Via Padova: una rivolta d’integrati

marzo 1st, 2010 by Shady Hamadi | No Comments

Via Padova: una rivolta d'integrati

La rivolta degli egiziani di quel sabato notte non era questione d’integrazione. Per esperienza personale e per il mio vissuto, posso tranquillamente affermare che gli egiziani in Italia non hanno nulla da invidiare ai nostri magut, “muratori’” bergamaschi famosi per la loro indole lavoratrice. Uno dei motivi della protesta degli egiziani è stato vedere il corpo del ragazzo ucciso “egiziano anche lui” di nome Aziz, lasciato per la bellezza di 3 ore su un marciapiede per permettere i rilevamenti delle forze dell’ordine. Un secondo motivo che ha fatto scaturire la rivolta è stato il futile motivo per cui è stato ucciso il ragazzo. Gli stessi egiziani che abitano in via Padova in quell’istante hanno sentito l’insicurezza e la fragilità della vita vedendo quel ragazzo loro compaesano morto a terra solo perché aveva pestato per sbaglio il piede di un ragazzo di queste famose bande latine. Ora: gli atti compiuti dagli egiziani non sono assolutamente giustificabili. Non è giustificabile la distruzione di negozi e di macchine solo perché i proprietari sono colpevoli di essere della stessa nazionalità degli assassini di Aziz. Quegli atti vandalici, ai quali per altro non hanno partecipato i famigliari della vittima perché consapevoli del cattivo significato di quelle azioni, hanno rafforzato solo l’idea dei cittadini Italiani di via Padova che gli immigrati sono padroni del territorio e non integrati… nulla di più sbagliato. La polizia ha subito arrestato 4 clandestini di nazionalità egiziana, accertando l’identità di altri 37 che avevano partecipato alla rivolta. E se poi parliamo d’integrazione… beh la maggior parte di quegli egiziani che hanno partecipato alla rivolta vivono in via Padova in appartamenti affittati da italiani, spesso con altre 6 o 7 persone di varie nazionalità con cui dividere la casa. Eppure tutta questa gente la mattina ci saluta quando usciamo dalle nostre case perché portano i sacchi dell’immondizia, e in quel momento non ci fanno paura. Ci portano la pizza a casa spesso o andiamo noi nelle loro pizzerie, li salutiamo, diventiamo anche loro clienti fissi: in quel momento non sono forse integrati? Li vediamo parte della nostra società solo quando lavorano? Invece quando sono fuori dai phone center, i nostri stessi egiziani che puliscono il condominio, intenti a fumare per strada e scherzare ad alta voce, allora non sono più integrati? Ne abbiamo paura. Hanno il controllo del territorio di via Padova? Sì, quello che va dai bidoni condominiali della nettezza urbana ai camion delle aziende di smaltimento rifiuti. La rivolta che abbiamo visto è stata una battaglia tra poveri e certo hanno sbagliato e devono pagare perché viviamo in uno stato di legalità e ordine ma soprattutto siamo e stiamo diventando sempre di più una società multietnica. Spero che gli assassini di Aziz paghino anche loro insieme a chi ha causato disordini quel sabato notte…


Protesta Sociale e Fuga dalla Città nelle Opere di Emilio Longoni

ottobre 31st, 2009 by Luigi Galimberti Faussone | No Comments

Protesta Sociale e Fuga dalla Città nelle Opere di Emilio Longoni

“Io sempre in lite sono con me stesso.
Che far dunque potrei?
Dell’opre da me fatte io son dolente.
Che far dunque potrei?
Penso che tu, Signor, perdonerai
con generosa voglia;
ma per l’onta che tu quello che ho fatto
vegga, che far dovrei?”
Omar Khayyam (Nishapur, Persia selgiuchide, 1048-1131), Quartine, trad. Italo Pizzi
Alla religione buddista, passando per la poesia di Khayyam e i Pensieri di Pascal, è giunto il percorso spirituale e artistico di Emilio Longoni (1859-1932), pittore e poeta lombardo di Barlassina, in Brianza. Tale percorso è abilmente ricostruito nella mostra 2 collezioni, ospitata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, che espone ventitré significative opere, otto appartenenti alla stessa GAM e quindici di proprietà della Banca di Credito Cooperativo di Barlassina, che ne ha finanziato il restauro e lo studio.
La produzione artistica di Longoni si concentra in principio sulle nature morte e sui ritratti, che lo porteranno a guadagnare una certa notorietà nell’ambito della committenza lombarda. Tuttavia, è del 1891 l’opera che segna una prima apparente frattura nella sua produzione: L’oratore dello sciopero. La tela, dipinta in occasione del primo anniversario dell’allora rivoluzionario sciopero del 1 maggio 1890 che si tenne a Milano per la Festa dei Lavoratori, ritrae un uomo che con una mano si regge a un’impalcatura di cantiere, mentre coll’altra mostra al cielo il pugno chiuso. Sullo sfondo, una folla in fermento, una carica delle guardie e una bandiera rossa col fiocco anarchico; in primo piano, più in basso, compagni lavoratori anch’essi col pugno chiuso. Le novità dell’opera non sono tanto nel soggetto – lo sciopero e la protesta sociale sono temi che interessano gli artisti di tutt’Europa in quegli anni – ma nella sua resa, caratterizzata da un taglio fotografico che rende l’opera simile a un manifesto.
Nonostante già nel 1894 Longoni compie i primi studi dal vero sull’Appennino e sull’Adamello, è solo nei primi anni del nuovo secolo che abbandona la città, che sempre più diventava il centro della vita politica, economica e sociale, e si rifugia in montagna. A segnare quell’epoca fu la feroce repressione dei moti milanesi del maggio 1898 condotta dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ordinò di sparare coi cannoni sulla folla manifestante, causando la morte di numerose persone. Nei quadri di Longoni, alla protesta sociale si sostituisce la contemplazione della natura che, tuttavia, non è mero paesaggio ma luogo di ricerca spirituale e artistica. La rarefazione delle opere di Longoni, come in Ghiacciaio, è caratteristica della sua ricerca pittorica che ha portato il divisionismo ai limiti dell’astrattismo, senza tuttavia mai sorpassarne i confini.
Dalle nature morte e dai ritratti, ai temi sociali e politici, fino alla natura di alta montagna, il mutare dei soggetti non corrisponde di certo a una ricerca incoerente, bensì una profonda evoluzione artistica. Difatti, in una delle sue ultime note autobiografiche trascritte dalla moglie Fiorenza De Gaspari, Longoni afferma: “I miei quadri corrispondono alle vicende della mia vita e segnano le tappe dei dolori, dei piaceri da me provati nei diversi periodi della mia vita. Questa conclusione mi si presenta un giorno, nel quale, mettendo in ordine cronologico le fotografie dei miei quadri, avverto in essi una continuità di pensiero”.
Emilio Longoni: 2 collezioni, 22 ottobre 2009 – 31 gennaio 2010, Galleria d’Arte Moderna di Milano.
Il catalogo della mostra, a cura di Giovanna Ginex, è pubblicato da Skira (2009, 176 pp., €39). Oltre a un ampio e accurato saggio della curatrice, sono presenti nel catalogo le relazioni delle approfondite indagini scientifiche e di restauro condotte sulle opere di proprietà della Galleria d’Arte Moderna, che permettono di comprendere a fondo la tecnica pittorica e compositiva di Longoni e dare così nuovo e più pieno significato alle sue opere.
Galleria d’Arte Moderna (GAM)
Villa Reale, Via Palestro, 16 – 20121 – Milano
Tel. +39 02 76340809 – www.gam-milano.com
Orari: mar-dom, 9.00-13.00 e 14.00-17.30
Ingresso gratuito


Arte contemporanea in Italia, what’s new!

ottobre 14th, 2009 by Alessandra Denza | No Comments

Arte contemporanea in Italia, what's new!

Ed ecco ripartita la stagione artistica 2009/2010 in tutto il suo splendore! Le gallerie milanesi si sono organizzate, come dal terzo anno, con l’Associazione START: 41 tra le migliori gallerie di arte contemporanea hanno inaugurato in simultanea il 18 settembre presentando i loro migliori artisti e novità. Sono poi rimaste aperte per tutto il fine settimana favorendo la circolazione dei visitatori e collezionisti con un utilissimo servizio navetta e tanti brunch e merende.
Per fare un esempio delle gallerie a Brera: Zonca & Zonca ha presentato un giovane artista coreano Sea Hyun Lee “Between Red” con i suoi paesaggi rurali fluttuanti e tutti sul tono del rosso. Si vedono i boschi, le piccole pagode ed i villaggi. L’artista ha vissuto nella Zona Demilitarizzata tra Nord e Sud Corea quando ha fatto il militare. Le visioni notturne con gli occhiali ad infrarossi l’hanno profondamente influenzato ed è stato segnato dalla violenza della divisione del paese in due, una zona demilitarizzata che in realtà presenta una presenza di militari molto alta a controllare che non venga superata né che ci siano attacchi. La realtà del paesaggio è permeata dal colore rosso che la rende tutto surreale ed intriso di orrore e paura per il conflitto coreano.
Antonio Battaglia, sempre in via Ciovasso (anche se esterno a Start), ha presentato una collettiva  “Fairy Tales – Giovani artisti nel paese delle meraviglie”: Tommaso Chiappa, Sophie Chkheidze, Nebojsa Despotovic, Agnese Guido, Natasza Niedziolka, Melissa Provezza, Guiditta R. e Giacomo Toselli. Ad accomunarli è soprattutto una ricerca stilistica verso le nuove direzioni internazionali della pittura. Molto interessante i lavori di Tommaso Chiappa nella ricostruzione delle sue città, gli elementi rappresentati sono ridotti ai minimi termini per far emergere dall’opera solo quello che viene ritenuto necessario.
Francesca Kaufmann presenta Latifa Echakhch, nella sua prima personale in Italia, artista che usa tecniche diverse per esprimersi: installazioni, scultura, video, etc. L’artista marocchina decontestualizza oggetti carichi di significato culturale e politico per riposizionarli all’interno di un linguaggio minimalista. In galleria porta diverse opere tra cui una serie di quadri con motivi ornamentali dell’architettura sacra islamica, forme geometriche come la stella riportata anche a pezzetti sul pavimento.
Paolo Curti & Annamaria Gambuzzi in una collettiva curata da Kineko Ivic presentano: Huma Bhabha (1962, Karachi, Pakistan), Joe Bradley (1975, Maine),? Jason Fox (1964, Yonkers, NY),? Baker Overstreet (1981, Augusta, Georgia), ?Aurel Schmidt (1982, Kamloops, BC, Canada), tutti artisti che lavorano nel vorticoso mondo artistico di New York. Bhabha realizza sofferenti forme antropomorfe con l’assemblaggio di materiali di recupero come argilla, legno, ferro, polistirolo e ghisa, mentre Bradley si affida ad uno stile molto più minimalista. Molto essenziale e legato allo studio del colore e della forma. Fox è focalizzato su un’analisi della cultura popolare ispirandosi alla storia dell’arte, ai cartoon ed ai film. Overstreet si rifà un po’ alla tribalità di Bhabha le sue opere presentano di una forte componente simmetrica che si alterna alle tonalità vivaci dei colori che danno vita a figure geometriche astratte. Schmidt dà una rilettura dell’opera di Arcimboldo utilizzando però materiali trovati più recenti come capelli, serpenti o mozziconi di sigaretta per formare i suoi ritratti.
Anche a Brescia le gallerie si sono organizzate per inaugurare insieme durante la quinta “Giornata nazionale del contemporaneo” il 3 ottobre e per questo motivo è stata organizzata la Notte Bianca: quattro percorsi a tema da seguire attraverso le gallerie bresciane – la Luce, il tempo, la Parola e la Vita moderna.
A Palazzo Gallery, che ha sede in Palazzo Todeschini, Chiara Bersi Serlini con Francesca Migliorati e Chiara Rusconi, organizza “Cabinet’s 120 Day Volume”. Collettiva con numerosi giovani artisti internazionali di spicco per la prima volta in Italia come Lara Schnitger, di origine olandese, che utilizza materiali ordinari, come collant di nylon, cravatte, indumenti e gomma, indefinitivamente mutati e trasformati, per creare grandi installazioni che fendono il pavimento e il soffitto come creature aliene trasportate dall’aria.
Massimo Minini inaugura la stagione espositiva con un intervento, sul muro esterno della galleria, di Gabriele Picco, giovane artista e scrittore per poi successivamente tornare negli spazi interni ora in restauro.
La PaciArte non solo presenta i nuovi spazi in via Trieste, ma anche una coppia di artisti francesi che fondono scenografia e fotografia in opere che evocano la solitudine e l’immobilità del tempo: Clark & Pougnaud “C’est la vie”. Nelle loro creazioni un momento di vita privata viene cristallizzato dallo scatto, congelando il soggetto. Come durante la visione di un film, in cui qualcuno improvvisamente blocca la pellicola.
Anche Firenze ha avuto un lampo di genio verso i suoi cittadini e turisti. È stato organizzato un bellissimo venerdì in centro, via Tornabuoni è stata resa pedonale fino alla mezzanotte e riempita di magnifiche Ferrari di tutte le epoche, molti i negozi aperti che hanno anche offerto dei divertenti aperitivi a base di Chianti classico, salatini e affettati. Al passo con l’evento la Fondazione Strozzi ha inaugurato con il Centro Cultura Contemporanea Strozzina la mostra “Realtà Manipolate – come le immagini definiscono il mondo”. Interessante mostra di fotografia tutta dedicata alla sottile linea che delinea realtà dalla manipolazione. Quello che vediamo nelle fotografie è realmente l’oggetto dello scatto oppure è il risultato di una sapiente alterazione? Presenti numerosi artisti internazionali come Olivo Barbieri con i suoi paesaggi ripresi dall’alto visti attraverso una lente speciale che quasi sembrano dei modellini, Gregory Crewdson e la sua distaccata provincia americana, Thomas Demand con i suoi modellini dello Studio Ovale alla Casa Bianca, Andreas Gursky, Cindy Sherman con le sue metamorfosi e travestimenti.
Giovedì 29 ottobre aprirà il nuovo Centro per l’Arte Contemporanea di Firenze – EX3 – con la personale di due artisti rappresentativi di contesti e linguaggi diversi della scena internazionale: Julian Rosefeldt e Ian Tweedy, a cura di Lorenzo Giusti e Arabella Natalini sotto l’occhio esperto di Sergio Tossi. In attesa dell’opening ufficiale, venerdì 2 ottobre, EX3 apre per una sera speciale, una festa aperta a tutti, anticipando la “Giornata nazionale del contemporaneo” presentando gli appuntamenti di sabato 3 ottobre a Firenze. Il nome nasce dalla contrazione della parola “exhibition” e dalla sua ubicazione nel …


Salone Internazionale del Mobile

aprile 23rd, 2009 by Alessandra Denza | No Comments

Salone Internazionale del Mobile

Anche quest’anno parte l’evento più atteso a Milano: la 48a edizione del Salone Internazionale del Mobile con tutto quello che lo circonda. La città diventa frenetica ed vivissima come in un formicaio. Milioni di persone, sempre più amanti del vero design italiano e internazionale, non solo addetti del settore, si affaccendano per visitare più cose possibile e per accaparrarsi gli inviti alle inaugurazione e feste più “in”.
Il rito dei cocktail contagia architetti, giornalisti, imprenditori, studenti, semplici curiosi. È un’occasione straordinaria di pubbliche relazioni, magari col tuo futuro datore di lavoro.
Oltre 220 mila metri quadrati di padiglioni nel polo di Rho con 2.723 aziende e 300 mila visitatori attesi, 450 eventi nei quartieri, da zona Tortona a Porta Romana, da Palazzo Reale alla Triennale. Parole chiave: creatività, originalità, visibilità. E identità: «Milano non produce design, è il design»! Muoversi, sempre, per non perdersi nulla: è la città dello stile.
Il salone del mobile si divide nell’esposizione fieristica a Rho ed eventi disseminati in città. In fiera l’esposizione si articola tra il Salone Internazionale del Mobile, il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, Euroluce, il Salone Internazionale dell’illuminazione e il sempre più indipendente Salone Satellite.
Una giuria d’eccezione, composta da critici, progettisti e collezionisti, tra cui Marva Griffin Wilshire, Beppe Finessi, Denis Santachiara e molti altri, ha l’arduo compito di individuare tra i numerosi candidati i designer che possiedono già un linguaggio personale e pronti per il salto.
Partendo da Zona Tortona, celebre proprio grazie alla design week, e dal colosso di Superstudio, si trova la prima risposta alla crisi. L’art-director Giulio Cappellini lancia un progetto ambizioso ma efficace: il Temporary Museum for New Design. Gli spazi espositivi di Superstudio Più e Superstudio 13 si trasformano in un museo ponte che non offre più stand o allestimenti fieristici, ma semplici esposizioni museali. Si sono lanciate in quest’impresa aziende del calibro di Foscarini, Coro, Adidas, Alcaantara, Moooi, Tom Dixon, Janelli & Volpi. Interessante anche la sezione Other worlds, other ideas, dedicata al design di altri Paesi.
Presso la Triennale si potranno visitare fino alle 22 tutte le mostre presenti, in particolar modo il nuovo allestimento del Design Museum, e poi Il fiore di Novembre, Oggetti sonori. La dimensione invisibile del Design e Made in Japan, una selezione del design giapponese sulle ultime tecnologie; per l’occasione sarà anche aperto lo spazio all’aperto del design cafè.
Una delle novità dell’anno è costituita dal quartiere Isola, che ha organizzato, con il coordinamento di Fuorisalone, una serie di eventi che vede scendere in campo tutti i commercianti, artisti e studi della zona.
Alla Statale c’è un parasole tropicale che gli indios brasiliani chiamano Oca. E poi c’è una cupola intrecciata di bambù coperta di vetro. E una casa riempita di parole, un diamante che cattura i raggi solari e una parete di verde verticale che assorbe la CO2 di Milano. Sembra un po’ ritorno al futuro e un po’ il misterioso bosco realizzato dal Buontalenti a Bomarzo il «giardino» fantastico inventato dagli architetti dentro l’Università Statale! Un gioco di specchi e di superfici artificiali come un luna park del futuro montato nel cortile maggiore del «maggiore» (con il Duomo) edificio di Milano: 43 mila metri quadrati che il Filarete aveva progettato come Ospedale, e che poi è diventato università e che da domani è percorso tra passato e futuro dell’architettura.
In esposizione sculture, architetture e installazioni di luce realizzate da designer e architetti come David Chipperfield, Marc Sadler, Mario Cucinella, Massimo Iosa Ghini prodotte da aziende come Alcantara, Dedon, Pramac, Italcementi e Oikos.
Date: 22-27 aprile 2009
Apertura al pubblico: domenica 26 aprile
Luogo: Quartiere Fiera Milano, Rho. ?Ingressi: Porta Sud, Porta Est, Porta Ovest
Orari: 9.30 – 18.30 continuato
Per maggiori informazioni:
Speciale del Corriere della Sera
Cosmit
FuoriSalone
Zona Tortona


Illuminati! È Natale…

dicembre 12th, 2008 by Roberto Priolo | No Comments

Illuminati! È Natale…

Natale sta arrivando. Siamo tutti più buoni, forse. Il mondo si illumina di mille luci. Le metropoli del pianeta si agghindano per le feste, in certi casi con uno sfarzo incredibile.
Persino chi, come il sottoscritto, ha sempre provato sentimenti contrastanti riguardo il Natale non può non chinarsi di fronte a cotanta bellezza e colore. Quest’anno poi, le varie amministrazioni comunali si stanno facendo in quattro per farci dimenticare le ristrettezze e le difficoltà che presto incontreremo, con una crisi economica incalzante i cui effetti negativi e concreti, in molti casi, ancora non si sono visti. Quello che dovrebbe essere il Natale dell’austerity sembra più che altro un Natale da boom economico. Poco importa se i consumi calano, e se molti negozi sono vuoti. Anche con un calo nei guadagni, la grande distribuzione fa festa, come sempre. I grandi marchi brindano.
A Natale bisogna fare i regali… a tutti quelli che si conoscono. Alle colleghe che stanno antipatiche, ai parenti che ci si ostina ad invitare al cenone del 24 senza davvero sapere perché, alle vecchie fiamme, ai finti amici. Non è una decisione nostra, è più che altro un qualcosa che ci viene imposto dalle convenzioni. Chi non ha voglia di passare ore e ore negli affollati centri delle città, lo fa lo stesso. Perché è giusto che sia così. Ed è così che si fa a Natale.
E non ci si può far cogliere di sorpresa, perché la corsa allo shopping natalizio è folle, disordinata, inumana. Ore di coda alle casse dei negozi, spintoni, insulti che forse ci suggeriscono che a Natale siano in pochi ad essere davvero più buoni. Negli ultimi anni sono riuscito a disintossicarmi dal Natale, non per cinismo o per qualche spinta anti-consumistica dentro di me. Semplicemente per buon senso. Non comprerò un milione e mezzo di regali, non trascorrerò giorni interi nei negozi, non spenderò un patrimonio per una ricorrenza in cui non credo. Quello che invece farò, oltre che passare tempo con la famiglia, sarà osservare la città in festa, anche se di quella festa poco mi interessa. E soprattutto, ammirare le luminarie.
A dire il vero l’ho già fatto. E nessuno, nemmeno il Grinch più incattivito, potrà negare la bellezza della grigia e fredda Milano in questi giorni. Per una volta le cose sono state fatte davvero in grande, come si addice ad una città importante.
Possiamo discorrere per ore sull’inutilità di coprire di lucine bianche la facciata del Castello Sforzesco o dello spreco di denaro ed energia che comporta l’installare dei potentissimi fari sulla Stazione Centrale (via Pisani, quella che porta in piazza della Repubblica, con i fari puntati dalla stazione al cielo, assomiglia al red carpet la notte degli Oscar). Gli automobilisti possono urlare ogni tipo di improperio contro la Moratti, visto che i fari sono assolutamente accecanti, ma non importa. Le luminarie non vengono installate perché servono a qualcosa, ma solo ed esclusivamente perché sono belle.
Naturalmente esistono un gran numero di eccezioni. Prendiamo ad esempio la mia cittadina natìa, Sanremo. Non so ancora in cosa si siano spesi i soldi quest’anno, ma posso dire che negli anni passati le viottole e le strade principali della città costiera tra le più importanti della Riviera ligure di Ponente fossero sì addobbate a festa, ma non sempre con buon gusto. Ricordo in particolare quanto fosse inquietante camminare su via Palazzo a notte inoltrata: strada deserta e pochissima luce, solo le sagome di decine di Babbi Natale gonfiabili appesi ad ogni terrazzo, come un’orda di scassinatori in maschera.
Fortunatamente però si tratta di ricordi lontani.
A Milano, come ho già detto, il Comune ha fatto sapere quanto “ci sia bisogno di speranza”, giustificando così le centinaia di migliaia di euro spesi per le illuminazioni natalizie. Il fiore all’occhiello della città al momento è naturalmente piazza Duomo, con la chiesa simbolo del capoluogo lombardo finalmente quasi del tutto spacchettata, un grande albero di Natale e la galleria maestosamente addobbata, la sua cupola ricoperta di migliaia di lucine blu. Un vero spettacolo.
Anche all’estero le grandi capitali e metropoli si preparano alle feste con illuminazioni mozzafiato, che senz’altro spingeranno alle stelle il consumo di energia elettrica e, forse, lo spirito natalizio. A Parigi gli alberi sugli Champs-Élysées sono stati foderati di lucine, sotto l’Arco di Trionfo svolazzano due gigantesche bandiere, quella francese e quella europea, una grande ruota panoramica è stata montata in Place de la Concorde, mentre la Tour Eiffel si pavoneggia con il suo colore blu, e le stelline dell’Unione Europea.
Londra, sempre sobria, ha allestito il consueto albero a Trafalgar Square, concentrandosi sulle luminarie nelle vie più importanti, da Regent Street a Oxford Street, fino ad arrivare alle installazioni luminose nella galleria di Covent Garden.
E’ come sempre New York però a schiacciare la concorrenza, con l’allestimento natalizio del Rockefeller Center, con gli angioletti, la pista di pattinaggio sotto la statua dorata di Prometeo, il gigantesco abete addobbato e i fiocchi di neve proiettati sulle pareti dei grattacieli circostanti. Nella Big Apple, nemmeno Wall Street, che quest’anno ha decisamente poco da festeggiare, ha rinunciato ad illuminarsi per Natale, con uno sfarzoso albero e migliaia di luci sul colonnato dello Stock Exchange, che, in pieno stile americano, riproducono una bandiera a stelle e striscie.
Ogni angolo del mondo si prepara alle feste. Taipei, con il grattacielo 101 (il più alto del mondo) ricoperto di LED, Berlino, con gli alberi spogli di Unter der Linden dai rami foderati di lampadine, e poi gli abeti sulla Piazza Rossa di Mosca, nella città vecchia di Praga, davanti al Campidoglio di Washington, o al Colosseo a Roma.
Sarà un Natale particolare, questo del 2008. Un Natale magro per molti, carico di preoccupazioni per tutti, di riflessioni su un anno duro che volge al termine e di uno ancora più duro alle porte.
Ma se c’è una cosa che a Natale bisogna fare, quella è festeggiare. Dimentircarsi dei guai, almeno per qualche giorno, e del portafoglio che piange, e godersi un po’ di meritato riposo in compagnia dei propri cari. Festeggiare la vita, in ogni sua forma, e indipendentemente dal …


Guida Immaginaria ad una Milano Inesistente

dicembre 1st, 2008 by Rocco Polin | 6 Comments

Guida Immaginaria ad una Milano Inesistente

Non importa che città si decida di visitare; sia essa Parigi, Gerusalemme o New York. Prima della partenza spunta sempre un amico che, avendoci vissuto per un periodo più o meno lungo per ragioni di studio o di lavoro, vi compila una lista delle dieci cose da non perdere assolutamente.
Nel nostro caso la città era New York. L’ultima sera, davanti ad una birra, abbiamo riletto gli elenchi e ripensato a quanto fatto e visto nei giorni precedenti. Immancabilmente abbiamo cominciato a contrapporre la città appena visitata alla triste Milano che ci attendeva, sempre uguale, al nostro ritorno. Ad un certo punto qualcuno di noi, impietoso, ha chiesto “ma se dovessimo consigliare le dieci cose da non perdere a Milano, cosa consiglieremmo?”
Ne è venuto fuori un elenco delle cose che a Milano non ci sono, che vorremmo che ci fossero, che dovrebbero esserci, che non ci saranno mai, che sono anni che aspettiamo senza risultato. Dieci punti di una guida immaginaria ad una Milano inesistente.
Dieci cose da non perdere a Milano
1. Per una prima impressione della città potresti fare un giro sulle antiche mura normanne. Sali da Porta Lodovica e prosegui in senso orario lasciandoti sulla destra il mercato coperto (nota la bellissima struttura in ferro battuto risalente alla dominazione austriaca). Dalle mura potrai farti un’idea della conformazione della città, della sua pianta circolare, potrai vedere i tetti e le strade brulicanti di vita.
2. Sceso dalle mura ti consigliamo di fare un giro a piedi nel centro storico. Da quando l’introduzione dell’eco pass ha ridotto quasi a zero il traffico e l’inquinamento è davvero un piacere girovagare senza meta guardando le vetrine, la gente e i monumenti della nostra bella città.
3. In un giorno di bel tempo vale davvero la pena di fare un giro sui colli. Per pranzo potresti andare da Giulio, ottima trattoria a poco prezzo da cui si gode di una vista impareggiabile del nuovo skyline milanese con i grattacieli di  Libenskind, Isozaki e Hadid e quelli (costruiti in tempo record) di Garibaldi-Repubblica.
4. Sempre in caso di bel tempo ti consigliamo di dedicarti alla scoperta dei Navigli, un gioiello milanese che amministrazione e cittadinanza negli ultimi anni hanno fatto a gara a valorizzare. Potresti sia fare un giro in barca nei canali navigabili riscoperti dalla giunta Moratti in occasione dell’Expo sia goderti lo spettacolo dei Milanesi che al primo raggio di sole si riversano sulle rive e sui ponti a fare pic nic, a giocare a bocce o anche solo a fare due chicchere dimostrando un amore commovente per la propria città e per i suoi tesori.
5. La linea sei della metropolitana ti porta invece dalla nuovissima Biblioteca Europea di Informazione e Cultura (Beic) al Museo della Moda e del Design, due edifici degni di una città giustamente fiera di essere la capitale italiana dell’editoria e una delle capitali mondiali della moda e del design.
6. Bellissima anche la zona del porto. Recentemente scoperta da artisti e giovani coppie a nostro avviso mantiene inalterato (anche se chissà per quanto) il suo fascino popolare. Loft e gallerie d’arte stanno lentamente prendendo il posto di case chiuse e pescherie ma la trasformazione è graduale e rispettosa del contesto. Imperdibile il mercato del pesce il martedì mattina così come l’arrivo del traghetto da Pavia. Al molo 36 cerca il banchetto del signor Claudio che da quarant’anni sguscia ricci di mare e li serve ai passanti con una spruzzata di limone.
7. Come tutte le capitali europee che si rispettino anche Milano è arricchita dal contributo dei suoi cittadini di origine straniera. L’accoglienza e la curiosità per le altre culture dei milanesi hanno subito fatto sentire a casa le nuove comunità immigrate che si sono sentite incentivate a mettere a disposizione della città il loro patrimonio di tradizioni cosi come le loro energie fresche e la loro voglia di mettersi alla prova. Due esempi da non perdere sono l’integrazione della comunità cinese e di quella rom. Simbolo di questo fecondo incontro tra la lungimiranza della nostra amministrazione, l’accoglienza dei Milanesi e l’apertura delle comunità immigrate è però senza dubbio la nuova grande moschea. Ti consigliamo di visitarla e, se hai tempo, di fare un salto al piccolo ma delizioso museo adiacente al centro culturale islamico.
8. Quando arrivi informati sulle feste di quartiere. I Milanesi sono famosi per il loro senso della comunità e il loro attaccamento alla propria città; due qualità che spiegano come Milano sia riuscita, nonostante lo sviluppo economico e demografico, a mantenere un’atmosfera quasi paesana. In occasione delle Cinque Giornate ad esempio numerosi comitati di quartiere chiudono per qualche ora le vie del centro e organizzano cene all’aperto. Le strade si riempiono di lunghe tavolate imbandite di prodotti tipici e milanesi e turisti si ritrovano insieme a celebrare una delle pagine più eroiche della loro storia cittadina.
9. Per quanto la recente liberalizzazione abbia reso i taxi a Milano tra i meno costosi e i più facilmente disponibili dell’Europa occidentale e per quanto le 8 linee metropolitane coprano virtualmente l’intero territorio cittadino ti consigliamo comunque di utilizzare uno dei numerosi servizi di bike sharing e bike renting messi a disposizione dall’amministrazione comunale. Avrai cosi modo di apprezzare le nostre piste ciclabili e il rispetto quasi religioso che l’automobilista milanese porta al ciclista, vera e propria vacca sacra dell’incrocio meneghino.
10. Se, nonostante le mille attrazioni del centro cittadino, ti rimanesse tempo devi assolutamente visitare almeno uno dei quartieri decentrati. Una volta li avremmo detti periferici ma da qualche anno Milano è diventata una città che potremmo definire policentrica. Invece di orbitare intorno a poche strade congestionate e con affitti alle stelle, i cittadini  milanesi, aiutati da una lungimirante politica dell’amministrazione, hanno fatto rivivere le loro periferie. Da Corisco a Comasina, dalla Barona a Baggio è un fiorire di cinema d’essai, deliziosi caffè all’aperto, locali dove ascoltare buona musica dal vivo, biblioteche di quartiere e ottimi ristoranti a poco prezzo.
Speriamo che questi nostri consigli ti siano utili ma se anche perdi la lista non ti preoccupare, fatti guidare dall’istinto, è difficile non innamorarsi di …


Caravaggio a Milano

dicembre 1st, 2008 by Thomas Villa | No Comments

Caravaggio a Milano

Michelangelo Merisi da Caravaggio e la sua opera “La conversione di Saulo” in esposizione a Palazzo Marino.
Il novembre a Milano si è aperta al pubblico una mostra d’eccezione: “La conversione di Saulo”, l’opera d’arte del Caravaggio, appena restaurata, è stata presentata al pubblico domenica 16 novembre, in una esibizione ad entrata libera presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, dove resterà fino al prossimo 14 dicembre. Le lunghissime code dei primi giorni hanno saputo esprimere meglio di ogni parola l’interesse che ancora l’arte sa suscitare in una città aperta e cosmopolita, ma che spesso si dimentica di esserlo. La città meneghina ha tributato grande affetto ad un opera di proprietà della famiglia Odescalchi di Roma, è stata dipinta su tavola lignea il 24 settembre 1600,  su commissione di  Tiberio Cerasi Tesoriere Generale della Camera Apostolica ai tempi del papa Clemente VIII Aldobrandini, e destinato alla cappella privata della chiesa romana di Santa Maria del Popolo. Si tratta di una opera d’arte che a come tema la conversione di Saulo, che dopo la chiamata di Dio cambierà il proprio nome in Paolo, da paulum, il vocabolo latino che significa “poca cosa”.
L’episodio è narrato all’interno dell’immenso quadro con delle luci teatrali e una scenografia drammatica, e la personalità moderna del Caravaggio viene spiccata da un episodio traumatico, in cui la vita di una persona prima comune viene rivoluzionata da un episodio ai limiti della follia.
Già, la follia. Forse è la principale protagonista del quadro. La paura della follia nel sentire la “chiamata”, la follia nella risposta e la follia della situazione. Saulo, spiegano le giovani, competenti e gentili guide alla lettura dell’opera, è raffigurato quasi come in preda ad una crisi epilettica, colpito come da un fulmine, reso attraverso una illuminazione irreale ed incredibilmente moderna.
La simbologia è presente anche nella scelta dei più piccoli dettagli, dagli arbusti nello sfondo, cioè ippocastani e quindi ricchi di ambra, che è l’elemento attraverso il quale gli antichi producevano una prima forma di elettricità (elektron in greco significa proprio ambra). L’energia elettrica, così misteriosa per gli antichi, era la causa sprigionante, assieme ai fulmini, delle convulsioni da epilessia, secondo la medicina ufficiale dei tempi del Caravaggio.
Ma anche lo studio della composizione dei personaggi, elemento di forte classicità dell’autore, è in grado di stupire i visitatori. Una lettura delle linee cinetiche e delle forze e controforze presenti nel quadro può durare a lungo. Un consiglio: ogni opera ha bisogno di un certo tempo perché ci possa comunicare qualcosa. State in silenzio, concentratevi e cercate di trovare una posizione in cui siete comodi. Ed aspettate che l’opera vi parli. Staccate il cervello ed osservate la composizione del quadro, non osservate i personaggi, solo le forme ed i colori, un po’ come tornare bambini. Capirete allora la grandezza del capolavoro senza tempo. L’armonia degli elementi rinascimentali con una visione moderna della simbologia dei dettagli.
Dopo aver visto l’opera non si può che concordare con chi ha definito Caravaggio il padre dell’arte moderna. Non la realtà, ma i simboli descrivono il significato.
Milano, Palazzo Marino, Sala Alessi, Piazza della Scala
Dal 16 novembre al 14 dicembre 2008
Aperta liberamente al pubblico con ingresso gratuito
Chiusura al pubblico: 6-7-8 dicembre
Orari: 9.30-19.30, giovedì 9.30-22.30


I colori di Milano

giugno 23rd, 2008 by Andrea Stringhetti | 4 Comments

“Mi fermo, poi riparto, poi mi fermo ancora e osservo la strada che si colora,
c’è un faccia in vetrina, mi guarda e va via…
chi è lo straniero a casa mia?…casa mia…” da Hollywood, Negrita
Chi vive a Milano sa quanto sia facile incappare nel malfunzionamento dei mezzi pubblici. Traffico, ritardi, salto delle corse: tutto all’ordine del giorno. Ma il malanno più gettonato dall’ATM – la società dei trasporti – è il famigerato “guasto tecnico” nelle stazioni della metropolitana, che può bloccare la circolazione per ore. Proprio in questo disastro mi sono venuto a trovare intorno alle 13.30 di un giorno qualsiasi di giugno. Esco dall’ufficio e mi avvio alla metropolitana per affrontare le tredici fermate che mi separano da casa, ma quando scendo nel mezzanino scopro che la linea 1 è chiusa su tutta la tratta che attraversa il centro (da Pasteur a Pagano, per chi se ne intende). È esattamente la strada che dovrei fare io, che abito dall’altra parte della città rispetto a dove mi trovo; ho fame e devo studiare per l’esame del giorno dopo. Nonostante tutto sono di un umore formidabile e non riesco ad arrabbiarmi per il disguido: salgo in superficie e vado a prendere l’autobus, la 91. Urge qui una spiegazione per chi pensa che la 91 (e la 90, che fa lo stesso giro nel senso opposto) sia un mezzo come un altro: la 90/91 è la filovia che fa tutto il giro della circonvallazione e in breve può essere definito l’autobus degli stranieri. Sarà perché facendo il giro di Milano passa un po’ dovunque, o perché la circonvallazione è il luogo dove maggiormente si concentrano le zone abitate dagli immigrati, ma ormai i Milanesi sono convinti che la 90 sia un brutto posto. Io ho usato questo mezzo per anni su alcune brevi tratte e non posso dire che sia rassicurante, ma a volte non ci sono alternative: decido quindi che se voglio arrivare a casa entro sera quella è l’unica strada, così il mio viaggio diventa un’occasione per osservare e riflettere.

Mi apposto in fondo, dove si concentra “la crème”: è gente di ogni etnia, ma il colore della loro pelle mi può aiutare a distinguere la loro provenienza. Si va dalla carnagione chiara degli Europei dell’est a quella mediterranea, tipica dei Turchi e degli Arabi, dal colore sempre più intenso di Afghani, Pakistani e gente dell’Asia centrale, fino allo carnagione scurissima degli Africani. In questo quadro spiccano i lineamenti particolari di chi proviene dai Paesi dell’Indocina. C’è proprio gente da tutto il mondo (orientale) e mi sento in colpa quando mi accorgo di viaggiare con il computer ben stretto tra i piedi e le mani sempre vicine alle tasche dei pantaloni. Le situazioni che si verificano sono al tempo stesso delle più normali e delle più strane, ma noto sempre un criterio alla base: l’instabilità di una vita sospesa.
Un ragazzo è seduto e dorme, ha tirato su il cappuccio della felpa e non si vede nemmeno da uno spiraglio il colore della sua pelle; i suoi vestiti sono sporchi e sgualciti come se li avesse da giorni e sembra che da altrettanti giorni non dorma. Dietro di lui è seduto un altro ragazzo di età indefinibile che potrebbe essere laotiano o vietnamita. È vestito in stile vagamente hiphop e le cicatrici sulla sua faccia non sono promettenti. Parla al telefono ad alta voce e non capisco nemmeno un suono di quello che sento. Che strano, quando sono all’estero non mi va di farmi sentire troppo a parlare italiano. Accanto a me c’è invece un arabo con la barba tipica del musulmano. Anche lui telefona, ma parla a voce talmente bassa che posso sentirlo solo io; risponde a monosillabi, ma mi colpisce l’unica frase intera che dice: “Sto andando in moschea”. Non starà parlando così piano – mi chiedo – per paura che qualcuno lo senta? E vorrei dirgli quanto sono contento di sentire qualcuno che alle 2 del pomeriggio si ricorda di andare a pregare. Alla fermata della Stazione Centrale salgono tre uomini che etichetto come Turchi, che rimangono in piedi e pranzano con i panini appena comprati da McDonald’s. Che strana la globalizzazione, a me piace così tanto il kebab e loro mangiano hamburger americani. Un altro Arabo nel frattempo è salito e telefona a voce talmente alta che tutti sull’autobus hanno capito che non vuole cambiare operatore. Il suo italiano è disastroso, ma si capisce che ha difficoltà a venire fuori da questo problema di contratti telefonici. Il ragazzo che dormiva all’improvviso si alza e solo dopo che è sceso mi accorgo che è nero e che indossa la felpa azzurra dell’Italia. Che strano il patriottismo, io non indosserei mai una felpa del genere. Osservo fuori e constato che la situazione non è tanto diversa: i negozi lungo la strada sono principalmente gestiti e frequentati da stranieri, kebab e pizzerie, Internet point, minimarket e via di seguito.
Il mio viaggio sulla 90, iniziato in piazzale Loreto, si conclude al capolinea in piazzale Lotto, dopo aver attraversato mezza città, e da qui proseguo su un altro autobus che in una decina di minuti mi porterà fino a casa. Gli stranieri che sono stati miei compagni di viaggio fino al capolinea si sono dispersi all’apertura delle porte, come svaniti, inghiottiti da una città che non li vede e per la quale probabilmente non significano nulla. Nessuno si è infiltrato nelle mie tasche, tutto è ancora al suo posto. È un sollievo scendere, perché mi libero dall’aria pesante che si respira sulla filovia, dallo sporco che c’è sul pavimento, dalla ressa e dal rumore della gente che parla a voce troppo alta. Eppure vorrei restare su e continuare a osservare, perché so che l’ultimo pezzo di viaggio che inizia ora sarà di gran lunga meno interessante (gli unici stranieri che incontrerò saranno poche filippine che lavorano nei ricchi appartamenti intorno allo stadio). È la prima volta dopo anni che sono grato all’ATM per un guasto in metropolitana, senza il quale non avrei potuto …


Al centro del “Nuovo Mondo”, Panamà

marzo 26th, 2008 by Valentina Jaen Malmsheimer | 4 Comments

Al centro del

Una repubblica di 78.200km2 che ospita 3.000.600 abitanti. Parte dell’America centrale, confina con la Colombia e il Costa Rica. Punto cruciale di transito della maggior parte delle importazioni dall’Asia verso il Nord America e viceversa. A lungo paradiso fiscale e tuttora sede delle maggiori banche mondiali. Un piccolo ma fondamentale ponte del mondo latino.
In un mondo nel quale lentamente tutto assume lo stesso sapore nella realtà della globalizzazione, come vivono i ragazzi panamensi e, specialmente, cosa vogliono?
Come ogni Paese latino-americano, Panama è caratterizzato da un binomio sociale: la ricchezza e la povertà. Il mondo “americanizzato” e il terzo mondo. Macchine lussuose e bus affollati.
Un ragazzo che nasce a Panama ha il 60% di possibilità di nascere in condizioni agiate, il 21% di nascere nell’unica grande città, la capitale Panama City. Carnevale e capodanno esclusi, le due maggiori classi sociali restano isolate tutto l’anno, ognuna chiusa nella propria realtà.
I bambini più fortunati nascono in grandi e lussuose ville con piscina e vengono affidati a spesso giovanissime badanti, attorniati da cameriere, giardinieri e autisti. Al compimento dei 15 anni, per l’ingresso in società, le ragazze hanno la possibilità di scegliere fra un viaggio insieme alle amiche oppure una festa. Feste organizzate in grandi saloni dei country club, abito lungo e non meno di 200 adolescenti che ballano e si ubriacano, proprio come le feste dei 18 anni in Italia.

I ragazzi di Panama City crescono in un mondo molto hollywoodiano seppure limitato, viste le dimensioni minime della città. Nei week-end, se si resta in città, si va a fare passeggiate o jogging lungo il Coastway per poi ballare nelle discoteche in riva al mare a ritmo di reaggeton, salsa e musica commerciale, altrimenti si raggiunge la propria villetta in riva al mare.
Detto questo ci si potrebbe aspettare che tutti i giovani “della città” non siano altro che ragazzini viziati abituati a un canone di vita nettamente più alto di quello della media europea dei loro coetanei. Se da un lato però ci sono autisti, club privati e feste costose, dall’altro l’estrema povertà e la criminalità che circondano questa realtà hanno contribuito a innalzare una barriera, fisica e mentale, tra questa stretta cerchia di persone e il resto del Paese.
Dopo il liceo, infatti, la maggior parte dei ragazzi che se lo può permettere si iscrive in università all’estero, quasi sempre negli Stati Uniti. La vicinanza, la stessa valuta e il “mito americano” spingono milioni di panamensi a lasciare la città in cerca di una realtà diversa, più che di una migliore istruzione.
Da bambina ero affascinata da quel mondo magico tanto lontano dalle abitudini italiane. Crescendo però mi sono resa conto della grande differenza di cultura, del potere dell’educazione europea rispetto a quella panamense. Ciò che ho capito è che in un Paese così piccolo, limitato dalla differenza di classe sociale, il successo e il lavoro spesso sono legati alle conoscenze, al potere sia economico sia politico. Per questo motivo un giovane panamense in Italia ha di certo più possibilità di integrazione e mobilità rispetto a uno straniero a Panama.
Per deformazione professionale credo sia facile riuscire ad analizzare una popolazione attraverso le proprie architetture; mettendo quindi a confronto le mie due realtà, Panama City e Milano, mi rendo conto della grande differenza di spirito che c’è. Certo sono entrambe città in “evoluzione”, ma se da un lato Milano si sta, diciamo, “rinnovando” – edifici che vanno a sostituire delle preesistenze-, dall’altro abbiamo una vera e propria nascita – interi nuovi quartieri ed enormi centri commerciali. A Panama lo spirito di innovazione, la voglia di mettersi in gioco, di provare e di credere nelle novità, nell’unicità di alcuni progetti rispecchia la voglia dei cittadini di aprirsi verso un “nuovo mondo”. Superando ogni giudizio estetico credo sia di grande ispirazione poter vivere in una città che nel 2008 è disposta a crescere, a superare se stessa, andando oltre alle frontiere che a lungo le sono state assegnate. Panama, come tutti i Paesi latinoamericani ha molti problemi, soprattutto a livello sociale-economico. Eppure, quando guardo i miei cugini che vivono là, so che possiedono un’energia che non è così comune in Italia e più generalmente in Europa.
Il mio consiglio dunque è di visitare Panama ora, nel periodo di maggiore sviluppo economico, ora che quotidianamente compaiono nuovi palazzi, nuovi locali e nuove spiagge attrezzate. Con le poche cautele che è sempre bene avere in viaggio, si possono visitare luoghi unici ed entrare a contatto con coetanei tanto diversi ma accoglienti, allegri e aperti al mondo moderno.



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