Dall’Everest alle Maldive

dicembre 17th, 2009 by Laura Zunica | No Comments

Dall'Everest alle Maldive

Questa settimana i leader mondiali si trovano a Copenaghen per confrontarsi finalmente sui gravi danni ambientali arrecati al pianeta dall’uomo e cercare di elaborare soluzioni ragionevoli ed efficaci per evitare la distruzione dell’intero ecosistema mondiale. (http://en.cop15.dk/)
Uno dei punti di maggiore rilievo riguarda le emissioni di carbonio (CO2) che supera le soglie entro le quali il pianeta ha ancora la possibilità di respirare, 350 ppm. A riguardo mesi fa ci furono movimenti e manifestazioni in tutto il mondo per richiamare l’attenzione sul problema (www.350.org/).
Altre campagne, come Hopenagen (www.hopenhagen.org), stanno cercando di richiamare l’attenzione dei partecipanti al summit per ricordare loro che in questi pochi giorni di dicembre saranno prese scelte decisive per evitare eco-disastri che sono ormai alle porte e rischiano di devastare il pianeta terra.
Due episodi interessanti sono avvenuti nelle scorse settimane, sempre con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sull’importanza di fare le scelte giuste durante il summit di Copenaghen, perché i rischi che sta correndo il nostro pianeta non sono qualcosa di lontano e immaginario ma sono una spada di Damocle che pende sulla testa del nostro pianeta.
Il primo avviene in Nepal: il Consiglio dei Ministri si è riunito per circa un’ora sulla cima del monte Everest a Kala Patthar (più di 5.200 metri di altitudine). Ventitré i ministri che hanno partecipato al consiglio presieduto dal premier Madhav Kumar. È all’ordine del giorno la sensibilizzazione riguardo ai danni ambientali arrecati dall’inquinamento globale, e l’importanza della tutela dell’ambiente, per il Nepal e per il mondo intero. Ed è cosi che viene approvata dal Consiglio dei Ministri la Dichiarazione dell’Everest contenente la richiesta del Nepal rivolta a tutte le nazioni più sviluppate di impegnarsi a ridurre urgentemente e a breve termine l’intensità delle emissioni di gas nocivi. Il consiglio ha inoltre deciso, come gesto simbolico d’impegno alla salvaguardia dell’ambiente, di aprire un terzo parco nazionale, Banke National Park, oltre ai due già esistenti.
Non solo dalle alture del Nepal si mandano appelli per il summit di Copenaghen: dalla cima dell’Everest si arriva fino al mare. Anzi, sotto il mare: anche il Consiglio dei Ministri delle Maldive presieduto da Mohamed Nasheed, si è riunito poco tempo dopo per lanciare un appello riguardo alle gravi minacce dei cambiamenti climatici, e la riunione è avvenuta sul fondale marino, nei pressi della capitale Malé. La scelta subacquea è dovuta al fatto che, se queste insane emissioni di CO2 non tornano sotto le soglie minime, sotto al mare è esattamente dove tutta la popolazione delle Maldive si troverà in pochi anni, e in tal caso sarà cosi che i Consigli dei Ministri dovranno avere luogo. Anche in fondo al mare è stata firmata una dichiarazione inoltrata alla conferenza di Copenaghen.


Protesta Sociale e Fuga dalla Città nelle Opere di Emilio Longoni

ottobre 31st, 2009 by Luigi Galimberti Faussone | No Comments

Protesta Sociale e Fuga dalla Città nelle Opere di Emilio Longoni

“Io sempre in lite sono con me stesso.
Che far dunque potrei?
Dell’opre da me fatte io son dolente.
Che far dunque potrei?
Penso che tu, Signor, perdonerai
con generosa voglia;
ma per l’onta che tu quello che ho fatto
vegga, che far dovrei?”
Omar Khayyam (Nishapur, Persia selgiuchide, 1048-1131), Quartine, trad. Italo Pizzi
Alla religione buddista, passando per la poesia di Khayyam e i Pensieri di Pascal, è giunto il percorso spirituale e artistico di Emilio Longoni (1859-1932), pittore e poeta lombardo di Barlassina, in Brianza. Tale percorso è abilmente ricostruito nella mostra 2 collezioni, ospitata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, che espone ventitré significative opere, otto appartenenti alla stessa GAM e quindici di proprietà della Banca di Credito Cooperativo di Barlassina, che ne ha finanziato il restauro e lo studio.
La produzione artistica di Longoni si concentra in principio sulle nature morte e sui ritratti, che lo porteranno a guadagnare una certa notorietà nell’ambito della committenza lombarda. Tuttavia, è del 1891 l’opera che segna una prima apparente frattura nella sua produzione: L’oratore dello sciopero. La tela, dipinta in occasione del primo anniversario dell’allora rivoluzionario sciopero del 1 maggio 1890 che si tenne a Milano per la Festa dei Lavoratori, ritrae un uomo che con una mano si regge a un’impalcatura di cantiere, mentre coll’altra mostra al cielo il pugno chiuso. Sullo sfondo, una folla in fermento, una carica delle guardie e una bandiera rossa col fiocco anarchico; in primo piano, più in basso, compagni lavoratori anch’essi col pugno chiuso. Le novità dell’opera non sono tanto nel soggetto – lo sciopero e la protesta sociale sono temi che interessano gli artisti di tutt’Europa in quegli anni – ma nella sua resa, caratterizzata da un taglio fotografico che rende l’opera simile a un manifesto.
Nonostante già nel 1894 Longoni compie i primi studi dal vero sull’Appennino e sull’Adamello, è solo nei primi anni del nuovo secolo che abbandona la città, che sempre più diventava il centro della vita politica, economica e sociale, e si rifugia in montagna. A segnare quell’epoca fu la feroce repressione dei moti milanesi del maggio 1898 condotta dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ordinò di sparare coi cannoni sulla folla manifestante, causando la morte di numerose persone. Nei quadri di Longoni, alla protesta sociale si sostituisce la contemplazione della natura che, tuttavia, non è mero paesaggio ma luogo di ricerca spirituale e artistica. La rarefazione delle opere di Longoni, come in Ghiacciaio, è caratteristica della sua ricerca pittorica che ha portato il divisionismo ai limiti dell’astrattismo, senza tuttavia mai sorpassarne i confini.
Dalle nature morte e dai ritratti, ai temi sociali e politici, fino alla natura di alta montagna, il mutare dei soggetti non corrisponde di certo a una ricerca incoerente, bensì una profonda evoluzione artistica. Difatti, in una delle sue ultime note autobiografiche trascritte dalla moglie Fiorenza De Gaspari, Longoni afferma: “I miei quadri corrispondono alle vicende della mia vita e segnano le tappe dei dolori, dei piaceri da me provati nei diversi periodi della mia vita. Questa conclusione mi si presenta un giorno, nel quale, mettendo in ordine cronologico le fotografie dei miei quadri, avverto in essi una continuità di pensiero”.
Emilio Longoni: 2 collezioni, 22 ottobre 2009 – 31 gennaio 2010, Galleria d’Arte Moderna di Milano.
Il catalogo della mostra, a cura di Giovanna Ginex, è pubblicato da Skira (2009, 176 pp., €39). Oltre a un ampio e accurato saggio della curatrice, sono presenti nel catalogo le relazioni delle approfondite indagini scientifiche e di restauro condotte sulle opere di proprietà della Galleria d’Arte Moderna, che permettono di comprendere a fondo la tecnica pittorica e compositiva di Longoni e dare così nuovo e più pieno significato alle sue opere.
Galleria d’Arte Moderna (GAM)
Villa Reale, Via Palestro, 16 – 20121 – Milano
Tel. +39 02 76340809 – www.gam-milano.com
Orari: mar-dom, 9.00-13.00 e 14.00-17.30
Ingresso gratuito


Talking to Wittkower – Michele Chiossi

ottobre 29th, 2009 by Alessandra Denza | No Comments

Talking to Wittkower – Michele Chiossi

Fino al 23 novembre a Milano alla galleria Effearte di via Ponte Vetero 13 sarà esposta la personale dell’artista Michele Chiossi, giovane animo libero del sistema artistico contemporaneo. Artista poliedrico, Chiossi basa le sue ricerche sulla scultura, soprattutto del pregiato marmo di Carrara. La scelta del materiale è dovuta alle sue origini, ma anche allo splendore che la lavorazione può dare a questo elemento duttile ma difficile. Il marmo viene così spesso affiancato da resine, neon colorati, foglia oro, vernici per le auto e numerosi altri dettagli che lo ricreano in infinite modalità.
In questa mostra si tiene un dialogo ideale con lo storico Rudolf Wittkower (tedesco 1901-1971) che nel 1970 fece un ciclo di conferenze sulla scultura, innovandone l’approccio e l’analisi: per la prima volta le opere scultoree e la loro storia vennero affrontate tenendo conto delle tecniche utilizzate, della loro evoluzione nel tempo e non più secondo il principio dell’interpretazione dell’opera. Aspetti in precedenza considerati marginali, come la scelta dei materiali e degli strumenti idonei per lavorarla, acquisiscono un’importanza fondamentale.
Michele Chiossi ha sempre amato la commistione tra diversi elementi e materiali e la tecnica per realizzare un determinato oggetto, sperimentando fino a che punto ogni cosa possa piegarsi al suo concetto. Il marmo stesso sembra diventare di seta e morbido come la creta. Presenti in galleria opere che si snodano attraverso l’arte del Medio Evo al Rinascimento ed ai giorni nostri, come la Pietà di Michelangelo, il Pensatore di Rodin ed oggetti di uso quotidiano di un’epoca molto più recente. Anche la musica rinascimentale riarrangiata viene a far parte concreta della sua opera ad avvicinarsi ad una video proiezione in cui l’artista si concentra completamente sulla plasticità e reazione della materia a determinati impatti.
Celebri le sue rielaborazioni di famosi brand e slogan trasposti in nuovi concetti (Levi’s, Heineken, Fred Perry, le candele Dyptique) o anche l’uso del cibo come forme di grana, pasta o enormi baguette, temi religiosi e referenze all’arte e pensatori passati. Tutto scolpito nel marmo come se fosse plastilina, di un realismo eccezionale! Toccare per credere, o meglio… provate ad alzare qualcosa! Anche le dimensioni statuarie dei suoi soggetti sono parte rilevante dell’opera.
Fulcro della mostra saranno quattro opere che ripropongono le linee guida della ricerca artistica di Chiossi: si va dal recupero di alcuni leitmotif del Rinascimento, come il coronamento a semicerchio che ritroviamo in Heraldry – un grande basso rlievo in marmo di un blasone, contraddistinto dall’intaglio a zig zag (tratto peculiare dell’artista) e da tre neon colorati, che riaffermano l’uso del colore nella scultura attraverso la luce – per arrivare a Mumble Mumble Gum, omaggio all’ottocentesco pensatore di Rodin, dove l’artista (attraverso numerosi passaggi e amici) si riappropria dell’argilla, per tradurla in un modellato in resina e restituirgli una nuova superficie realizzata applicando chewing-gum masticati da lui stesso, dalla moglie, dagli amici etc. che è metafora dei singoli pensieri di ognuno di noi.
Theory of Color opera video che riprende le analisi di Goethe, reinterpretando la Pietà di Michelangelo attraverso la scomposizione del colore e della materia, resa ora possibile dall’utilizzo di un materiale deperibile come il gelato. Per concludere con Bubble Architour, imponente colonna di marmo alta due metri che rappresenta una grande bobina di pluriball, sintesi estrema della frenesia contemporanea, dove gli eventi espositivi (mostre, fiere, vernissage, trasporti) si susseguono ad un ritmo incalzante, trasformando un materiale di imballaggio in elemento imprescindibile dell’arte e della vita di ogni artista e gallerista. Altro che un Objet trouvé, è nel DNA dell’arte. Abbiamo sperimentato tutti noi addetti ai lavori…
Notevole è stata la sua antologica nel 2007 alla galleria Zonca & Zonca di Milano, Chiossi è spesso presente alle fiere italiane ed internazionali: lo riconoscerete per il suo boccolo avvincente e un tocco di Yves Saint Laurent sempre con se… E se siete interessati contattatemi, un aperitivo con lui si può organizzare.
Michele Chiossi, 1970, nato in Toscana, vive a lavora a Milano.
Tra le sue mostre più recenti: Kunstlerhaus Palais Thurn und Taxis, Bregenz; z2o Galleria|Sara Zanin, Roma; Galleria Zonca&Zonca, Milano; Galerie Metis_NL, Amsterdam; Susanna Orlando Vetrina, Pietrasanta; Studio Guastalla, Milano; Divus, Prague; ING Headquarter Brussels, Brussels.
È già presente in numerose collezioni private e pubbliche in Italia ed all’estero.
Per chi volesse approfondire gli scritti dello storico Wittkower: R.Wittkower, La scultura raccontata da Rudolf Wittkower, ed. Einaudi 2006, p. 363 €17ca. “Un affascinante viaggio attraverso la scultura di tutti i tempi al seguito di un grande maestro e critico dell’arte: dalle prime statue greche alle invenzioni di Michelangelo, Cellini, Vasari, Bernini, Canova, fino alle forme e alle figure del ventesimo secolo di Moore, Arp, e molti altri”. Quasi quasi me lo compro!
www.effeartegallery.com


350 per salvare il pianeta

ottobre 18th, 2009 by Laura Zunica | No Comments

350 per salvare il pianeta

Uno dei più grandi problemi che l’umanità si trova ad affrontare oggi è quello del cambiamento climatico e del surriscaldamento del pianeta: l’inquinamento e le emissioni di CO2 (carbonio) hanno creato una barriera attorno alla terra che nonostante permetta ai raggi del sole di entrare nell’atmosfera non ne permette facilmente l’uscita e questi continuano a rimbalzare sul pianeta riscaldandolo e questo fenomeno potrebbe finire con il distruggere il pianeta.
Sono molte le iniziative di gruppi e organizzazioni a riguardo, e una di queste, che si chiama 350, avrà luogo sabato 24 ottobre 2009.
Il nome 350 nasce dal fatto che 350 è, in termini scientifici, il livello identificato dagli scienziati come limite massimo per le emissioni di CO2 sul pianeta. In questo momento il livello attuale raggiunge 385 ppm (parts per million) ed è in costante aumento.
350 (è possibile trovare più informazioni sul sito www.350.org) è una campagna per pubblicizzare un movimento di portata mondiale, volto a sensibilizzare quanta più gente possibile riguardo al problema. In migliaia di città lo stesso giorno avrà luogo questo evento. Uno degli obiettivi è attirare l’attenzione dei media per evidenziare il problema in vista del World Leaders Meeting che si terrà Dicembre 2009 a Copenhagen: lì si lavorerà su un efficace trattato sul clima che ha come goal il raggiungimenti 350ppm come livello massimo di CO2 nell’atmosfera tramite riduzione delle emissioni di carbonio da parte di ogni paese.
Il movimento fu fondato da Bill McKibben, autore di uno dei primi libri sul problema del cambiamento climatico, e dalla sua squadra di colleghi universitari. Insieme misero su una campagna nel 2007 chiamata Step It Up. Questo genere d’iniziative furono il primo passo per convincere molti leaders politici della gravità della situazione ad adottare provvedimenti efficaci: ridurre dell’ottanta percento le emissioni ponendosi come dead-line il 2050.
Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa come internet, l’azione 350 del 24 Ottobre 2009 si sta espandendo ad una velocità indescrivibile, e si spera in una grande adesione agli eventi da parte del pubblico per diffondere la consapevolezza che il problema del cambio climatico è qualcosa che nessuno può più ignorare.


Arte contemporanea in Italia, what’s new!

ottobre 14th, 2009 by Alessandra Denza | No Comments

Arte contemporanea in Italia, what's new!

Ed ecco ripartita la stagione artistica 2009/2010 in tutto il suo splendore! Le gallerie milanesi si sono organizzate, come dal terzo anno, con l’Associazione START: 41 tra le migliori gallerie di arte contemporanea hanno inaugurato in simultanea il 18 settembre presentando i loro migliori artisti e novità. Sono poi rimaste aperte per tutto il fine settimana favorendo la circolazione dei visitatori e collezionisti con un utilissimo servizio navetta e tanti brunch e merende.
Per fare un esempio delle gallerie a Brera: Zonca & Zonca ha presentato un giovane artista coreano Sea Hyun Lee “Between Red” con i suoi paesaggi rurali fluttuanti e tutti sul tono del rosso. Si vedono i boschi, le piccole pagode ed i villaggi. L’artista ha vissuto nella Zona Demilitarizzata tra Nord e Sud Corea quando ha fatto il militare. Le visioni notturne con gli occhiali ad infrarossi l’hanno profondamente influenzato ed è stato segnato dalla violenza della divisione del paese in due, una zona demilitarizzata che in realtà presenta una presenza di militari molto alta a controllare che non venga superata né che ci siano attacchi. La realtà del paesaggio è permeata dal colore rosso che la rende tutto surreale ed intriso di orrore e paura per il conflitto coreano.
Antonio Battaglia, sempre in via Ciovasso (anche se esterno a Start), ha presentato una collettiva  “Fairy Tales – Giovani artisti nel paese delle meraviglie”: Tommaso Chiappa, Sophie Chkheidze, Nebojsa Despotovic, Agnese Guido, Natasza Niedziolka, Melissa Provezza, Guiditta R. e Giacomo Toselli. Ad accomunarli è soprattutto una ricerca stilistica verso le nuove direzioni internazionali della pittura. Molto interessante i lavori di Tommaso Chiappa nella ricostruzione delle sue città, gli elementi rappresentati sono ridotti ai minimi termini per far emergere dall’opera solo quello che viene ritenuto necessario.
Francesca Kaufmann presenta Latifa Echakhch, nella sua prima personale in Italia, artista che usa tecniche diverse per esprimersi: installazioni, scultura, video, etc. L’artista marocchina decontestualizza oggetti carichi di significato culturale e politico per riposizionarli all’interno di un linguaggio minimalista. In galleria porta diverse opere tra cui una serie di quadri con motivi ornamentali dell’architettura sacra islamica, forme geometriche come la stella riportata anche a pezzetti sul pavimento.
Paolo Curti & Annamaria Gambuzzi in una collettiva curata da Kineko Ivic presentano: Huma Bhabha (1962, Karachi, Pakistan), Joe Bradley (1975, Maine),? Jason Fox (1964, Yonkers, NY),? Baker Overstreet (1981, Augusta, Georgia), ?Aurel Schmidt (1982, Kamloops, BC, Canada), tutti artisti che lavorano nel vorticoso mondo artistico di New York. Bhabha realizza sofferenti forme antropomorfe con l’assemblaggio di materiali di recupero come argilla, legno, ferro, polistirolo e ghisa, mentre Bradley si affida ad uno stile molto più minimalista. Molto essenziale e legato allo studio del colore e della forma. Fox è focalizzato su un’analisi della cultura popolare ispirandosi alla storia dell’arte, ai cartoon ed ai film. Overstreet si rifà un po’ alla tribalità di Bhabha le sue opere presentano di una forte componente simmetrica che si alterna alle tonalità vivaci dei colori che danno vita a figure geometriche astratte. Schmidt dà una rilettura dell’opera di Arcimboldo utilizzando però materiali trovati più recenti come capelli, serpenti o mozziconi di sigaretta per formare i suoi ritratti.
Anche a Brescia le gallerie si sono organizzate per inaugurare insieme durante la quinta “Giornata nazionale del contemporaneo” il 3 ottobre e per questo motivo è stata organizzata la Notte Bianca: quattro percorsi a tema da seguire attraverso le gallerie bresciane – la Luce, il tempo, la Parola e la Vita moderna.
A Palazzo Gallery, che ha sede in Palazzo Todeschini, Chiara Bersi Serlini con Francesca Migliorati e Chiara Rusconi, organizza “Cabinet’s 120 Day Volume”. Collettiva con numerosi giovani artisti internazionali di spicco per la prima volta in Italia come Lara Schnitger, di origine olandese, che utilizza materiali ordinari, come collant di nylon, cravatte, indumenti e gomma, indefinitivamente mutati e trasformati, per creare grandi installazioni che fendono il pavimento e il soffitto come creature aliene trasportate dall’aria.
Massimo Minini inaugura la stagione espositiva con un intervento, sul muro esterno della galleria, di Gabriele Picco, giovane artista e scrittore per poi successivamente tornare negli spazi interni ora in restauro.
La PaciArte non solo presenta i nuovi spazi in via Trieste, ma anche una coppia di artisti francesi che fondono scenografia e fotografia in opere che evocano la solitudine e l’immobilità del tempo: Clark & Pougnaud “C’est la vie”. Nelle loro creazioni un momento di vita privata viene cristallizzato dallo scatto, congelando il soggetto. Come durante la visione di un film, in cui qualcuno improvvisamente blocca la pellicola.
Anche Firenze ha avuto un lampo di genio verso i suoi cittadini e turisti. È stato organizzato un bellissimo venerdì in centro, via Tornabuoni è stata resa pedonale fino alla mezzanotte e riempita di magnifiche Ferrari di tutte le epoche, molti i negozi aperti che hanno anche offerto dei divertenti aperitivi a base di Chianti classico, salatini e affettati. Al passo con l’evento la Fondazione Strozzi ha inaugurato con il Centro Cultura Contemporanea Strozzina la mostra “Realtà Manipolate – come le immagini definiscono il mondo”. Interessante mostra di fotografia tutta dedicata alla sottile linea che delinea realtà dalla manipolazione. Quello che vediamo nelle fotografie è realmente l’oggetto dello scatto oppure è il risultato di una sapiente alterazione? Presenti numerosi artisti internazionali come Olivo Barbieri con i suoi paesaggi ripresi dall’alto visti attraverso una lente speciale che quasi sembrano dei modellini, Gregory Crewdson e la sua distaccata provincia americana, Thomas Demand con i suoi modellini dello Studio Ovale alla Casa Bianca, Andreas Gursky, Cindy Sherman con le sue metamorfosi e travestimenti.
Giovedì 29 ottobre aprirà il nuovo Centro per l’Arte Contemporanea di Firenze – EX3 – con la personale di due artisti rappresentativi di contesti e linguaggi diversi della scena internazionale: Julian Rosefeldt e Ian Tweedy, a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini sotto l’occhio esperto di Sergio Tossi. In attesa dell’opening ufficiale, venerdì 2 ottobre, EX3 apre per una sera speciale, una festa aperta a tutti, anticipando la “Giornata nazionale del contemporaneo” presentando gli appuntamenti di sabato 3 ottobre a Firenze. Il nome nasce dalla contrazione della parola “exhibition” e dalla sua ubicazione nel …


Il profumo del Festival del diritto

ottobre 5th, 2009 by Erik Burckhardt | No Comments

Il profumo del Festival del diritto

Si è svolta a Piacenza la seconda edizione del Festival del diritto. Sulla dicotomia “pubblico/privato”, il direttore scientifico Stefano Rodotà ha saputo costruire una serie d’incontri garantendo un’eccellente selezione dei relatori e dei contenuti da offrire ad un pubblico ancora più numeroso ed entusiasta di quello dell’edizione precedente dedicata alle “questioni di vita”. Sullo sfondo politico del taglio dei finanziamenti alla pubblica istruzione ed alla pubblica sicurezza, dell’ostruzione alla giustizia ed all’informazione, e della concentrazione del potere pubblico nelle mani di un privato, il leitmotiv del festival è stato di insistere sull’urgente necessità di ripensare la distinzione “pubblico/privato” e di ricercare un punto d’equilibrio tra interessi generali e particolari. Concerti e spettacoli teatrali di qualità chiudevano poi le giornate trascorse nei bellissimi spazi adibiti agli incontri.
Cominciando con una “lezione” dedicata ai principi impartiti dalla mamma di tutti gli italiani, la Costituzione, il festival è proseguito per quattro giorni vantando un centinaio d’interventi d’altissima qualità. Per citarne alcuni: il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi (in una videointervista) ha testimoniato dei cambiamenti promossi e subiti dall’Italia; Horatia Muir Watt ha affrontato il problema della privatizzazione e della mercificazione del diritto; Carlo Galli si è cimentato in una riflessione filosofica sul tema dell’evento, il presidente della RAI Paolo Garimberti su quello del conflitto tra televisione pubblica e privata, l’architetto Massimiliano Fuksas sulla distinzione tra spazi pubblici e spazi privati. Il ministro Fitto è intervenuto nella discussione relativa ai servizi locali pubblici e privati, Pier Luigi Bersani in quella relativa allo sviluppo sostenibile e Giuliano Amato sul (se si vuole paradossale) salvataggio pubblico dei debiti privati, resosi tuttavia necessario per far fronte alla crisi economica. Numerosi sono stati i magistrati, come Francesco Greco, Paolo Canevelli e Piercamillo Davigo, che hanno appassionato i partecipanti al festival spiegando (e talvolta denunciando) il contesto legislativo e ambientale nel quale operano per risolvere i conflitti e perseguire la giustizia. I principali contenuti del festival sono disponibili in streaming sul sito www.festivaldeldiritto.it.
La coraggiosa scommessa degli organizzatori è stata quella di credere che, anche di questi tempi, non solo le canzoni, la bellezza o la birra potessero costituire l’oggetto di un festival, ma che si potesse tentare di avvicinare il diritto alla gente che ritiene di doversene tenere alla larga percependolo unicamente nella sua forma patologica (arresti, sanzioni, ingiunzioni, atti di citazione: grane!!), e a chi non sa che costituisce, nel bene e nel male, l’alpha e l’omega della quotidianità. L’evento si distingue dai convegni proprio perché non ha per finalità di perfezionare le conoscenze di già dotti giuristi, bensì quella di dotare tutte le persone che il diritto lo conoscono poco o affatto, degli strumenti necessari a partecipare consapevolmente alla vita pubblica e privata, sapendosi difendere dagli attacchi che questa riserva sovente a chi è ignaro dei propri diritti.
La scommessa è stata vinta. Io stesso ho avuto modo di raccogliere le testimonianze di persone lontane dal mondo dei giuristi che hanno appreso in questi giorni le dinamiche intrinseche alla materia che più d’ogni altra ci invita ad infinite riflessioni sul “vivere insieme”. Sono poi le stesse persone che mi hanno regalato il sapore dell’antica ospitalità italiana, mostrandomi le magnificenze architettoniche e gastronomiche di Piacenza.
Il vero miracolo del festival è stato insomma di riuscire a riunire figure eccellenti del mondo del diritto, dell’informazione, della politica e dell’economia affinché offrissero le loro conoscenze e riflessioni a chiunque fosse interessato ad ascoltarle (grazie agli sponsor tutti gli incontri sono rigorosamente gratuiti). Il risultato è stato naturalmente quello di un ambiente veramente intellettuale, dove il termine deve essere inteso non nella sua accezione boriosa di persone di buona cultura e profonda influenza, bensì di persone determinate a far progredire il proprio spirito e la propria cultura. Un ambiente che ha risvegliato in me una rara sensazione d’orgoglio dell’italianità della mia cultura e dei miei studi.
Di fronte a persone come Stefano Rodotà, esempio d’inesauribile energia, distinta eleganza, profonda intelligenza e generosità, ho notato che i presenti, anziani e giovani, dimenticavano il mondo di squali di plastica che sguazzano nella nostra era e tentano ignobilmente di divorare le nostre esistenze ed i nostri valori; ascoltavano e si divertivano esercitando il proprio intelletto fino al raggiungimento di quel piacere capace di riempire di grazia i comportamenti e le relazioni. A costo di fare la figura del “vecchio bacchettone”, non posso fare a meno di descrivere la commozione che ho provato nel vedere numerosi giovani cedere il proprio posto agli anziani, ricambiati da un sorriso affettuoso e dall’interessamento (talvolta eccessivo…) rispetto alle opinioni e le riflessioni sui temi trattati. Altrettanto incredibilmente, all’entrata ed all’uscita dagli spazi, la ressa si scioglieva senza i caratteristici vituperi e spintoni che accompagnano tradizionalmente i convegni di persone.
Per concludere, a Piacenza in questi giorni si è cercato di spiegare cosa è il diritto e, più generalmente, come funziona il mondo. E se il ministro Brunetta ha bollato come parassitarie tali iniziative definendo “élite di merda” chi si propone di promuoverle, personalmente sono rimasto inebriato dal sapore e dal profumo di quella merda. Invito tutti a condividerla l’anno venturo per la terza edizione del Festival del diritto. Il soggetto intorno al quale ruoterà è ancora una volta loquace: “disuguaglianze”.


Se l’arte cura l’ambiente: nuove forme di creatività impegnata

settembre 4th, 2009 by Diletta Sereni | No Comments

Se l’arte cura l’ambiente: nuove forme di creatività impegnata

Non è certo la prima volta che la creatività si installa dove l’arte sconfina in territori meno frequentati da uno sguardo estetico, basti pensare alla pubblicità e ai linguaggi mediali, ma anche alle strategie finanziarie. La novità sta piuttosto in un doppio incrocio: l’impiego di forme artistiche per la ricerca ecologica e di strumenti scientifici per la creazione artistica. Basta volgere l’occhio all’agenda artistica per rendersi conto che l’attivismo ambientale si è fatto arte. Sono numerose le mostre che indagano possibili soluzioni al degrado ambientale, propongono sperimentazioni su materiali a basso impatto inquinante e si lanciano alla ricerca dell’utopia di un futuro eco-compatibile.
La londinese Barbican Gallery ospita, dal 19 giungo fino al 18 ottobre, Radical Nature – Art and Architecture for a Changing Planet 1969-2009, una mostra-retrospettiva che racconta la storia dell’attivismo ambientale nell’arte, dagli anni Settanta ad oggi, esponendo prodotti di intelligenza ecologica e una serie di proposte di architettura e urbanistica sostenibile. In mostra, tra gli altri: Joseph Beuys, Robert Smithson, l’architetto Richard Buckminster Fuller e gli esordienti Heather and Ivan Morison e Simon Starling.
Gli fa eco la mostra Green Platform, alla Strozzina di Firenze, che a sua volta riflette sull’emergenza ecologica privilegiando stavolta non l’attuabilità effettiva dei progetti ma una loro efficacia estetica. Il manifesto curatoriale individua i capostipiti della mobilitazione ecologica nella Land Art, ma l’esposizione presenta solo opere dei loro eredi, tra cui alcuni esordienti interessanti. Particolarmente suggestivo e ambizioso il progetto di Nikola Uzunovski (ospite del padiglione macedone alla Biennale di Venezia in corso) di realizzare una sorta di sole artificiale (My Sunshine) tramite un disco riflettente protetto da un pallone aerostatico e farlo sorvolare le aree urbane intorno al circolo polare artico, in modo da aumentare la luminosità in zone che d’inverno non vengono quasi toccate dalla luce solare.
Sia Green Platform, che la mostra londinese alla Barbican sono state concepite non come semplici esposizioni ma come piattaforme interdisciplinari, luoghi di incontro per workshop e dibattiti oltre che come snodi organizzativi per iniziative collaterali. È abbastanza naturale d’altronde che l’impegno etico dei contenuti messi in mostra si accompagni, sul versante organizzativo, ad una spiccata tendenza all’interazione e al coinvolgimento del pubblico. Tra i partner di Green Platform figura il festival CinemAmbiente, a Torino dall’8 al 13 ottobre, ormai alla dodicesima edizione, che sposta la riflessione ecologica in ambito cinematografico.
Una figura emblematica di questo incontro tra arte e impegno ambientale è Natalie Jeremijenko, professore associato della New York University, che deve la sua crescente fama all’aver coniugato ricerca biochimica, fisica e ingegneristica ad una “creatività da artista”. Dalla Environmental Health Clinic, di cui è direttrice, vengono sfornati progetti d’avanguardia per il miglioramento delle condizioni metropolitane: da lampioni alimentati a fotosintesi a parcheggi-giardino. Nel frattempo però le sue creazioni intercettano il circuito di distribuzione dell’arte – importante requisito per catturare l’attenzione dei media – e vengono esposte nei principali musei d’America, tra Guggenheim e Whitney.
L’impegno di artisti e curatori in iniziative di questo tipo testimonia sicuramente dell’urgenza e dell’universalità del problema ambientale, ma rivela anche la versatilità dell’arte come linguaggio e la sua tendenza a sconfinare in campi che possano rinnovarne forme, materiali e pubblico. La contaminazione è complessa: arte e architettura ecologiche, chimica artistica, ma forse tracciare i confini perde di pertinenza nello scenario contemporaneo dove, non solo si sono dissolti i generi, ma l’arte si appropria spesso di mezzi che non le appartengono tradizionalmente; basti pensare allo straordinario impiego di sofisticate tecnologie mobilitato da gran parte degli artisti. Certo è che l’ecologia appare come uno degli approdi naturali delle sperimentazioni artistiche contemporanee e la loro ricchezza risiede forse proprio in quello che le rende “ibride”.


Spunti d’infinito a casa Fortuny

luglio 31st, 2009 by Diletta Sereni | No Comments

Spunti d'infinito a casa Fortuny

Inaugurata il 6 giungo e inserita nell’agenda della Biennale di Venezia, l’esposizione a Palazzo Fortuny, dal titolo In-finitum, chiude la trilogia di mostre ideata da Axel Vervoordt, iniziata con Artempo: Where time becomes art (Venezia, 2007) e proseguita da Academia: qui es-tu? (Parigi, 2008). La mostra sfrutta la grandiosa ambiguità del termine “infinito” per poter vagare tra generi, epoche e artisti e in più di trecento opere spazia dall’archeologia egizia all’installazione contemporanea.
L’ In-finitum che percorre tutte le opere è inteso ora nel senso di inarrivabile, ideale, illimitato, di a priori teorico che per negazione definisce tutto il resto come circoscritto, contingente, dimensionato; ora nel senso di non-finito, incompleto, sospeso, che si libera nello spazio vuoto, nel non scritto. Indefinito e incompiuto. Un concetto tanto grande può essere appena evocato da temi quali lo spazio cosmico, il monocromo, il vuoto. Al museo Fortuny lo troviamo tanto nel bianco della tela che scopre il lavoro mancato della pittura, quanto nel movimento sottile di una scultura di Calder; nel nero di Reinhardt e nel taglio di Fontana che squarcia, insieme alla tela, lo spazio e il tempo rappresentato. Si racconta nelle opere concettuali di Manzoni e nei dilemmi visivi di Escher.
Il palazzo, appartenuto prima alla famiglia Pesaro e poi ai Fortuny, è stato donato al comune nel 1956. Le opere sono distribuite su quattro piani e lungo il percorso si attraversano ambienti molto diversi, raggiunti gradualmente dalla luce esterna man mano che si sale verso l’alto.
Al piano terra, scuro e stretto, ci si incanta davanti a La notte di Lia di Anselm Kiefer, si passeggia tra le sculture di Fontana e si prosegue fino alla coreografica installazione di Gilberto Zorio, Stella Tesla. Decisamente suggestivo il primo piano, il piano “nobile”, dove le opere si accomodano nelle sale che ospitarono la vita e l’atelier di Mariano Fortuny e compongono insieme agli arredi una sorta di Wunderkammer, illuminata dalla debole luce che filtra dalle finestre e dalle celebri lampade firmate Fortuny. Sedie, divani, tavoli e cavalletti ingombrano il passaggio, le opere vi si adagiano, scendono dai soffitti, si aggrappano alle pareti e si nascondono nelle teche, occorre la massima attenzione per vederle tutte.
Al secondo piano, spariti gli arredi originali del palazzo, le opere si distendono, prendono respiro in ambienti dominati dal bianco da cui si può sbirciare, intatta e maestosa, la biblioteca dei Fortuny. Il terzo piano concede una rara distrazione nella vista panoramica che si affaccia sui tetti della città. La sala è occupata al centro da un padiglione che somiglia a una palafitta ed è percorso all’interno da un labirinto. Le opere vi si annidano silenziose, scoperte da piccole luci puntuali che rivelano sorprendenti assonanze nella ricerca sul primitivismo tra il Novecento occidentale e il Quattrocento giapponese.
La sede espositiva è dunque densa di fascino, l’allestimento è accurato e visivamente potente, anche per le meticolose variazioni di luminosità degli ambienti. Il percorso è piuttosto lungo e disseminato di “nomi”, che anche da soli fanno l’attrattiva della mostra. Resta forse qualche perplessità sulla scelta di un tema così vasto che rischia in ogni caso di essere approcciato in modo riduttivo e costruire forse un fil rouge troppo debole per affiancare in maniera convincente opere tanto disparate. Operazione di per sé legittima, ben vengano gli anacronismi nelle esposizioni, che permettono di ricostruire collegamenti inesplorati tra opere e artisti “distanti”, ma scegliere temi tanto vasti (infinito, come anche amore, genio, follia) va forse a scapito del valore di questa ricerca di connessioni e a favore piuttosto, vista la suggestione indiscutibile di tali argomenti, di un efficace richiamo di pubblico.

IN-FINITUM
Museo Fortuny, San Marco 3780
6 Giugno – 15 novembre
apertura 10-18 (biglietteria 10-17)
biglietto: intero 9, ridotto 6
Tel. 041.5200995

guida alla mostra in pdf


Macbeth at the Bargello

luglio 6th, 2009 by Francesca Livia Mangani Cammilli | No Comments

Macbeth at the Bargello

 
Something wicked this way comes / Qualcosa di maligno si avvicina
Macbeth di William Shakespeare in inglese con sottotitoli in italiano
Ideazione e regia di Shaun Loftus
 
8-12 Luglio 2009, ore 21.00 (durata circa 1h 30′)
Firenze, Museo Nazionale del Bargello
 
Sono veramente tanti gli elementi di assoluta novità che caratterizzano questo allestimento del Macbeth che sarà portato in scena nel cortile del Museo Nazionale del Bargello a Firenze dalla compagnia teatrale F.E.S.T.A. dall’8 al 12 Luglio. A cominciare dal fatto che per la prima volta in assoluto, un dramma di Shakespeare verrà recitato in lingua inglese a Firenze all’interno di uno dei più prestigiosi musei della città. Un ambizioso progetto che si realizza anche grazie alla partnership con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, il Museo del Bargello, l’Associazione Amici del Bargello, il Teatro della Pergola e il British Institute, nel quadro di una collaborazione ampia con istituzioni cittadine che ha l’obiettivo di offrire alla città un evento che valorizza nel modo migliore lo spirito del teatro di William Shakespeare.
Questo allestimento in lingua originale con sottotitoli in italiano, porterà inoltre in scena una serie di spettacolari duelli e combattimenti a fil di spada, cosa piuttosto rara nel panorama teatrale italiano, ideati e coreografati dal noto maestro d’armi americano Ted Sharon.
Quanto al cast, si tratta di un gruppo di attori provenienti da tutt’Italia, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, che mescola in egual misura giovani promesse, scoperte da F.E.S.T.A., ed attori esperti che hanno costruito il loro successo nei più famosi teatri di Broadway. F.E.S.T.A. si è sempre prodigata per promuovere un ambiente di lavoro fortemente internazionale, autenticamente multiculturale, multietnico e interdisciplinare.
Macbeth è una delle opere più agili e conosciute di Shakespeare, ma la regista Shaun Loftus ne sta preparando un allestimento molto lontano dalle interpretazioni più tradizionali e ponderose, tutte virate sulla questione morale della colpa e del castigo. L’allestimento di F.E.S.T.A. è veloce e dinamico (poco più di un’ora e mezzo), in tre atti invece di cinque, e tutto impregnato di sensualità, gioventù e spregiudicatezza. Una sensualità arcaica e  selvaggia che corre come una corrente elettrica tra MacBeth e Lady MacBeth. La regista ha inoltre voluto restituire centralità anche ad altre forze arcaiche ed elementari, e cioè a un soprannaturale che fa parte del reale a pieno titolo: il fato è tangibile, profezie, incantesimi e forze invisibili hanno un potere eloquente, le maledizioni uccidono. Le streghe rappresentano la forza remota e archetipica che ha dato forma all’umanità, sono le tre Parche che filano, misurano e recidono le nostre vite. Non si tratta di una lotta tra bene e male, ma della resa dei conti di un mondo i cui i paradigmi sono a un crocevia e un nuovo modello di umanità sta distruggendo l’antico ordine naturale. Ma le potenze di questo antico ordine naturale non permettono agli uomini di dimenticarsi semplicemente di loro e del loro culto; non permettono che gli uomini le lascino semplicemente svanire nell’oblio.
Dal 2007 l’associazione F.E.S.T.A. – Florence English Speaking Theatrical Artists promuove un’esperienza teatrale bilingue rivolta all’intera comunità fiorentina, diffondendo la cultura del teatro e la lingua inglese sul territorio e promuovendo il progetto di una città dinamica che si arricchisce del dialogo fra le culture. F.E.S.T.A. comprende un gruppo di professionisti del teatro e artisti multidisciplinari impegnati a creare un nuovo modello di teatro multiculturale.
L’esperienza di quest’anno non vuole rimanere unica ma anzi consolidarsi e ripetersi ogni anno con una diversa proposta shakespeariana, sempre in uno spirito di collaborazione tra diverse istituzioni. E già si annuncia, per il 2010, un programma shakespeariano ancora più ricco!
Info: http://www.themacbethproject.org


Il Padiglione messicano alla Biennale di Venezia

giugno 29th, 2009 by Diletta Sereni | No Comments

Il Padiglione messicano alla Biennale di Venezia

Alla 53esima edizione della biennale il Messico è rappresentato dalle opere di Teresa Margolles, che raccontano la guerra della droga e il suo silenzioso sterminio. Il padiglione messicano, che partecipa alla biennale solo dalla precedente edizione, ha scelto di ospitare la mostra intitolata “¿De qué otra cosa podríamos hablar?” (Di cos’altro potremmo parlare?) nel palazzo Rota-Ivancich, residenza nobiliare cinquecentesca, a due passi da Campo Santa Maria Formosa.
Il lavoro di Teresa Margolles sviluppa, sin dagli anni novanta, una riflessione sulla rappresentazione della morte nella società globalizzata. Nel periodo più recente si è concentrato in particolare sull’ondata di violenza causata dalla criminalità organizzata intorno al narcotraffico che, per ragioni geografiche, ha fatto del Messico il principale raccordo tra luoghi di produzione e consumo e che, in particolare lungo il confine con gli Stati Uniti, miete ogni anno migliaia di vittime. Si moltiplicano gli episodi di violenza nelle strade – esecuzioni mirate o scontri a fuoco tra polizia e trafficanti – e sono frequenti i casi di civili coinvolti solo accidentalmente. Negli ultimi anni inoltre la narco-criminalità si è ramificata e insinuata nelle città e nelle famiglie, esponendo un’intera generazione alle conseguenze perverse che l’economia globalizzata ha avuto sul mercato della droga.
Il lavoro della Margolles parte dalla consapevolezza di questa ondata di violenza e cerca di tradurla in oggetti e azioni che possano raccontarla senza fare leva sulla spettacolarizzazione del lutto. L’artista non lavora in solitudine nel suo studio, ma viaggia sul territorio: esplora le arene del terrore che si aprono nelle città, tra la gente e, subito dopo le misurazioni e le indagini di polizia e periti, raccoglie materiali, tracce, feticci sui luoghi degli omicidi: all that’s left. Si tratta di vetri infranti delle automobili, messaggi intimidatori lasciati dai trafficanti, terra, sangue e vari materiali organici che assorbe con delle tele, come a tamponare le ferite del terreno. E sono questi “residui” che, in seguito ad un intervento di trasformazione sui materiali, vengono immessi nel circuito dell’arte. Da resti di morte a opera d’arte, è così che questi oggetti-traccia subiscono una piccola fondamentale rivoluzione: sottratti ad uno spazio “esposto” allo sguardo emotivo di shock, terrore e compassione per le vittime, vengono inseriti in uno spazio “di esposizione” che chiede uno sguardo attento, di studio o contemplazione, allo spettatore di arte contemporanea.
L’entrata del padiglione è quasi nascosta e all’ingresso si è colpiti dal contrasto dimensionale tra la calle stretta e buia e gli spazi grandiosi del palazzo. Le opere vi abitano quasi mimetizzandosi nella vastità delle sale, che l’artista ha voluto lasciare quasi vuote e conservare nel loro stato di decadimento: tappezzerie strappate, crepe alle pareti, fili scoperti… Il visitatore attraversa la pace inquieta delle stanze, illuminate dalla scarsa luce che filtra dalla calle e da una fila discreta di lampadine aggrappate alla parete. Passa da una stanza all’altra e le opere intrecciano il suo percorso in silenzio eppure lo avvolgono, lo costringono a poco a poco a fare i conti con la loro crudezza: con l’odore acre delle tele imbevute di terra e sangue, con l’azione lenta e meticolosa dei performer, che lavano il pavimento freddo del palazzo con acqua mista al sangue “recuperato”. Le varie installazioni agiscono sull’attenzione dello spettatore: sono tracce fisiche e tangibili della tragica “economia della morte”, eppure non gridano, divergendo così in maniera fondamentale dalle rappresentazioni del dolore altrui cui ci ha abituato la cultura visiva contemporanea, che tende a mostrare tutto. Il dramma che viene raccontato non è evidente, le opere vogliono essere cercate, ascoltate: non chiedono pietà o indignazione ma raccoglimento.
Si tratta di opere-gesto, che costruiscono, attraverso il meccanismo del feticcio e della contaminazione, un discorso ardente sulla morte silenziosa di migliaia di persone, l’assurdità di uno stillicidio lento e inesorabile. I feticci della Margolles sono rappresentazioni di una morte senza nome, senza giudizio e nonostante siano segnate da una profonda continuità fisica con la vittima, evitano lo spettacolo del dolore. Il gesto diventa opera perché compiuto in quel determinato contesto sociale e in quel preciso momento, è per questo che parlare di queste opere significa parlare della loro storia e dell’ambiente che le ha prodotte. È probabilmente questa la forza della mostra: allontanarsi dall’arte contemporanea come tendenza, uscire dal suo circuito commerciale e instaurare un discorso radicato a fondo nel territorio e nella società messicana, cercando di tradurne aspetti gravi e problematici, un discorso sulla possibilità di “fare arte” e sulle forme che l’arte può assumere di fronte ai drammi dell’attualità.
Padiglione Messicano Biennale di Venezia – Teresa Margolles, ¿De qué otra cosa podríamos hablar?
7 giugno – 22 novembre 2009
orario 10-18, chiuso il lunedì
Curatore: Cuauhtémoc Medina,
sede: Palazzo Rota-Ivancich, calle del remedio, Castello 4421 (Ve)
tel. 041.52.29.855
www.mexicobienal.org



Ultimi commenti

Lista articoli per mese