Barack Obama e il suo “dream team” in fieri

novembre 15th, 2008 by Valentina Clemente | No Comments

Barack Obama e il suo

Già definito dai media come “il presidente con il compito più difficile dai tempi di Franklin Delano Roosevelt”, Barack Obama è pronto a guardare in faccia gli americani e il mondo intero, conscio delle problematiche che dovrà affrontare nei quattro anni del suo mandato presidenziale.
In un albergo di Chicago, inaspettatamente divenuta una provvisoria Casa Bianca, Obama è comparso davanti alla stampa internazionale per la prima volta da “presidente eletto”.
Sembra passata un’eternità da quando, pochi giorni fa, Obama parlò al mondo intero dal parco nel cuore di Chicago accolto da centinaia di migliaia di persone in delirio.
Poco tempo dedicato agli onori e subito all’opera, consapevole del peso degli oneri.
Dopo aver ricevuto per due giorni i briefing segreti d’intelligence che spettano al presidente eletto, aver parlato con vari leader mondiali ed aver discusso con i consiglieri economici, Obama ha assunto il tono del comandante in capo, pur sottolineando che lui non sarà presidente fino al 20 gennaio.
Con l’America colpita dalla peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione, Obama ha riunito il proprio team economico e parlato alla stampa in una giornata nera per l’economia: 240 mila posti di lavoro sono andati perduti a ottobre, per un totale annuo pari a 1,2 milioni mentre il tasso di disoccupazione è salito al 6,5.
E proprio di economia ha iniziato a parlare. Barack Obama ha, infatti, sottolineato la gravità della situazione e al contempo ha descritto i suoi tre punti chiave: in primis, un piano di salvataggio per la classe media, in secundis arginare l’impatto dilagante della crisi finanziaria ad altri settori della nostra economia. Inoltre, sarà essenziale sorvegliare da vicino l’entrata in vigore di questi programmi nel raggiungimento dell’obiettivo centrale di stabilizzare i mercati finanziari proteggendo i contribuenti e, al contempo, mettere a punto una serie di politiche che facciano crescere la classe media e rafforzino l’economia a medio termine.

Le soluzioni il presidente eletto le ha analizzate, insieme al vice Joe Biden, con 17 collaboratori di alto profilo tra cui gli ex ministri del Tesoro Lawrence Summers e Robert Rubin, Paul Volcker, Eric Schmidt, numero uno di Google e Richard Parsons, nome di spicco del Time.

Numerose, inoltre, sono le indiscrezioni che indicano Hillary Clinton come prossima Secretary of State: i portavoce dell’ex candidata alla nomination, sconfitta da Obama e diventata poi una sua fedele sostenitrice, hanno riferito che la decisione finale spetterà sempre e comunque al Presidente eletto. Altre possibili scelte di Obama sono Caroline Kennedy, la figlia di JFK, e l’ex vicepresidente e premio Nobel per la pace Al Gore: Gore potrebbe ricoprire la carica di “zar” del clima o dell’energia, che dovrebbe coordinare tutti i ministeri e le agenzie federali del settore.
Caroline Kennedy, che ha fatto campagna per Obama e ha guidato la ricerca del vicepresidente ideale (conclusa con la scelta di Joe Biden), potrebbe essere la prossima ambasciatrice degli Usa alle Nazioni Unite.

Barack Obama non sembra volersi fermare mai. Per rimanere fedele e vicino a chi l’ha sostenuto anche e soprattutto via internet, il presidente eletto invierà agli americani il tradizionale messaggio radiofonico del sabato non più soltanto via radio, come finora abituati dal presidente George W. Bush, ma anche via YouTube. Il video, della durata di 4 minuti, sarà diffuso attraverso il sito www.change.gov, portale internet allestito da Obama attivo per tutto il periodo fino al 20 gennaio 2009, giorno in cui il presidente eletto giurerà davanti al Congresso ed entrerà alla Casa Bianca.

Non ci rimane che dire: Buon Lavoro, Mr. President!


America: Notte Magica

novembre 9th, 2008 by Silvia Santinello | No Comments

America: Notte Magica

It was amazing, simply amazing. Cosa? Tutto. Non parlo solo dell’elezione di Obama in se, del suo discorso capace di far venire i brividi anche a chi non l’ha mai conosciuto prima, e del fatto che il 4 novembre sarà una data che i miei figli (se ne avrò) studieranno a scuola; a quel punto sarò orgogliosa di dire loro “io ero lì e ho seguito passo dopo passo questo evento epocale.” Quello che mi ha maggiormente colpito di ieri notte è il fatto che solo ieri, da quando Obama è stato annunciato presidente (io ho seguito tutto tramite la CNN), ho capito davvero cos’è l’America. Per questo ho parlato di notte magica…ma andiamo per ordine.

LA GIORNATA ELETTORALE
Affronto la giornata del 4 novembre come una delle tante tipiche giornate da college californiano, ma da quando mi sveglio capisco che c’è qualcosa di diverso. A colazione incontro Nnamdi, studente Nigeriano-americano che vive con me all’International House della San Jose State University. Un sorriso smagliante e l’adesivo I voted sul petto. 28 anni e prima volta al voto, perché anche lui questa volta vuole esserci; ha fatto 5 mesi a martellarmi su Obama e per lui era arrivato il grande giorno. Incontro anche James, che non ho capito perché non è riuscito a votare anche se avrebbe voluto, e Kyle, che non ha votato perché dice che essendo libertarian non se la sente di votare Obama, ma dall’altra parte non si riconosce nemmeno in McCain e soprattutto nella sua vice. James e Kyle sono americani bianchi come tanti, diversi dai fanatici della mia classe di Bob Rucker sul rapporto tra i media e le elezioni americane.

Vado a lezione e incontro altri ragazzi con l’adesivo I voted appiccicato alle guance. La sorte vuole che è proprio il mio turno per presentare alla classe il news quiz (a ogni lezione uno studente scrive un quiz per tenerci aggiornati su quello che accade nel mondo), compito non facile considerando le “notiziette” della giornata…ma la mia prof ha apprezzato come non l’avevo vista con nessun altro (e si che non perde occasione per demolire i miei servizi) e questo non può che rendermi un pochino orgogliosa.

Vado alla classe successiva, quella di pubbliche relazioni incontro il professore fuori dall’aula che mi dice “no class today, go and vote!” (se potessi…). Così salgo al dipartimento di giornalismo per cercare di sistemare l’audio del mio ultimo servizio. Incontro il mio amico Harvey, americano ma mix di diverse etnie, mi dice che ha votato per le propositions ma non per il presidente perché nessuno dei due lo convinceva, Obama in particolare gli sembra troppo costruito, quasi finto e poco onesto. Mentre mi aiutava con il mio servizio seguiamo insieme le prime immagini della CNN…sembra che Obama sia in vantaggio e si stia accaparrando la Pensylvania…non riesco a capire di che tipo di proiezioni si tratta, quanti voti hanno spogliato etc…mi stupisco ancora di più quando è dato in vantaggio in Florida.

Alle 6 avrei dovuto avere la classe di Rucker, ma avevamo deciso di sospenderla già da 2 settimane. A me come ad altri miei compagni di classe che abbiamo famiglie lontane o amici che si interessano poco di politica sarebbe piaciuto seguire l’election night in classe…ma abbiamo preferito convincere Rucker a trascorrere questo momento storico nel posto dove doveva stare, che non è in classe ma a casa sua con la madre 95enne e la zia 94enne, entrambe afro-americane che non avrebbero mai pensato di vivere tanto a lungo da vedere uno come loro ricoprire la carica più importante al mondo. C’era pure un inviato del San Jose Mercury news a raccontare le emozioni di casa Rucker e delle due commosse nonnine. Non vedo l’ora di leggere il suo pezzo personale sulle elezioni e di sentire le sue impressioni in prima persona, ma essendo martedì prossimo la vacanza del Veteran’s day dovrò aspetttare fino al 18.

Così torno all’International House consapevole che dovendo essere in aeroporto alle 4 di mattina e avendo ancora tutto da preparare andare a una delle feste dentro o fuori dal campus non sarebbe stata una buona idea. Così ho seguito la maggior parte della diretta nella TV room dell’I-house. All’inizio siamo solo in 4-5 con altri residents che girano e danno un’occhiata alle proiezioni. La vittoria di Obama sembra sempre più probabile…schiacciante in Pensylvania, in vantaggio in Ohio e testa a testa in Florida, stati che non mi sarei mai aspettata di vedere tutti e tre colorati di blu anche perché erano i tre stati con il maggior numero di electoral votes tra quelli in bilico. Capisco che forse mi sbagliavo riguardo ai sondaggi, come mi sbagliavo anche riguardo all’America.

Intanto scrivo un po’ di mail per l’italia finchè non alzo gli occhi e leggo che la CNN dà l’ufficialità di Obama president-elect (sarà nominato presidente solo il 20 gennaio). Ancora non capisco se si tratta di una proiezione o di una certezza, finchè non vedo McCain accingersi a pronunciare il suo discorso e mi vengono in mente le parole di Rucker “at first the loser will come out and congratulates with the winner,” e capisco che è vero, che Obama ce l’ha fatta, che l’America, per ricominciare ha scelto lui. Tutto il resto è attesa per il discorso del nuovo presidente, parola che a me fa ancora strano associarla a lui forse perché come Severgnini ho sempre detto “se non lo vedo non ci credo.”

Al momento del discorso di Obama nella TVroom dell’Ihouse c’erano più di 50 persone tra residents ed esterni. Americani, alcuni molto esaltati e anche commossi tra cui lo stesso Nnamdi e Josh, un altro che 10 mesi fa aveva cominciato a farmi conoscere Obama quando ancora mi chiedevo perchè i giovani californiani erano così colpiti da questo personaggio “diverso”. Ma ci sono anche tanti studenti internazionali, alcuni che hanno sempre seguito Obama, altri che capiscono la portata storica dell’evento e vogliono semplicemente esserci in qualche modo, seguendolo in diretta ed esprimendo le loro emozioni, come …


Obama: Here we go again!

novembre 6th, 2008 by Valentina Clemente | No Comments

Obama: Here we go again!

Il sogno di Martin Luther King è diventato realtà: unanimi, in un vero e proprio plebiscito, i cittadini americani hanno deciso che Barack Obama sarà il primo presidente nero degli Stati Uniti, il primo uomo di colore ad insediarsi alla Casa Bianca. Segnale di indiscutibile coraggio, un evento storico di questa portata delinea che l’America, tutta, bianca e nera, ricca e povera, è pronta al cambiamento.
E’ un segnale che conferma come l’America sappia sempre trovare dentro di sé – soprattutto quando tutto sembra andare per il verso sbagliato – la forza, la determinazione e le motivazioni per scegliere strade nuove, per avviarsi in sentieri inesplorati alla ricerca di una new frontier.
Tutti oramai conoscono la sua storia: figlio di un immigrato keniota e di una donna bianca del Kansas, Barack ha trascorso la sua infanzia tra le Hawaii, luogo di nascita del democratico, e l’Indonesia. Ha vissuto dal profondo il significato del sogno americano, di chi ce la può fare, sempre.
Promotore sin dall’inizio della sua campagna elettorale del cambiamento, della riforma forse perché, proprio lui, ne ha sempre avuto bisogno. E come lui, del resto, milioni sono i cittadini americani che hanno lottato e messo a repentaglio le loro vite proprio per questo fatidico change, arrivato in una fredda notte di novembre.
Il nuovo presidente Usa ha saputo incarnare l’anima profonda degli americani, quella che sa vivere di sogni e traguardi apparentemente irraggiungibili, di cambiamento e di nuove sfide.
In lui, gli americani che oggi guardano con diffidenza e paura un futuro indefinibile e ricco di presagi negativi, hanno riconosciuto in Obama un uomo capace di dare nuove speranza e, probabilmente, il creatore di una difficile e tortuosa strada che tutta l’America percorre da tanto, troppo tempo.
Numerosi, ed azzardati a mio parere, sono stati i paragoni con John F.Kennedy, giovane presidente americano il cui desiderio di portare l’America on the move again si fermò troppo presto: JFK fece la storia, probabilmente ne scrisse il primo capitolo, che sicuramente verrà continuato da Barack Obama.
Se Kennedy iniziò il suo mandato presidenziale con il celeberrimo “Ask not speech”, il senatore dell’Illinois ha ringraziato le folle oceaniche radunatesi a Grant Park ricordando loro di essere un’unica nazione, che deve lavorare per farcela, non dimenticando di ricordare loro che quello era e rimarrà un momento storico.
Ma il punto fondamentale è che Obama ha saputo parlare al cuore dei suoi concittadini, dando loro sensazioni e convinzioni che un cambiamento non solo è necessario, ma anche possibile.
Gli Stati Uniti oggi hanno dato una lezione importante anche all’Europa:nei momenti difficili gli americani sanno ritrovarsi come hanno fatto oggi nelle lunghe file, in tutti gli angoli del Paese, davanti ai seggi elettorali,sanno decidere con coraggio senza guardarsi indietro.
Alcuni parlano di American dream, altri di miracolo: folle oceaniche l’hanno seguito, sostenuto ma soprattutto l’hanno votato.
Obama usa la parola cambiamento, Le Monde “révolution”: sarà, ma intanto Barack Obama ce l’ha fatta e si appresta a cambiare i colori del mondo.


America: this is your moment

novembre 5th, 2008 by Silvia Santinello | 1 Comment

America: this is your moment

Ho vissuto negli States per quasi un anno; un anno in cui ho imparato ad ambientarmi, a cercare di capire i loro eccessi e le loro contraddizioni, ad apprezzare le tante cose che noi abbiamo da imparare da loro, e a criticarli per quello che potrebbero imparare da noi. Anche se tra poco più di un mesetto il mio visto J1 scadrà e non so quando avrò la possibilità di tornare qui, questo paese mi ha dato tanto e sarà sempre un po’ parte di me.
Per questo pur essendo strapresa tra un volo per New York City che mi aspetta il 5 novembre alle 6 del mattino, la deadline dello script per un servizio che ho dovuto filmare in 3 giorni, problemi vari con la mia università italiana (la Cattolica) per la laurea e il post laurea, non potevo evitare di raccontare un evento che davvero rappresenta una tappa storica a cui sono orgogliosa di assistere così da vicino, capitando addirittura in entrambe le coste tra il 4 e il 5.
ABBIAMO VISTO DI TUTTO
Premetto che quella che si sta concludendo è stata la prima campagna elettorale americana che ho seguito con un certo interesse. Ero qui anche per le primarie, le più combattute della storia americana, ma oltre ad aver assistito ad un comizio con atmosfere da stadio di Hillary ho seguito poco altro. Quando sono tornata qui ad agosto ero interessata a capire un po’ di più cosa si nascondeva dietro a queste elezioni così tanto attese; così, quasi per caso, mi sono iscritta alla classe del professor Rucker che da grande esperto della comunicazione ne aveva creato uno slogan “wellcome to a front row seat to history!” Non sapevo cosa aspettarmi, avevo anche pensato di lasciarla perchè ero già abbastanza carica di corsi, ma certo non mi immaginavo che avrei avuto la possibilità di assistere in prima persona a tutti gli eventi cruciali che hanno caratterizzato questi ultimi 2 mesi. Dalla Convention Democratica, che dopo i discorsi dei Clinton, di Michelle Obama e di Obama stesso il mio prof ha definito “More interesting than a World Series”, alla Convention Repubblicana, con l’esplosione di Sarah Palin e delle mille polemiche sulla sua vita privata e sulla sua competenza per l’incarico di VP. Per arrivare alla crisi economica, che ha fatto passare in secondo piano tutte le polemiche tra i due candidati evidenziando il problema di fondo, ovvero 8 anni di un disastroso mandato persidenziale di George W. Bush. Fino ad arrivare ai quattro dibattiti dove i due candidati hanno avuto modo di farsi veramente conoscere dagli elettori tra attacchi reciproci (McCain ha ripetuto che Obama alzerà le tasse tanto quanto Obama ha ripetuto che McCain sarà il proseguimento della gestione Bush), colpi bassi (il più famoso ovviamente il “that one” rivolto al candidato di colore), e protagonisti inaspettati, come Joe the Plumber, idraulico dell’Ohio che incarna la direzione in cui il Partito Repubblicano pensa di concentrare i suoi sforzi per cambiare il Paese.
Una campagna in cui abbiamo assistito ad accuse ad Obama di terrorismo, socialismo e incompetenza, così come McCain è stato accusato di essere troppo vecchio, troppo conservatore o troppo populista (soprattutto per via della sua vice). Una campagna di 2 anni in cui, oltre ad essere stata spesa la cifra stratosferica di un miliardo di dollari, si è visto un nuovo protagonista: Internet. Obama ha capito il valore del Web, l’ha usato per recrutare tanti giovani volontari per la sua campagna, per raccogliere fondi e per piazzare pubblicità addirittura nei videogames online (che più che dai teenagers sono diffusissimi tra i 30enni…). Qui mi viene in mente una delle frasi dello spin doctor Democratico (dichiarato omosessuale e rimasto un convinto Hillarista), Mike Marshall, che ha parlato nella mia classe martedì scorso. Ha affermato “Obama is so successful on the Internet through the gay male porn industry”. Spiegazione: negli anni 90′ quando tutto il mondo era molto scettico riguardo al Web i gay lo vedevano come unico canale da cui scaricare il porno, e così hanno contribuito a diffondere i pagamenti via web che ora tutti consideriamo quasi normali, e a situare la base finanziaria delle campagne di entrambi i candidati proprio online.
Teorie discutibili come questa a parte, è stata la campagna degli scandali e dei colpi di scena, delle novità (come candidati donna o afro-americani) e delle tradizioni (come i valori di Wasilla sbandierati dalla Palin), della TV e di Internet. Una campagna che ha permesso ai college students americani (che di solito pensano di più alle feste nelle confraternite o a family guy piuttosto che a scendere in piazza contro il ministro dell’istruzione) di tornare ad interessarsi in politica, di impegnarsi attivamente nella campagna, di organizzare eventi e far sentire la loro voce per poter cambiare veramente qualcosa dopo 8 anni di Bush.
LA SITUAZIONE
A meno di 24 ore dall’election night tutti i sondaggi danno in vantaggio Obama più o meno dai 2 agli 11 punti, ma da quando ho iniziato a seguire questa campagna ho sempre dubitato fortemente della loro affidabilità (Kerry nel 2004 era in vantaggio addirittura dopo gli exit polls). Oggi (per voi che mi leggete dall’italia dovrei dire ieri) entrambi i candidati hanno seguito una tabella di marcia allucinante, con comizi consecutivi per cercare di toccare tutti gli stati ancora in bilico. Decisivi si dice siano soprattutto Florida e Pensilvanya, perchè essendo più popolati avranno anche un maggior numero di rappresentanti all’electoral college. Ma cruciali saranno anche Nevada (dove Obama ha cercato di accaparrarsi i voti degli ispanici), Ohio (da dove proviene il tanto citato Joe the Plumber), Virginia (uno dei possibili swing states, che da storico Repubblicano potrebbe passare ai Democratici), North Carolina e Colorado.
In casa Democratica si teme l’effetto Bradley, gli indecisi che potrebbero passare dalla parte di McCain e una minore affluenza rispetto alle aspettative da record magari perchè si pensa che Obama abbia già la vittoria in tasca (questo si teme soprattutto per la California, in cui per via del fuso orario la maggior parte degli elettori andrà a …


Hell-or-win ’08. An electoral ghost tale.

novembre 4th, 2008 by Antonio Tiseo | 5 Comments

Hell-or-win ’08. An electoral ghost tale.

Il primo sole novembrino probabilmente domattina dissolverà le tenebre in quest’ultimo e remoto angolo di sud, dove anche i raggi di Elio sembrano essersi adeguati al lento incedere della vita dei piantatori di cotone e dei raccoglitori di nocciole della Georgia.
Il tepore mite dell’astro più sacro tra quelli venerati dagli sciamani, pur dissipando le nubi, non riuscirà tuttavia ad assolvere la sua funzione primaria: quella di ricacciare nella notte gli spiriti maligni lasciando campo aperto alle innumerevoli attività degli umani.
Eh si purtroppo. Gli umani. Gli stessi che, per tutto il precedente mese, hanno fatto a gara a lobotomizzare zucche per prevenire che lo spirito di Jack O’Lantern trovasse ristoro proprio nella loro dimora e si posizionasse, con il suo pesante fardello di peccati e blasfemìe, seduto sui loro comodi sofà ad ascoltare bugie provenienti da un  cavo collegato ad un inquietante scatola nera.
Povero Jack O’Lantern. Se solo quest’anno potesse vedere quanti altri fantasmi si aggirano  nella sua terra incantata, ne rimarrebbe scosso. Sicuramente deluso. Vedrebbe infatti quella che ormai considerava come la “sua” condanna, ovvero l’eterna peregrinazione tra bene e male, non essere purtroppo più suo monopolio legittimo. Noterebbe altri spiriti,  ben più tremendi e terribili, contendergli il posto nel sonno della ragione del continente nordamericano. Sonno della ragione che, Goya non me ne voglia, sta generando più mostri di quanto l’intera testa di Lynch possa contenerne.
Chi avesse il coraggio e la temerarietà di Jack e volesse perdersi nelle strade dell’Impero in questa decade avversa vedrebbe cose gli umani difficilmente comprenderebbero. Osserverebbe masse di bianchi inconsapevoli ingurgitati da cabine elettorali ed intenti a scontrarsi, per la prima volta nella loro esistenza, col fantasma del loro pregiudizio razziale. Un fantasma enorme, che i politically correct hanno soprannominato Bradley effect (vedi alla voce neologismo eufemistico per negrofobia) e che guarda caso ha scelto, come sua dimora, l’urna elettorale.
L’urna sì, proprio l’urna. Quella che paradossalmente era stata il segno distintivo della giustizia occidentale tanto da imporla con le bombe ai renitenti della post-modernità, semplicemente perché non credevano come Francesco Fukuyama, nella fine della storia. Ora quell’urna è popolata da un fantasma molto più grande del nostro Jack Testa di Zucca, che minaccia qualunque persona tenti di avvicinarsi.
Minaccia un senatore piccolo e nero, venuto dall’Illinois e passato dalla cattedra di Legge a quella del Senato con una facilità della quale lui stesso s’è meravigliato. Un piccolo costruttore di consenso della prima ora che ha demolito un mostro sacro del conservatorismo democratico appoggiandosi all’high-tech e che si è trovato catapultato nella dimensione onirica, per uno di nome Barack, di esser lì a competere per il massimo soglio. Soglio, che come disse qualcuno, va raggiunto tramite un sogno. Un sogno riformatore con cui il piccolo candidato ha convissuto nell’infanzia e con il quale oggi farebbe bene a non misurarsi oggi. Anche un bambino capirebbe che yes we can e spread the wealth around sono slogan che vanno bene per rintuzzare McCain, ma che non arrivano nel momento adatto e non hanno la carica eversiva di un I have a dream o di qualsiasi altra parola pronunciata tra le mura della vecchia Ebenezer.
Obama e le sue ierofanie mediatiche sono purtroppo intrappolate dal loro stesso essere: null’altro che una riuscita operazione di marketing. Barack non è un meneur de foules ma un equilibrista su un cavo sottilissimo: deve evitare i toni accesi dello scontro e relegare l’argomento colore della pelle ad una dimensione neutra, di meticciato culturale, che non spaventi la maggioranza bianca dei suoi elettori e non disgreghi allo stesso tempo la componente nera che lo sostiene. L’imperativo è evitare riferimenti diretti a McCain e focalizzarsi di più su un altro fantasma: quello di Bush e della sua condotta. È per questo che nel suo seguito regale compare Giano Biden, arzillo inquisitore e canuto giullare, il cui cognome è simile a quello di un sanitario totalmente sconosciuto nel continente americano. Già solo per questo dovrebbe far ridere: ma solo gli Europei. Di Biden gli Americani invece sostengono che se fosse un attore sarebbe ottimo nella caratterizzazione del personaggio, ma pessimo nel tempo comico. L’esperienza in politica estera probabilmente gli ha insegnato a parlare nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Stesso pregio di un altro totem della campagna democratica, Bill Clinton, il quale pure quando dice cose giuste nel posto giusto, in genere mente.
Di certo c’è che se Atene piange, dall’altra parte Sparta non ride.
Pur non temendo le spire del sovracitato fantasma Bradley, la campagna repubblicana è comunque funestata da spettri autoctoni. È una delle più povere che la storia del partito ricordi: recruiting money è in genere un dramma per asini, non elefanti. Pachidermi che stavolta, per tornare a volare come nei film Disney, si affidano ad un vecchio veterano dell’Arizona sopravvissuto al Vietnam e non ancora sazio di emozioni forti, dal momento che ha sposato in seconde nozze una vistosissima ereditiera abbondantemente più giovane di lui. Candidato che, a dispetto dell’età e dei malanni, ha lottato a lungo durante le primarie e dopo, tentando di imporre al partito, spaccato al suo interno tra reaganiani e neo-teocon, un vicepresidente troppo licenzioso ed incontrollabile di nome Joe Liebermann. Alla fine probabilmente hanno perso entrambi gli schieramenti visto che chi ha vinto è l’ennesima creatura mostruosa di questa campagna. Un pitbull venuto dal gelo ben mascherato tra rossetto e fondotinta, ascrivibile al nome di Sarah Palin.
Anche in questo caso, la leggenda racconta che questo essere tenda ad identificarsi nel campionario archetipico continentale con la hockey-mom (versione polare della più comune soccer-mom di provincia) per poi repentinamente trasformarsi in una famelica cacciatrice di uomini, vestiti e potere. I bene informati l’avvistano di continuo nella taiga di Juneau con un grosso fucile a canne mozze sul cui calcio incide una tacca ad ogni alce che scuoia e ci riferiscono sia solita caricare su Youtube i video degli esorcismi cui partecipa entusiasta. Al suo fianco porta in catene il cerbero più tremendo dell’intera campagna elettorale, l’idraulico Samuel Joseph Wurzelbacher. Difficile spiegare cosa sia e quale sia la genesi di questo mostro. …


Facebook e MySpace hanno già il loro vincitore

novembre 3rd, 2008 by Valentina Clemente | 1 Comment

Facebook e MySpace hanno già il loro vincitore

Durante la campagna elettorale, Obama rimproverò al rivale di non sapere nemmeno scrivere una mail.
Alcuni giudicarono tale affermazione come un affronto, altri invece la ritennero sicuramente una forte lacuna che, sicuramente, il repubblicano avrebbe dovuto colmare il prima possibile.
A detta dei risultati che in questi istanti, a poche ore dall’apertura delle urne, si leggono on line Obama ha già vinto quattro a uno.
Nessun sondaggio, nessuna telefonata e tantomeno e-mail.
A decretare il democratico primo presidente nero degli Stati Uniti d’America sono due tra i più comuni social networks della rete: Facebook e MySpace.
Obama, infatti, ha un numero di sostenitori di gran lunga superiore all’avversario repubblicano: su Facebook ha 2 milioni e 382 mila friends mentre McCain si deve accontentare di aver raggiunto 620 mila supportes. Su MySpace 900 mila ragazzi hanno dato il loro sostegno al democratico, mentre Maverick ne ha raccolti 217mila.

Tanti i commenti dei sostenitori, molti dei quali non hanno dubbi, come Halimah che dal Michigan scrive: “tra poche ore Obama sarà eletto, non ho alcun timore di questo”.
Un’ulteriore conferma che l’appeal di Obama, soprattutto tra i giovani che popolano i network, sia superiore a quello dell’avversario, si può rilevare anche su Youtube: sul più grande sito di video-sharing, il canale ufficiale di Obama e’ stato cliccato da oltre 18 milioni di persone, mentre quello di McCain, da poco più di 2 milioni.

Nonostante tutto ciò, la tabella di marcia dei candidati non si è fermata: John McCain si è imbarcato in un’odissea in sette Stati in bilico (esordio a Tampa, poi Tennessee, Pennsylvania, Indiana, New Mexico e Nevada e finire con un comizio a tardissima notte a Prescott, in Arizona, prima di tornare a Phoenix). La sua vice Sarah Palin, tentando di incoraggiare il voto repubblicano, ha trascorso la giornata in Ohio, Missouri, Iowa, Colorado e Nevada. Biden ed Obama si sono divisi tra Missouri, Ohio, Pennsylvania e Florida.
Proprio in questo stato, oggetto di dispute e recounts vari, il democratico sembra aver un fortissimo seguito di elettori e sostenitori. Da Jacksonville il candidato democratico si è mostrato fiducioso sull’esito delle elezioni e ha promesso che il “cambiamento” tanto auspicato dai suoi sostenitori arriverà “domani”.

Tutti i sondaggi, sempre loro!, lo danno in ampio vantaggio ma, nonostante ciò, Obama sa che di dover tenere alta la tensione tra i suoi volontari perché “non possiamo permetterci di abbassare la guardia, sederci o rilassarci neanche un giorni, un minuto, un secondo” .

Non ci aspetta che attendere poche ore..e intanto a Dixville Notch, nel New Hampshire, le urne apriranno alle 6.00 di domani mattina. Buon voto a tutti!


Bianco o nero? Alla fine vincono i sondaggi

novembre 2nd, 2008 by Valentina Clemente | No Comments

Bianco o nero? Alla fine vincono i sondaggi

Altro che questione razziale, crisi finanziaria o riforma del sistema sanitario: i veri protagonisti di America 2008 sono i sondaggi.

Tanti, forse troppi. Nessuno riesce a farne a meno e nessuno conosce le ragioni di questa polls addiction.
Vere e proprie macchine da guerra, pronte a dare dati in continuazione, numeri e percentuali, con tanto di margine di errore, pari al 2,9%.
I candidati dicono di non prestare attenzione a nessuno di questi perché, proprio a detta degli interessati, saranno le persone a decretare il vincitore e non di certo le cifre dei sondaggisti. Ma, chissà come mai, in ciascuno dei loro comizi sia Maverick che il senatore dell’Illinois non riescono a fare a meno di citarli. E, anche qui, il vecchio detto “chi disprezza compra” non si dimentica e, paradossalmente, si mette in pratica nel migliore dei modi.
A due giorni dal voto, secondo John Zogby, Obama è in vantaggio di sei punti su McCain a livello generale, con un miglioramento di circa un punto rispetto a qualche giorno fa. A detta proprio di quest’ultima rilevazione, i bianchi stanno con il repubblicano John McCain (54%) e i neri, a valanga, con il democratico Barack Obama (93%). I bianchi voteranno secondo il sondaggio al 54% per McCain e solo al 40% per Obama. Il voto nero andrà invece al 93% a Obama e quello ispanico al 65%.
La sostanziale stabilizzazione degli umori dell’elettorato e’ il dato che Zogby mette particolarmente in evidenza. Ognuno dei due candidati sta consolidando la sua posizione sulle categorie a loro più congeniali: il sondaggista identifica per Obama nelle donne e negli indipendenti, McCain nell’elettorato più anziano e conservatore nonché tra le persone che si considerano benestanti.
Secondo il sondaggio Reuters/C-SPAN, invece, Obama ha il 50% dei consensi elettorali rispetto al 44% di McCain, in crescita di un punto rispetto al sondaggio di ieri.
L’Istituto Gallup ha registrato un’ulteriore crescita nei consensi a favore del candidato democratico Barack Obama, dato ora in vantaggio sul candidato repubblicano John McCain per 52-42.
Secondo un sondaggio odierno della Cbs, il democratico precede il rivale repubblicano di ben 13 punti, 54-41. Cresciuto anche il vantaggio di Obama secondo la media nazionale di tutte le rilevazioni: il candidato del partito dell’asinello e’ passato a +6,8%, contro il +6,4% di ieri.
Mancano ancora due giorni e ovviamente può succedere qualunque cosa: è difficile vedere dove McCain possa avanzare ma, visti i precedenti, non ci resta che aspettare.
La storia delle elezioni insegna ad essere cauti fino a quando lo spoglio sarà completo ma, nel frattempo, c’è chi dei sondaggi, delle proiezioni e del calcolo delle probabilità ne ha fatta una professione ed una mania.
Magari, chi lo sa, una di queste proiezioni sarà quella giusta…la regola è sempre la stessa: wait and see!


Pecunia non olet…

ottobre 31st, 2008 by Valentina Clemente | 6 Comments

Pecunia non olet...

Gli ultimi colpi di questa campagna elettorale si battono a tempo di spot, anzi megaspot costosissimi.
Il protagonista? Ancora una volta lui: Barack Obama.
Le risorse per la campagna elettorale sono una delle chiavi di lettura della campagna elettorale: avendo più soldi a disposizione, si sa, è più facile produrre materiale audiovisivo più convincente ma soprattutto più accattivante. Lo scopo, naturalmente, è sempre lo stesso: convincere ma soprattutto vincere.
Barack Obama è stato il primo candidato a rinunciare al contributo da circa 80 milioni di dollari messo a disposizione dei candidati dal governo federale. Ha scelto di contare solo sui finanziamenti privati dei suoi sostenitori. Il vantaggio? Ne ha a milioni. Lo svantaggio per McCain sta, paradossalmente, nelle regole del gioco: impediscono, infatti, a un candidato di ricevere finanziamenti privati dal momento in cui comincia a spendere quelli pubblici, ovvero il giorno della nomination.
Obama ha raccolto una cifra record nel mese di settembre (pari a 150,7 milioni di dollari), spendendone 87,5 milioni. Questo significa che ha cominciato il mese di ottobre con 133 milioni di dollari in banca, contro i 47 milioni di dollari a disposizione del suo avversario. Lo svantaggio di McCain è stato bilanciato dai fondi nelle casse del suo partito, ma anche tenendo questi in considerazione i democratici hanno iniziato il rush di ottobre in vantaggio: 164 milioni di dollari contro 132 milioni dei repubblicani. Obama, aspetto da non sottovalutare, ha continuato a raccoglierli.
Gli effetti sulla mappa elettorale sono stati significativi: per risparmiare McCain ha dovuto ridurre drasticamente o addirittura azzerare gli investimenti in alcuni Stati che fino a un mese fa sembravano a portata di mano per i repubblicani: Michigan, Wisconsin, New Hampshire , Colorado e New Mexico. E’ stato, inoltre, costretto a spendere in spot e attività sul territorio per difendere Stati per tradizione repubblicani come North Carolina o North Dakota. Come conseguenza di questo ha finito per avere meno risorse per le battaglie decisive, quelle per Florida e Ohio, Virginia e Pennsylvania, che sembrano essere ormai fuori portata.
La boccata d’ossigeno per McCain è rappresentata dalle casse del partito repubblicano, che può continuare a raccogliere e spendere fondi per sostenere il proprio candidato. Ma la campagna elettorale ha alcuni vincoli: gli spot del partito possono insistere su particolari temi, come il terrorismo o le tasse, ma non possono attaccare direttamente il candidato democratico, né promuovere in maniera esplicita McCain.
Obama ha giustificato la decisione di rinunciare ai fondi pubblici in virtù dell’immensa partecipazione popolare alla sua campagna elettorale. La spiegazione è d’obbligo perché negli Stati Uniti non è un buon biglietto da visita affidarsi ai finanziamenti privati e rinunciare al denaro pubblico, una presunta garanzia dall’influenza di interessi forti.
Ai finanziamenti ‘ufficiali’ a disposizione di un candidato o di un partito, ci sono movimenti formalmente indipendenti ma attivamente impegnati nella sua elezione. Alcuni sono gruppi storici, come moveon.org, quello del miliardario George Soros, altri sono creati ad hoc da collaboratori più o meno stretti di un candidato.
Il nome di Obama non compare nel logo ma “Committee for Change“, non fa segreti sulla causa che intende perseguire con i fondi che raccoglie. Fondi, vale la pena di notarlo, che non sono soggetti ad alcun limite: un sostenitore può andare ben al di sopra dei 2300 dollari del limite previsto dalla comitato federale che sorveglia sulla regolarità del voto. E anzi: i ricchi finanziatori che hanno contribuito con 2300 dollari alla campagna di Obama e con 28.500 al partito, possano investirne decine di migliaia in più nelle attività dei comitati esterni alla campagna.
Queste organizzazioni di super finanziatori sono state create ovviamente per sostenere entrambi i candidati. Il “Victory Fund” di McCain, ad esempio, ha offerto la possibilità di finanziare la campagna del candidato repubblicano con 70.000 dollari a testa. I finanziamenti vengono quindi distribuiti per finanziare campagne nazionali e locali, coprire costi per spese legali o contabili della campagna elettorale.
Come ha investito questi fiumi di donazioni il candidato democratico? Negli ultimi tre mesi ha speso almeno 65 milioni di dollari in spazi pubblicitari, circa il triplo rispetto all’avversario repubblicano John McCain e ha destinato 7,6 milioni di dollari per organizzare la campagna elettorale sul territorio nei cosiddetti swing states, i confronti nei quali il risultato è incerto, molti dei quali sono ex stati rossi, il colore dei repubblicani. da decine di migliaia di dollari fatte attraverso comitati di raccolta fondi. La legge impone che una persona non possa finanziare un candidato con più di 2300 dollari, e il partito con più di 28.500. Ma nulla vieta che organizzazioni ad hoc coordinino la raccolta di fondi in maniera autonoma, utilizzandoli per spot e propaganda in vista del voto.
L’ultimo folle investimento di Obama si è materializzato mercoledì sera su Nbc, Cbs e Fox News: un messaggio elettorale di trenta minuti, dove si intrecciano agilmente storie di famiglie americane che ogni giorno lottano per il pagamento del mutuo, che non sanno se riusciranno a pagare il college ai figli e se potranno mai avere un’assicurazione sanitaria definitiva. Storie di vita ordinaria, ma raccontate con maestria e dovizia di particolari.
Il messaggio di Obama ha raggiunto su Nbc 9,8 milioni di spettatori, su Cbs 8,6 e sulla repubblicana Fox 7,9 milioni, sgretolando il record di ascolti di Ross Perot, il miliardario che nel 1992 si candidò come indipendente alle presidenziali.

Mission accomplished: il democratico è entrato nella famiglia media americana, ne ha descritto gioie e dolori. Peccato, però, che proprio quest’ultima non sappia che questo “infomercial” non sia stato propriamente “economico”.
Ma si sa, in queste occasioni non si bada a spese, vista la posta in gioco.
Obama è stato sostenuto da moltissimi esponenti del mondo dello spettacolo, della politica e gente comune: pecunia, anche e soprattutto in questi casi, non olet assolutamente.


Scende la pioggia (anche sulla campagna elettorale americana)…

ottobre 29th, 2008 by Valentina Clemente | No Comments

Scende la pioggia (anche sulla campagna elettorale americana)…

Le prime indiscrezioni nella tarda serata di lunedì, le conferme ufficiali ieri: due ragazzi, bianchi, Paul Schlesselman e Daniel Cowart, avevano progettato di uccidere il candidato nero alla Casa Bianca. Sempre lo stesso schema: conosciutisi in rete, estimatori della razza caucasica, avevano già in mente di uccidere il candidato e numerosi suoi sostenitori, di colore ovviamente. L’unica cosa che avrebbe distinto il primo dalla massa sarebbe stata la modalità: se ad Obama sarebbe stato riservato uno special treatment, i suoi fans sarebbero stati decapitati. Pericolo, però, non diventato realtà: i due giovani sono stati arrestati e, con loro, il folle piano.
Eh si, piove sul bagnato: per Barack Obama, infatti, gli attentati scampati sono ben due, visto che aveva già “rischiato” proprio durante la settimana di Convention a Denver, conclusasi in maniera assai successful per il candidato democratico. Se di quest’ultimo Obama era pienamente a conoscenza e ne aveva assolutamente minimizzato l’importanza, dell’attentato di ieri non sapeva proprio nulla. Il Secret Service, servizio di scorta che segue il democratico da maggio, non aveva infatti informato né Obama né il suo staff, segnale indicante che il complotto non aveva raggiunto il punto di essere considerato una minaccia seria alla vita del candidato.
Obama scampa all’attentato e, paradossalmente, McCain risale la china nei sondaggi: Zogby, sempre lui, oggi dice che il democratico è avanti di quattro punti ad una settimana dal voto.
Il Senatore dell’Illinois teme, di conseguenza, la sorpresa McCain che potrebbe rivelarsi fatale, ma non impossibile.
Mancano sei giorni: se i sondaggi nazionali mostrano una leggera rimonta di John McCain su Barack Obama, le rilevazioni negli Stati mandano nuovi segnali di pericolo nel West per il candidato repubblicano. In Arizona, lo stato che McCain rappresenta in Senato, Obama è in crescita, mentre in Montana, uno Stato considerato fino a poco tempo fa solidamente repubblicano, l’esito del voto è ora incerto. Due sondaggi locali in Arizona hanno visto ridurre il vantaggio del repubblicano a 4-6 punti. Quanto basta per spingere vari media a considerare adesso l’Arizona non più uno Stato solidamente ‘rosso’ , ma solo ‘orientato’ verso McCain. In Montana le cose vanno anche peggio per McCain: il Partito repubblicano ha deciso di ricominciare a investire soldi in spot Tv e pubblicità sulla stampa locale, dopo che sono emersi segnali che Obama potrebbe vincere lo Stato e i suoi 3 voti elettorali. Il Montana è uno stato che George W. Bush ha vinto nel 2004 e nel 2000 con margini rispettivamente del 20 e del 25%. Mentre i candidati sono concentrati in questi giorni a darsi battaglia negli stati chiave della costa orientale (Florida, Virginia, Pennsylvania e Ohio), l’Ovest minaccia di diventare la parte del paese che il 4 novembre potrebbe dare il colpo di grazia a McCain, soltanto se la East Coast resterà equilibrata. Colorado e New Mexico (entrambi vinti da Bush quattro anni fa) sembrano sempre più orientati a scegliere Obama, mentre in Nevada e in North Dakota è ancora dura battaglia tra i due campi.
Sondaggi o no, la campagna elettorale continua, anche sotto la pioggia americana, che a quanto pare non sembra dare segnali di tregua. A causa di condizioni meteorologiche poco favorevoli, John McCain ha dovuto cancellare un comizio in coppia con la vice Sarah Palin in Pennsylvania, stato ove quest’ultima si fermerà ma che vedrà la dipartita di McCain, pronto a parlare a folle repubblicane e ad amici di Joe The Plumber in North Carolina.
Le ultime strategie del candidato dei democratici? Ebbene sì: sta esortando i propri sostenitori a convincere i datori di lavoro, scuole ed università a concedere un giorno di riposo proprio il quattro novembre mobilitando, così, le masse ad andare a votare e portando più gente possibile ai seggi. Usando YouTube e una pagina sul suo sito web (http://my.barackobama.com/page/s/dayoff), Obama ha invitato tutti i suoi sostenitori a impegnarsi a prendere un giorno di ferie dal lavoro o di assenza dagli studi, per dedicarsi alle elezioni. La macchina elettorale messa in piedi dal candidato democratico soprattutto negli stati chiave dove si decideranno le elezioni, conta molto sulla possibilità di far votare fasce sociali di solito poco attive nell’Election Day, come le minoranze e i giovani.
Malgrado i sondaggi, Barack Obama continua imperterrito la sua campagna elettorale, nonostante la pioggia battente al suo comizio a Chester, sempre in Pennsylvania…


Si riparte dall’Ohio…

ottobre 28th, 2008 by Valentina Clemente | 2 Comments

Si riparte dall’Ohio…

Ohio, Pennsylvania e Florida: Stati-chiave nella corsa alla Casa Bianca, sono da ieri in the spotlight e lo rimarranno molto probabilmente fino al fatidico e tanto atteso martedì quattro novembre.
Barack Obama e John McCain, però, hanno incrociato ulteriormente le spade ieri in Ohio, Stato controverso e da sempre dimostratosi l’ago della bilancia per il vincitore.
Nello stato di Joe the Plumber, la cui ascesa politica sembra oramai data per scontata, il candidato democratico durante un comizio tenutosi a Canton ha chiesto agli elettori americani di “voltare pagina” perché “l’azzardo più grave che possiamo fare e’ abbracciare le stesse, vecchie politiche Bush-McCain che ci hanno fatto fallire negli ultimi otto anni”. Obama ha, inoltre, detto che “tra una settimana potrete scegliere tra la paura e la speranza, potrete mettere fine ad una politica che divide una nazione per vincere un’elezione, che ci chiede di avere paura quando abbiamo bisogno della speranza”. Parole forti per il democratico, che anche i bookmakers danno per vincitore. Il discorso del senatore dell’Illinois, una vera e propria arringa finale, non ha però per nulla scalfito la fiducia che il suo oppositore repubblicano ha dimostrato ai partecipanti al suo comizio elettorale a Cleveland. Punto nodale del suo discorso è stata l’economia, che McCain punta a risollevare, togliendo definitivamente la corruzione da Wall Street e dalla Casa Bianca. Ha anche promesso incentivi a chi investe in borsa, misure a salvaguardia di chi perde la casa e, last but not the least, si è dimostrato pronto e convinto a creare opportunità e posti di lavoro in America.
Nel suo bagno di folla, il repubblicano ha ricordato quanto ha lottato per la Patria e, usando toni da stadio, ha detto ai suoi sostenitori di continuare a combattere per la vittoria della Casa Bianca. Inoltre, toccando sempre il tema chiave della campagna elettorale, ha definito il rivale “Barack il distributore” perché, “colpirà’ la classe media con nuove spese per tre miliardi di dollari, e sarà proprio quest’ultima a pagarne le conseguenze”. Idee condivise e ripetute dalla vice Palin, elogiata dal suo “capo” nonostante le ultime controversie degli ultimi giorni che li vedevano oramai vicinissimi al divorzio.
Le arringhe non si fermano ma, intanto, Obama rimane sempre in testa.
E nel frattempo, tra i vari endorsements planetari ottenuti da Barack Obama, spicca anche quella del russo Garry Kasparov, ex campione del mondo di scacchi nonché leader del movimento d’opposizione “L’Altra Russia” : “gli Stati Uniti hanno bisogno di un cambiamento e Barack Obama è la persona giusta al posto giusto”, ha detto il campione durante un torneo in corso ad Ajaccio.



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