O si cambia o si muore. L’Università italiana a 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle Specie.
aprile 11th, 2009 | Pubblicato in Attualità | 5 Comments di Rocco Polin
Lo stato dell’Università italiana è miserabile. Su questo direi che siamo tutti d’accordo. Un giovane italiano di belle speranze ha due possibili scelte: rimanere in Italia e laurearsi in un’Università di serie B (o più spesso serie C) o andare all’estero. Nel primo caso sceglie consapevolmente di rimanere a marcire nella periferia dell’Impero nel secondo caso presto o tardi si troverà a dover scegliere tra un esilio permanente e un ritorno umiliante in un paese che non lo saprà ne vorrà valorizzare.
Ultimamente gli studenti Italiani si sono mobilitate contro la riforma Gelmini. Trovandomi in California ho seguito come ho potuto la mobilitazione. La riassumerei così. Ci siamo mobilitati per una ragione giusta ma non cruciale che aveva il vantaggio di essere facilmente comprensibile e condivisibile per tutti (no ai tagli nei finanziamenti). Una volta mobilitati abbiamo finalmente cercato di parlare anche dei problemi veri dell’Università (che fin dall’inizio sapevamo non essere legati alla mancanza di soldi), ovvero le baronie, i concorsi truccati eccetera. La mobilitazione, per sua natura ampia e variegata, è presto diventata oggetto di strumentalizzazioni politiche (da sinistra) o ridicoli rigurgiti fuori dal tempo (i comizi di Scalzone o i proclami degli anarchici). Naturalmente i media erano decisamente più interessati a Scalzone o alle dichiarazioni di Veltroni che ai problemi della nostra Università. Alla fine, come al solito, tutti si è sgonfiato e la nostra mobilitazione rischia persino di aver portato acqua al mulino di coloro che di questa Università disastrosa non vogliono cambiare nulla, preservando un sistema che fa acqua da tutte le parti ma che garantisce ad alcuni potere e prestigio.
Io credo che l’Università Italiana sia in una situazione tale da aver bisogno non di una serie di riforme ma di una rivoluzione. E che l’unica possibilità di provocare questa rivoluzione in un sistema conservatore e immobilista come il nostro sia l’immediata abolizione del valore legale del titolo di studio e l’introduzione di un crudele sistema di numero chiuso al fine di creare (diciamocelo senza ipocrisie) delle Università di serie A e delle Università di serie B (perché è chiaro che senza serie B non ci può essere una serie A).
Mi dite che la selezione finirà per rispecchiare in gran parte una selezione di classe? Che passeranno solo i privilegiati figli di buona famiglia con una solida cultura alle spalle, iscritti dai genitori al Liceo Classico del centro e mandati in Inghilterra d’estate a studiare l’inglese? E sia. Se le nostre scuole elementari, medie e superiori non sono state in grado di colmare questo gap non si può pretendere che lo faccia l’Università. Tanto più che la selezione avviene comunque, inevitabilmente, ora in modo ancora più subdolo e fascista in quanto è una selezione invisibile, che si basa sui contatti, sulle raccomandazioni, piuttosto che su esami di ammissione almeno formalmente eguali per tutti.
Mi dite che le poche Università di serie A attireranno tutti i finanziamenti e tutti i migliori professori facendo si che la serie B si trasformi presto in serie C? E sia. Lo scopo della serie A in fondo è proprio questo. Naturalmente poi starà allo Stato provvedere adeguatamente al finanziamento delle Università di serie B, compito reso più facile nel caso alcune Università di eccellenza siano ormai in grado di mantenersi attraverso donazioni e finanziamenti privati. Si può inoltre sperare che la presenza sul territorio nazionale di alcune Università di eccellenza possa avere effetti di spill over anche sulle altre. E se questo non dovesse succedere amen..
Mi dite che sto proponendo una riforma di estrema destra? E sia. Non so se come dice Giavazzi il merito (come la doccia e la mortadella secondo Gaber) sia di sinistra. Probabilmente ha ragione Bobbio, la sinistra è innanzi tutto eguaglianza e allora questa mia riforma è evidentemente di destra. Me ne frego (tanto per rimanere in tema..). Se vogliamo che l’Italia torni ad essere una nazione rilevate, credo che questa riforma sia necessaria.
Esattamente un secolo e mezzo fa Charles Darwin, il più importante ideologo di destra e forse il più grande filosofo di tutti i tempi, scriveva “nothing is easier than to admit in words the truth of the universal struggle for life, or more difficult than constantly to bear this conclusion in mind”. E’ ora di fare i conti sul serio con questa verità, tanto più rilevante da quando l’Università è diventata di massa. Scrive sempre Darwin “a struggle for existence inevitably follows from the high rate at which all organic beings tend to increase”. “The great battle for life” è una verità innegabile, se in Italia ci rifiuteremo di combatterla condanneremo il nostro paese all’estinzione, intellettuale e politica.
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aprile 11th, 2009 at 17:20 (#)
Ti dico che da come parli sembri uno che ha tutto da guadagnare da una divisione classista dell’Università.
Ti dico che:
1) la divisione in serie A e B (sempre calcio.. ‘azz della cultura..), l’abolizione del valore legale ed il numero chiuso, come da te configurati, servono ad eliminare una selezione subdola e fascista ed ad introdurne un’altra limpida e fascista, senza intaccare in nulla le questioni e garantendo un certo interesse. Mi domando se nella stesura di questa finta rivoluzione hai pensato a qualcuno che non sia tu.
2) “e se questo non dovesse succedere amen”: cos’è, la conferma che mancava ai dubbi di cui sopra? XD
3) riforma, rivoluzione? Destra, Sinistra? Non voliamo un tantino alto? Diciamo che la proposta fa acqua da tutti i pori e che il fatto di esser inquadrabile in un sistema destroide o sinistroide ha ben poco a che vedere con le questioni pregnanti.
E se le soluzioni proposte dalle eminenti gioventù formate in Italia ed all’estero nascono ancora più morte di quelle dei baroni, evidentemente il problema è assai più radicato nelle teste pensanti (?) di chi dovrebbe, nel giro di vent’anni, diventar classe dirigente.
Bene, se questo è il futuro, direi che mantiene una certa continuità col passato, specie nei suoi tratti negativi.
Paesi di polli eravamo, paese di polli rimarremo.
Salùt.
aprile 13th, 2009 at 08:51 (#)
Credo, Xaver, che non ci sia nulla di più classista di credere sinceramente, come sembri fare tu, che una selezione basata sul merito finirebbe per favorire i figli dei ricchi.
Conosco tanti figli della Milano ricca (che spesso coincide con una Milano di un livello umano e culturale pietoso) che se esistesse una seria selezione all’ingresso adesso sarebbero a lavorare (perchè la giustizia sociale richiede non solo che la possibilità dell’ascesa ma anche la possibilità della discesa sociale, da noi troppo spesso ignorata). E invece ingolfano le aule della Statale, gli appelli di esame e le ore di ricevimento sottraendo risisorse (umane ed economiche) a quegli studenti che invece le saprebbero e le vorrebbero mettere a frutto.
Non nego che maggiori possibilità economiche in alcuni casi favoriscano i figli delle famiglie che le hanno, non nego che anche in un sistema basato sul merito alcuni privilegi di classe finirebbero per avere il loro peso. Credo però che avrebbero un peso decisamente minore di quello che hanno ora. Perchè tra importanza del merito e importanza del privilegio c’è a mio avviso una relazione (sia pure imperfetta) di proporzionalità inversa.
Dopo di che le imperfezioni del numero chiuso si possono cercare di risolvere (l’azione affermativa, ad esempio per i figli di cittadini immigrati che si trovano a scontare un’evidente gap inziale, può essere una parziale risposta).
Credo che uno degli atteggiamenti che ha portato l’università italiana al pietoso stato attuale sia l’atteggiamento di chi individuando alcuni difetti nelle proposte di riforma (e naturalmente di difetti ce ne saranno sempre), invece di chiedersi se esse rappresenterebbero un passo in avanti o indietro (nel nostro caso per esempio rispetto all’eguaglianza delle opportunità e alla qualità dell’istruzione) ed eventualmente proporre qualche modifica, bocciano in toto la proposta in attesa dell’utopica riforma perfetta. Come se fosse facile ridurre l’Università italiana in uno stato peggiore di quello in cui si trova in questo momento.
aprile 13th, 2009 at 08:52 (#)
scusa, Xander non Xaver.
aprile 13th, 2009 at 12:00 (#)
<>
Grazie, grazie, GRAZIE per aver scritto questo articolo.
Anch’io sono un milanese cresciuto in provincia e trapiantato in centro per frequentare il liceo classico al Parini. Adesso sto per finire il liceo e ho gia’ tutto pronto per scappare in America appena dopo la maturita’. Sono completamente d’accordo con te; per fare un esempio, nella mia classe il “top 5%” e’ rappresentato esclusivamente da famiglie di middle-class, e non dalla vecchia alta borghesia del centro, i cui figli o vengono in una scuola pubblica (e.g. Parini o Berchet) e sono talmente incapaci che vengono bocciati subito e cambiano scuola, oppure rimangono sempre in uno stato accademico mediocre finche’ non prendono la maturita’, vanno a fare una facolta’ del cazzo, e hanno un posto assicurato per il resto della propria vita. Le eccezioni ci sono, ma essendo eccezioni sono ben poche.
Stare a inquadrare un sistema basato sul merito nell’ambito di destra e sinistra e’, a mio parere, piu’ o meno un non-senso: se il liberismo e’ di destra, allora quest’idea e’ di destra, se invece l’immobilismo e’ di destra, allora la stessa idea e’ decisamente di sinistra. Fatto sta che e’ un’idea che cambierebbe le cose in meglio.
aprile 14th, 2009 at 05:42 (#)
Destra, sinistra. Yawn. Fottersene delle etichette?
Comunque concordo in pieno, almeno a livello programmatico. La meritocrazia, seppur crudele e socialmente ingiusta, é necessaria. Almeno un pochino. Un dito. Un accenno. Perché in Italia di meritocrazia, parliamoci chiaro, neanche l’ombra. Intanto si inizi lievemente ad implementarla, poi di affirmative action ne parliamo (che in Italia sarebbe da fare a base geografica, piú che etnico-sociale).
A voler fare un po’ di realpolitik, una riforma del genere non la si attuerebbe mai. Quello che possiamo fare noi studenti é cercare di esporre il piú possibile le baronie, che alla fin fine sono tranquillamente evidenti, ma il clima di indifferenza, omertá e timore che impregna la classe studentesca le tiene belle e sicure all’asciutto.
Uno dei problemi principali che vedo nell’Universitá italiana e l’incapacitá di rimanere al passo con i sempre piú frenetici tempi del dibattito intellettuale moderno. Ma come biasimare dei poveri vecchiardi che faticano ad accendere un computer? Io non li biasimo di certo, poveri amori della zia.
E sempre per voler tirare l’acqua al nostro mulino, bisogna spingere per il ricambio generazionale.
Viva noi. Abbasso i vecchiardi. E viva, sempre viva e comunque viva lamentarsi al baretto.