie dello spirito bagna
d’amore, e il suo mare
di luce e tenebra e bello
è sentire divino in quel mentre.
(15 marzo 1999)
.
Nel sogno le stelle per te
forse si facevan fugaci
e la barca era il perché
di cose che ora tu taci,
ricordo che per istanti
quelle stelle avevan definizione
di noi, tali specchi calanti
sapevano la nostra passione,
ma ora diversi, lontani
non sappiamo il perché
la barca è alla deriva
ed in questo un senso non c’è.
(Agosto 1999)
.
Metamorfosi lucenti e verbose
nella mia oscura poesia altera
non son altro che cose
leggere per te si leggera,
o mia fata di tremolante tristezza
d’azzurro, perché non può la Natura
afferrarti? Tu che la brezza
profumata domini con la tua pura
regale e intensa bellezza
sai fuggirla e beata
ti compiaci se Essa
ama farsi così comandare…
Ma tu che la stessa
forza di Quella conosci
farai di me un umile e santo
con ciò che sei? E l’altezza
mia sarà solo tuo vanto?
Saran la tua immagine o le snelle
tue movenze di fuoco notturno
a incantarmi e a rendere belle
le cose di cui son taciturno?
(Non ho l’ingegno per dare
risposta a quesiti che sono
la stessa cosa col suono
di te che mi fa sognare)
(Giugno 1999)
.
In Morte di Fiorella Severi
La vita e la morte si fanno
vive in questo morire presente
ché morta è la vita e tagliente
quella è, e di morte m’affanno.
Sicchè quella Vita che hanno
di morte insignita è l’assente
morte di vita che niente
è nel suo morir e nel suo danno.
Ché essendo di vita la morte
io dico ora che vita
non muore se morto è l’oblio
della non-vita ché vita
può essere solo se morta
è la morte di questo vivo mio oblio.
(Marzo 2001)


Partiti politici in Italia. Piero Ignazi, il Mulino

maggio 8th, 2008 by tdomf_9e53f | 1 Comment

Negli studi storici c’è spesso un cono d’ombra, una cantina dove gli storici lasciano invecchiare gli eventi prima di iniziare ad affrontarne le problematiche e rendere solo in seguito noti i risultati delle loro ricerche. Quel limbo di avvenimenti del recentissimo passato, gli ultimi dieci anni circa su cui gli storici posano il loro sguardo senza approfondire e di cui i giornalisti spesso si dimenticano, troppo presi dall’oggi, poco avezzi alla memoria storica.

Nel panorama delle pubblicazioni sulla politica italiana si inserisce questo testo di Piero Ignazi che cerca di donare un’immagine complessiva della storia dei principali partiti politici italiani dall’avvento del bipolarismo fino ad oggi.
Un piccolo testo di un centinaio di pagine che – seppur un pò di parte (strizza l’occhio al PD) – può avviare delle ricerche su un tema ancora lontano dall’essere trattato in modo esauriente.



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