Che cos’è la sinistra?

giugno 5th, 2009 by Giuseppe Luca Moliterni | 6 Comments

Che cos'è la sinistra?

Apprezzo assolutamente gli sforzi di coloro i quali si impegnano nel cercare di definire la destra in Italia, in quanto tali sforzi provengono essenzialmente dallo schieramento opposto.
L’idea di per sé di definire destra e sinistra mi trova alquanto diffidente, ma visto l’impegno profuso da chi ha ancora quella anacronistica idea di superiorità morale, politica ed etica della “sinistra”, una risposta credo sia necessaria e doverosa, se non altro per equiparare il dibattito e porlo sul contraddittorio, evitando quindi che il tutto assuma il classico “senso unico all’italiana”, elemento sul quale tornerò in seguito.
Ho passato un po’ di tempo ad interrogare me stesso su cosa sia la sinistra in Italia, per poi concludere: “Ah, ma in Italia c’è una sinistra?” Avendo già da ora palesato la mia conclusione si richiede quindi di esporre cosa mi ha indotto ad essa.
Innanzi tutto la sinistra è statica: si è andata ad arroccare su posizioni antitetiche rispetto al pensiero della gran parte degli italiani, reputando che chi non è in sintonia con essa sia naturalmente ignorante, berlusconista, antidemocratica, antiliberale, razzista, velinista. In questo si riconosce tutta la demagogia di minoranza della sinistra italiana. A questo si aggiunge un’altra importante (dis)funzione della sinistra: quella di ergersi a pedagogo del popolo italiano.
Questo elemento richiama naturalmente l’idea presunta citata precedentemente di superiorità morale, etica e politica della minoranza in Italia. I cosiddetti leader della sinistra partono dal presupposto che solo loro abbiano il potere ed il dovere di condurre gli italiani verso “lidi” migliori, attraverso un processo “educativo” che conduce per forza di cose a screditare l’avversario politico, a non tener conto della sconfitta subita (e patita) nel campo elettorale, a fare della lotta contro una persona il tema centrale di tutte le battaglie politiche, a porre quasi necessariamente il tutto sul campo del giustizialismo senza freni. Ridicoli.
Dall’alto della loro “superiorità per forza di cose” (intendo dire che colui che si identifica nella sinistra crede che abbia una superiorità congenita) non hanno ancora capito che la maggior parte degli italiani non sono giustizialisti e vorrebbero una opposizione forte per quanto riguarda i programmi (e non per quanto riguarda gli attacchi diretti ad una sola persona, identificata erroneamente con la destra italiana).
Per farla breve, l’elettorato italiano si sposta sempre più a destra, quanto più vede la sinistra essere statica nelle sue posizioni.
A questo punto credo sia necessario esaminare i vari leader della sinistra italiana. Per puro piacere personale inizio con colui che più reputo il peggiore dei politici italiani: Antonio Di Pietro. Non parliamo qui del suo passato da magistrato, ma ecco, avrebbe fatto un grande piacere alla Repubblica Italiana se avesse continuato la sua carriera in magistratura. Un personaggio così rurale non può che far leva su un populismo talmente greve da essere ridicolo: di certo non il tipo da falce e martello (lungi da me il dargli del comunista), ma visti i suoi atteggiamenti conierei per lui una nuova immagine politica, ossia la zappa e martello, un mix tra sinistra latente (il martello) e ruralità incipiente, un uomo il cui programma elettorale si basa solamente su di un elemento: l’andare contro il Presidente del Consiglio. È questa la sinistra italiana?
Il PD: questo sconosciuto. Sfido chiunque legga questo articolo a definire il PD, sulla base della leadership e del programma. Iniziamo dalla leadership: il buon Veltroni a suo tempo si è assunto un impegno gravoso, essere il leader di un partito in cui troppe anime diverse si affacciano. Un ottimo esempio di leadership fallita. Franceschini invece sta dimostrando di essere un ottimo traghettatore, lo definirei il Caronte del PD. Come vuole la tradizione mitologica, Caronte traghettava solo coloro che avevano ricevuto gli onori funebri. Ebbene gli onori funebri il PD li ha ricevuti eccome: la grande sconfitta elettorale delle elezioni politiche, e le elezioni in Sardegna sono stati degli ottimi commiati.
Non perderò tempo a menzionare i piccoli partiti della sinistra scomparsi dalla scena parlamentare e che stanno tanto affannandosi per tornare in auge. Il Pdl ed il PD hanno fatto di tutto per estrometterli dalla scena, che difficilmente ritorneranno ad avere un ruolo significativo a livello parlamentare, potranno se mai avere un ruolo nelle amministrazioni, ma mai fondamentale.
C’è chi scrive che la destra sia solo Dio, Patria, Famiglia, valori nei quali non si può identificare. Ammettiamo per un istante che tale affermazione sia vera (ma non lo è in quanto riduttiva e, ancora una volta anacronistica), si potrebbe affermare che almeno a destra qualche valore sia rimasto; ma a sinistra? Dimenticavo, in Italia la sinistra non esiste!


Elezioni Europee e campagna elettorale: i grandi dibattiti

giugno 1st, 2009 by Giuseppe Luca Moliterni | 10 Comments

Elezioni Europee e campagna elettorale: i grandi dibattiti

Manca poco meno di una settimana alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la campagna elettorale risulta essere alquanto statica e di poco interesse. Gli elettori, da sempre, sono poco informati in merito alle tematiche europee ed anche sui programmi elettorali dei candidati, ma mai come quest’anno la campagne elettorale ha assunto toni e connotati degni da un B movie anni ‘70 (quelli con Lino Banfi ed Edwige Fenech per intenderci).
Le classi politiche ed i mezzi di informazione, anche i più autorevoli, hanno incentrato il dibattito su tematiche che hanno un morboso voyeurismo: la vicenda Noemi, la festa presso la villa di Silvio Berlusconi in Sardegna, il divorzio del Presidente del Consiglio. Si è partiti ancora una volta dai presupposti sbagliati. In un paese nel quale l’elettorato risulta essere immune e non influenzabile dalle vicende personali dei principali protagonisti della scena politica, si va a cercare di guadagnare punti facendo leva sulla vita privata di chi ha una posizione di autorità all’interno del Paese. Non viviamo negli Stati Uniti, nazione in cui la vita privata risulta essere rilevante ai fini elettorali e propagandistici, e di certo pur essendo un Paese cattolico, certe vicende incuriosiscono una certa parte dell’elettorato, ma non ne influenzano il voto.
Allora perché continuare a concentrare il dibattito su certe tematiche?
La risposta più immediata ha a che fare con la forza dell’opposizione (e qui mi riferisco al PD): troppo frammentata, senza la presenza di leader che sappiano prendere le redini del partito, senza un programma comune, senza un obiettivo da raggiungere. L’attaccare il Pdl e Silvio Berlusconi risulta essere la strategia migliore nel breve termine, perché più semplice e soprattutto perché non richiede sforzi a livello di contenuti: infatti non si propone nulla di alternativo, al massimo si cerca di strappare alla maggioranza una irrisoria percentuale di elettorato, ma la fluttuazione dell’elettorato è un elemento ricorrente e poco influente nell’analisi di vincitori e vinti.
È naturale chiedersi: dove sono i contenuti? Al momento la maggioranza non ha bisogno di contenuti per vincere le elezioni, a causa della debolezza dell’opposizione. Basta far notare all’elettorato come la sinistra non abbia argomentazioni valide in nessun campo per vincere le elezioni di qualsiasi tipo. L’opposizione, al contrario, non sa nemmeno più il significato della parola contenuti e, se vogliamo, programma. Come ha detto Marco Pannella, saremmo tutti bravi a fare i democratici alla Franceschini.


Dall’eurocomunismo alla socialdemocrazia, il percorso ideale auspicato dal PD…

maggio 31st, 2009 by Michelangela Di Giacomo | 9 Comments

Dall’eurocomunismo alla socialdemocrazia, il percorso ideale auspicato dal PD…

Ad aprile si è tenuto presso il Centro di cultura europea di Villa Vigoni un seminario internazionale dal titolo “Dall’eurocomunismo alla socialdemocrazia”, frutto della collaborazione tra la Friedrich Ebert Stiftung e la Fondazione Istituto Gramsci, ossia le fondazioni facenti riferimento alla SPD tedesca e al nostro PD.
L’intento della tavola rotonda era la comprensione del processo di avvicinamento dell’ex comunismo italiano e della socialdemocrazia tedesca, attraverso un dialogo in cui si fondesse la definizione del ruolo storico e di quello odierno della sinistra europea e in cui si leggesse la storia recente per suggerire gli indirizzi futuri della politica.
Mi sembra dunque che riportare alcune delle osservazioni lì proposte possa essere un tema interessante per capire la cultura politica e l’idea sottesa al progetto del Partito Democratico anche in vista delle imminenti elezioni europee. Il che non significa soffermarsi sui temi della campagna elettorale, ma andare anzi oltre le contingenze alla ricerca di quell’orizzonte del fare politica come ideologia e come fonte di identificazione culturale e di ambizione al miglioramento dell’essere umano in quanto animale sociale – tutte qualità della politica perdutesi purtroppo con la trasformazione dei partiti in meri gestori del consenso elettorale, cinici pigliatutto che non forniscono più al militante un’identità e un traguardo basato su un condiviso universo valoriale, ma si limitano alla gestione e alla riproduzione neanche del quotidiano, che già qualcosa sarebbe, ma della struttura del potere esistente.
C’è da dire che ogni partito, e i partiti comunisti erano in ciò mirabili esperti, tende alla creazione di un discorso narrativo e memoriale unitario, inserendo in un unico tragitto un passato e un presente che non necessariamente coincidono in una reale linea evolutiva. Così anche a Villa Vigoni, la tendenziale omogeneità dei partecipanti nella valutazione della convergenza dell’ultimo PCI e di alcuni partiti da esso derivati dopo l’89 con la tradizione socialdemocratica ereditata dalla SPD ha condotto forse alla narrazione di un tutto “organico” nel quale ogni accadimento sembra trovare una collocazione razionale e in cui le ragioni dell’oggi trovano legittimità nelle scelte di ieri.
La questione nodale dell’esperienza del PD è la formulazione di un serio ed organico progetto di partito socialdemocratico, e dare a tale progetto un backgroundstorico, anche nel superamento delle differenze intrinseche alle differenti anime confluite nel partito, sembra essere dunque un compito primario e ineludibile per poter anche solo immaginare un futuro per il partito stesso, tale da garantirgli una credibilità agli occhi degli elettori che esuli dall’urgenza e dalla sua percezione.
In tal senso, il rapporto desiderato e ricercato con le esperienze delle socialdemocrazie europee sembra essere cruciale, e non può non declinarsi in tre principali direzioni, soprattutto per soddisfare la sensibilità dell’ala ex-PCI interna al partito stesso: la valutazione della politica e del lascito di Berlinguer come input alla (social)democratizzazione del PCI, il ruolo di Brandt nell’apertura delle socialdemocrazie all’attenzione per il comunismo e per la sua riformabilità, il peso dei contatti con la socialdemocrazia per la definitiva scelta democratica ed europeista in direzione della quale il PCI – nella scia di Togliatti – s’era da tempo avviato. Questi sono dunque i temi nodali del progetto politico del PD, che, riuscendo o non riuscendo, vorrebbe comunque assimilarsi- accodarsi alle esperienze delle socialdemocrazie europee.
La valutazione (bifronte svalutazione e rivalutazione) di Berlinguer è dunque protagonista di tali riflessioni, in quanto il giudizio ampiamente condiviso sulle capacità carismatiche del segretario del PCI non esclude differenze di valutazione nell’analizzarne l’operato.
Silvio Pons, direttore della Fondazione Istituto Gramsci, ha proposto un’interpretazione dell’operato di Berlinguer imperniata su due punti, in linea con il suo ultimo, discutibilissimo per quanto accurato volume (Torino, 2006). In primo luogo, a suo parere l’eurocomunismo fu un’invenzione dei comunisti italiani, duplice tentativo di legittimare il proprio partito e di riformare il comunismo, non solo occidentale. Tale movimento ebbe un vasto impatto nell’opinione internazionale, positivo – quando letto come spinta reale alla modernizzazione – e negativo – in quanto causa di mutamento degli equilibri della Guerra Fredda – ma non si trasformò mai in un’alleanza politica. In secondo luogo, esso non fu un’“autostrada” verso il socialismo, ma costituì una transizione contraddittoria che, presupponendo un’autoriforma del comunismo, non ne metteva in dubbio – ed anzi ne accentuava – il quadro identitario. L’insistere su una lettura della situazione internazionale pure affine all’Ostpolitik non fu sufficiente a superare i vincoli con Mosca e la “fede” nella lealtà sovietica alla causa della distensione. Il rapporto con la socialdemocrazia avrebbe dovuto fare da sponda all’impostazione europeista, ma esso non ne costituì il principale obiettivo e si sviluppò perciò con molta lentezza, limitandosi a “simpatia” e “benevolenza”. Sebbene Segre rilevasse la necessità di una Westpolitik del PCI, il ruolo che il partito rivendicò, e su cui concordava con la SPD, fu rivolto ad una propria Ostpolitik, i cui principali interlocutori erano i comunisti europei, Tito e Kádár. Per tutti gli anni ’70 l’interesse della SPD verso l’eurocomunismo fu ispirato dal ruolo che il PCI poteva svolgere di ponte verso l’Est e da un interesse particolare di Brandt verso gli esperimenti di auto-riforma del comunismo. Negli anni ’80 i rapporti sembrarono stringersi, ma comunque in chiave culturale piuttosto che politica, attorno ad una comune visione della distensione quale sistema internazionale in crisi. Alla morte del segretario, in conclusione, la costruzione di un rapporto politico e di un’integrazione del PCI nella sinistra europea era ancora da costruire, mentre il sistema di riferimento tradizionale nel cui alveo era rimasto l’eurocomunismo si andava sgretolando, per l’ostilità di Mosca e Washington nei confronti di qualsiasi elemento di disturbo dell’assetto bipolare e per la mancanza di visione comune tra i principali partner eurocomunisti su alcuni gangli tematici quali la CEE, l’URSS e le socialdemocrazie.
Nel corso della discussione, Giuseppe Vacca, pur condividendo l’impianto dell’analisi di Pons, ha proposto un correttivo rilevante su quale si debba considerare l’effettiva debolezza della politica di Berlinguer. Essa può identificarsi con il fattore identitario non preso in sé, ma solo declinato nel senso di continuità con una lettura della crisi economica, tradizionale e catastrofista, inadeguata a comprendere gli eventi e a superare i termini meramente nazionali …


Che cos’è la destra?

maggio 31st, 2009 by Rocco Polin | 5 Comments

Che cos'è la destra?

Nella dieta mediterranea c’è tutto. Pasta, riso, carne, pesce, frutta, verdura, caffè, sigaretta, ammazzacaffè e per i più fortunati anche una ciulatina dopo cena. Ma agli altri, agli anglosassoni, cosa gli rimane da mangiare? Le bacche?
Questa stupida battuta, credo trovata da qualche parte sulle formiche nel loro piccolo si incazzano, mi tornava spesso in mente durante i gloriosi giorni della fondazione del Partito Democratico. Avremmo unito, si diceva, le migliori tradizioni riformiste d’Italia, quella cattolica, quella socialista e quella liberale, senza dimenticare naturalmente l’apporto di ambientalisti, repubblicani e federalisti. Ma agli altri, a quelli di destra, cosa gli rimaneva? Il nazi-fascismo? Una questione poi riassunta in modo magistrale dal Veltroni di Crozza quando sosteneva che la sinistra non poteva lasciare il berlusconismo a Berlusconi.
In previsione delle prossime elezioni europee il nostro editore ci ha invitato ad occuparci dei valori che distinguono oggi in Italia la destra dalla sinistra.   La prima tentazione è naturalmente quella di ricorrere a Gaber, il culatello è di destra e la mortadella è di sinistra. La seconda è quella di rispondere che fin che in Italia il centro destra sarà guidato da Silvio Berlusconi la questione rimarrà perfettamente irrilevante.  Il mio voto a sinistra nascerà da considerazioni etiche (ed estetiche) prima ancora che politiche. Io non voto una parte politica di corrotti, mafiosi, razzisti e spogliarelliste. Per tornare a Gaber “qualcuno era di sinistra perché abbiamo avuto il peggior centro-destra d’Europa”.
Per resistere a questa duplice tentazione ho deciso di provare in questo articolo a delineare i valori che io, ragazzo di sinistra, credo che la destra nel mio paese dovrebbe e potrebbe incarnare.
Pur senza avere una particolare cultura in storia del pensiero politico direi che la destra è composta da due tradizioni differenti: quella conservatrice e quella liberista. Uso il termine liberista e non liberale in modo consapevolmente ignorante. Non voglio entrare nel dibattito su cosa differenzi i due termini e se essi siano in effetti distinguibili (vedi ad esempio Croce-Einaudi) ma semplicemente indicare un’ideologia individualista e fondata su un certo darwinismo sociale ed economico che  fu a suo tempo incarnata dalla Thatcher. Sono costretto ad usare il termine liberista perché “il liberalismo ora e buono anche per la sinistra” (di nuovo Gaber).
Mi sembra evidente che per la destra italiana la tradizione conservatrice è decisamente preponderante. Nell’attuale coalizione di centro destra sopravvive una sparuta pattuglia di ex liberali (alla Antonio Martino) o ex radicali (Della Vedova, non Capezzone..) ma essi hanno difficilmente un impatto visibile sul discorso ideologico o sull’agenda di governo del PDL. Il discorso ideologico della destra italiana negli ultimi anni è stato quindi essenzialmente conservatore. Un conservatorismo fortemente influenzato dall’agenda neo-con, impegnato nella difesa delle radici giudaico-cristiane dell’occidente contro il relativismo scientista e la minaccia islamica.
Curiosamente “noi di sinistra” siamo pronti a riconoscere il pensiero liberista come un avversario ideologico legittimo mentre facciamo più fatica a riconoscere ad attribuire legittimità intellettuale al pensiero conservatore, in particolare nella sua nuova formulazione neo-con. Scientismo laicista? Minaccia islamica? Non è un pensiero politico, sono termini propagandistici di uno pseudo-pensiero basato sul fondamentalismo religioso e sull’ennesima importazione supina dei peggiori prodotti d’oltre oceano. È il populismo di Sarah Palin, il fondamentalismo ignorante di George Bush. Il fatto che i valori della famiglia vengano difesi da Mara Carfagna e dal suo “papi”, quelli della religione da atei devoti come Pera e Ferrara e quelli della cultura occidentale da Borghezio e Calderoli in effetti in parte giustifica questo nostro atteggiamento.
Però già Gaber parlava della “voglia un po’ anormale di inventarsi una morale” in un mondo in cui “si può trasgredire qualsiasi mito e invaghirsi di un travestito”. Un pensiero che nasce dalla critica al ’68, già cantata da Gaber in “quando è moda è moda” e che ha tra i suoi padri nobili anche Pasolini. Un discorso che allora ha una sua legittimità e che, pur trovando nella Chiesa di Ratzinger la sua naturale guida spirituale, può essere compreso anche in senso perfettamente laico. La sinistra, sentendosi erede dei valori universali della Rivoluzione Francese, ha assistito impotente e inconsapevole alla trasformazione della libertà in libertà di consumo e del progresso civile e morale in sviluppo economico e scientifico. Di nuovo Gaber “in questa libertà illimitata di espressione e di parola / l’unica rivoluzione che abbiamo fatto è la rivoluzione della Coca Cola”. La Chiesa di Ratzinger suscita allora grande ammirazione perché, crollato il comunismo, sembra rappresentare l’unica alternativa all’ideologia del consumo, l’unica diga che resiste da 2000 anni al progressivo sgretolarsi dei tabù morali.
Dio, Patria e Famiglia, questi gli eterni valori della destra. Continuerò a combatterli. In nome della libertà della scienza votando sì al referendum sulla fecondazione assistita, dei diritti universali dell’uomo respingendo la retorica razzista dell’ultimo decreto sicurezza e in nome dei diritti civili mobilitandomi in favore dei diritti delle coppie omosessuali. Non nascondo però che mi piacerebbe che a difendere quelle bandiere ci fosse qualcuno di meglio di quel circo di nani, ballerine e pregiudicati che rappresenta oggi la destra in Italia.


Cabina-elettorale

maggio 31st, 2009 by Michelangela Di Giacomo | No Comments

Cabina-elettorale

In vista delle elezioni per i rappresentanti italiani al Parlamento Europeo del 6 e 7 Giugno 2009 l’Associazione di Promozione Sociale “Politica è Partecipazione”, il Dipartimento di Studi Politici dell’Università Sapienza di Roma e l’Institut für neue Kulturtechnologien di Vienna hanno elaborato un rapido ma accurato test on-line delle preferenze politiche.
Molti elettori, infatti, hanno già un’opinione consolidata sui vari argomenti politici, ma spesso non sanno quali posizioni assumono in merito i vari partiti, e in quale misura gli intenti delle forze politiche in campo coincidono con le proprie aspirazioni personali.
Cabina-elettorale.it presenta quindi una serie di quesiti sulle tematiche europee più rilevanti, confrontando le risposte fornite dagli utenti con le posizioni ufficiali dei vari partiti in lizza. In questo modo, ciascun utente può vedere con maggiore chiarezza a quale forza politica si avvicinano di più le proprie opinioni.
L’utente alla fine del test si vede dunque fornito un “suggerimento di voto” o, per meglio dire, una serie di percentuali di similitudine con i principali partiti in lizza, con al primo posto ovviamente il partito a lui programmaticamente più vicino. Lo scopo primario di tale è quello di promuovere la partecipazione politica attiva e consapevole a livello europeo, tentando di contrastare, con un metodo divertente ed un linguaggio di facile comprensione e in meno di 10 minuti, le deviazioni personalistiche e legate al culto dell’immagine che sembrano attanagliare la nostra politica, tornando invece a focalizzare l’attenzione sui contenuti della competizione elettorale.
vuole contribuire al dibattito sull’importanza delle elezioni in una società democratica.
Progetto apprezzabile e interessante, a me ha dato anche un suggerimento chissà utile per chiarirmi le idee in un momento di personale crisi di certezze, ed è anche una fonte per lo meno seria nel mare magnum di informazioni devianti di cui tutti siamo inevitabilmente oggetto…tuttavia non è un po’ triste che l’attenzione al quid politicum sia ormai così blanda da aver bisogno di un “tutore” per la formazione di preferenze?


L’eterogeneità: da oggi un valore di partito?

marzo 11th, 2008 by Giacomo Valtolina | No Comments

A distanza di soli sedici mesi si riparte. Dopo l’ultima, travagliata esperienza di governo si torna così, ancora una volta, a quell’incessante pratica che è la campagna elettorale, miscuglio confuso di retorica e demagogia, ma soprattutto di sforzi strategici troppo spesso fallimentari.
E siccome non si finisce mai, anche questa volta la campagna elettorale è solo il proseguimento dell’ultimo conflitto politico avvenuto nel 2006, dato che nessuno, nemmeno la principale forza di governo, ha mai cessato di pensare alle elezioni, come dimostra la lunga gestazione del Partito democratico in tandem con un debole esecutivo.
Di primo acchito tutto – dall’isolamento di Mastella (che paga oggi e in maniera bipartisan l’inaffidabilità e le follie dell’ultima legislatura) alla diminuzione delle liste, dall’ipotesi maggioritaria fino alla possibilità di un ritorno al vecchio pentapartito – potrebbe far pensare a una svolta in positivo, o a un radicale sconvolgimento del panorama politico. Invece no. Si tratta solo dello spostamento di alcuni pedoni, per liberare l’alfiere. Per le vere modifiche sullo scacchiere politico, se ci saranno, bisognerà aspettare ancora del tempo. Di certo non le si vedrà né il fatidico 13 aprile né, presumibilmente, nella prossima intensa legislatura.
L’unica vera novità – nonché simbolo dei fragili artifici che reggono la situazione – è l’eterogeneità, tanto demonizzata fino a ieri nelle coalizioni, ma che di colpo diventa strumento di democrazia interna per i partiti, inseguendo il sogno americano. Con il Pdl che punta sull’alleanza Capezzone-Mussolini-Dini per convincere gli elettori, mentre sul fronte Pd fin troppo scalpore hanno fatto le candidature ad effetto di Colaninno e, soprattutto, di Calearo.
Tuttavia, in tema di eterogeneità, le vicende più saporite riguardano quelle due liste – al momento ansiose di superare l’8%, di entrare al Senato e di ricreare, forse, un giorno, il pentapartito – che nostalgicamente si propongono come i discendenti (o presunti tali) di coloro i quali fecero la storia della prima repubblica: Dc e Pci. Certo che De Gasperi e Togliatti inorridirebbero al pensiero di siffatti eredi (e nuore), ma non è questo ciò che più sorprende. Ciò che più stona con le grandi tradizioni politiche che stanno alle spalle di questi nuovi soggetti – la Sinistra arcobaleno e l’Unione di centro – è la serie di scissioni e divisioni che ne hanno contraddistinto gli ultimi 15-20 anni.
Da un lato c’è gente che va (Follini-Pd, Giovanardi-Pdl) ma non gente che viene, tranne forse l’esule De Mita. C’è però gente che se ne va (Tabacci) ma poi torna (Tabacci) e gente che è in tribunale per “difendere” uno scudo, quello crociato. C’è gente che dal tribunale dovrebbe uscire solo scortata da uomini in divisa, e gente che, rifiutata, deve ritirarsi dall’impegno pubblico. Qui non c’è bisogno di nomi. Dall’altra invece la situazione è letteralmente (e banalmente) tragicomica: si sono attraversate quattro grandi transizioni di partito (nell’ordine Pci-Pds-Ds-Pd) e innumerevoli scissioni interne (Cossutta e Bertinotti prima, Diliberto, poi Folena, per concludere con Mussi e Salvi) per tornare poi in una sola notte tutti indissolubilmente insieme, di nuovo, dopo più di 7000 giorni in cui ogni parola fuori posto era motivo di una crisi ideologica.
Insomma dopo tutto ciò, individui come Mussi – che avevano resistito a tre dirottamenti del “loro” Pci seguendo progressisti prima e riformisti poi – tornano sui propri passi e si risposano con chi, vent’anni fa, se ne era andato per le più variegate ragioni. Ogni tentativo di armonizzare o trovare coerenza è vano. Fausto, dal canto suo, (soc)chiusi i battenti, messi in soffitta la falce e il martello e terminate le polemiche su sarti e tessuti con Cossutta e Diliberto, è tornato con loro, o con chi li aveva seguiti. Per non parlare del partito dei Verdi, la cui alleanza con il Pci non sarebbe stata mai nemmeno lontanamente immaginabile da nessun commentatore politico della belle époque.
Bene, in un’epoca in cui il neocomunismo è diventato la negazione del comunismo e in cui l’imbarazzante alleanza rosso-verde sembra ormai indissolubile nonostante le evidenti antinomie, si spera almeno che il gesto di Diliberto di cedere la sua poltrona sia davvero meritevole di elogi e non nasconda chissà quale altro intrigo. Intrighi che è comunque lecito aspettarsi già nei primi sei mesi, se non nei primi giorni, della prossima, più che controversa, legislatura.



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