Ce n’è per tutti
dicembre 4th, 2008 by Miša Capnist | 13 Comments
Fin dalla prima infanzia mi sono sempre – sempre!, sentito dire da mia madre: “non si chiede scusa”. A prima vista sembra una dichiarazione tracotante, portatrice di quella sana insolenza arma del viveur. Leggendo fra le righe, il teorema denuncia una spiazzante chiarezza, e si confuta, come tutti i dettami dell’educazione, grazie ad un tranchant: non metterti nella condizione di doverti scusare. Non passare davanti alle persone chiedendo scusa: passa da dietro. Non scusarti quando commetti un errore: evitalo. Prevenire il disagio altrui piuttosto che causarlo, chiedere piuttosto che imporsi, presentare un avvenimento come dato.
Così come quando il marciapiede su cui si passeggia è deserto, e ci si sente urtare da un passante, inutile che questi si profonda in formali gorgheggi di scuse: non avresti dovuto farlo e basta. Point barre.
A Parigi spesseggiano accadimenti di non prevenzione del fastidio e, anzi, con l’inverno che ormai ha sfondate le porte, i “pardon“, quando ci se li sentono rivolti, sono veri e propri buffetti sul naso ghiacciato. Oppure accusi letteralmente il colpo e arrossisci di collera.
Non sono solo le bocche della metropolitana a vomitare orde di barbari, ma anche gli ingressi dei negozi, i cafés, i musei, le strade, le automobili, i parcheggi delle biciclette a libero servizio. Parigi è un inferno. E non fatico affatto ad immaginarmi questo popolo nordico che, qualche anno fa, coperto da pelli d’orso, ed accompagnato da urla disumane cercava di distruggere le dorate aquile romane simbolo dell’Impero.
Una diffusa villania preventiva aleggia nella città dell’Amore. L’antipatia gratuita che sempre si riconosce ai francesi, in questo dicembre viene acuita dalle raffiche di vento, dalla neve che ancora non fiocca abbastanza per farci tacere tutti col piacere della contemplazione, dalla crisi economica e dal loro cattivo gusto.
Mi compiaccio, a titolo di ricercatore qualitativo e quindi soggettivo, nel riportare il frutto dei miei studi sociologici chiarificati in due esempi di vita vissuta.
La settimana scorsa telefono ad un teatro in cui non avevo mai messo piede di cui non conoscevo la sala. Volevo passare una serata in compagnia, e penavo di invitare un’amica a vedere una nuova commedia che vede implicato nel ruolo principale un ragazzo uscito dalla nostra stessa accademia. Chiamo per reperire le informazioni di cui sotto.
Informazioni sulla prenotazione, sulla conformazione fisica della sala, se si tratta di un teatro all’italiana o alla francese, per avere due poltrone vicine, per sapere quali fossero dei buoni posti. La réceptionniste, sbuffante come una teiera inglese o tout court arrogante come una réceptionniste, in brevissimo tempo si spazientisce e mi propone due poltrone, l’una dietro l’altra, facendosi sfuggire che la sala sarebbe stata quasi vuota – e ho capito bene, perché vuota si dice vide, e piena si dice pleine, o complète: non posso essermi sbagliato. Spiegarle che volevo due posti vicini (à coté – contigues – proches- coude à coude – vous me comprenez?) si è rivelato talmente infastidente da ascoltare che, ad un certo punto, prima di riattaccare il ricevitore, l’esponente del gentil sesso ha abbaiato un “ma insomma, mica la devo vedere io, la pièce!”, lasciandomi di stucco.
Serata andata a ramengo.
Esperienza simillima e altrettanto indisponente posso citarla quando ho telefonato allo standard dell’ospedale Lariboisière per farmi passare il reparto di dermatologia, e mi sono sentito rispondere che l’ospedale Lariboisière non ospita la dermatologia. Ho chiesto alla signorina di dirmi quale fosse il suo nome, e lei ha riattaccato. Rintraccio il numero della dermatologia e quando, riuscendo con erculea fatica a prendere un appuntamento per il mese successivo, chiedo alla segretaria l’indirizzo dell’ospedale lei, indignata, mi dice che si trova vicino alla stazione Nord, e io rispondo: alla fermata Gare du Nord?, mi sbraita un sì che vuol dire il-malato-sei-tu, e scopro che, ovviamente, la stazione più vicina non era quella della Gare du Nord.
Due esempi esplicativi e certo non esaustivi della sociologia parigina. O sedicente tale, perché il più delle volte, i parigini, di parigino hanno solo la carta d’identità. E ancora.
Forse perché in una metropoli e – ma quanto ne stiamo parlando al Tamarindo? – si vuole difendere la propria sfera intima, il proprio Io, parte della popolazione si sente legittimata ad una preventiva mancanza di attenzione all’altro. Uno scrupolo diffuso che mi lascia l’amaro in bocca, pensando ai miei giri in autobus napoletani, in cui chiunque ha un percorso privilegiato da indicare perché ” si passa di fronte a una chiesa che è un babbà”, o “è il più sicuro per voi, che siete un turista”, “è più corto” “è più tipico”.
A Parigi, quando parli un francese di livello un pelo superiore a quello di un turista, sei un attentato vivente alla pariginità. Ad una richiesta d’informazione che implichi un impercettibile movimento di poirottiane grey cells, la risposta-tipo è: “ché pas” (je ne sais pas, in gergo da strada), accompagnato da un’espressione del viso attonita per la tua imbecillità, preceduta da una contrazione labiale violata da un’intermittente raffica di vento polmonare. Una pernacchietta, insomma.
Nessuno sa niente della città in cui vive, nessuno sa niente del palazzo in cui il proprio ufficio si trova, nessuno sa niente del proprio condominio, nessuno sa niente della dislocazione della merce nel negozio in cui lavora, nessuno sa niente di taxi, metropolitane, autobus, passaggi pedonali, tour Eiffel, musei, nessuno sa dove sia il comune….
Poi però…
Poi però sabato notte ha nevicato.
Offrivo una soirée a casa ai miei amici.
Una di loro si alza, e grida: Nevica!
I fiocchi, grandi e pesanti, silenziosi e soffici, di fronte alla mia finestra, sui tetti dirimpetto. Nessun altro rumore che la neve – sorda – che si posa. E le acute grida gioiose e infantili della mia amica.
Parigini freddi e cortesi.
Una volta presi non ci si lascia più. Una volta presi appiccano fuoco ai giardini pubblici per te. Una volta presi ci si gettano anche.
Fedeli, presuntuosi, scorbutici parigini miei.
Noi ci amiamo!