Come Alice in Wonderland: una studentessa di editoria a Francoforte.
novembre 6th, 2008 | Pubblicato in Opinioni | 2 Comments di Nina Ferrari
“Cos’è una fiera del libro? Cos’è la Buchmesse?”
Questa domanda vorticava nella mia testa da ormai cinque mesi, da quando, cioè, avevo saputo con certezza che sarei andata a Oxford a studiare editoria e che avrei avuto la possibilità di recarmi a Francoforte, in rappresentanza dell’università per scoprirlo da me. Mi dicevano: Francoforte è uno degli eventi più importanti dell’editoria europea, un momento per il quale gli addetti ai lavori cominciano a prepararsi almeno una decina di settimane prima. A Francoforte si concretizza e si conclude, in poche ore, ciò su cui si lavora per un anno intero ed è qui che nascono nuovi spunti su cui lavorare per l’anno futuro. Francoforte: per una settimana, la Mecca dell’editoria europea.
Certo, nessuna di queste definizioni riusciva a colmare i miei dubbi. Cosa fosse una fiera del libro, perché fosse cosi’ eccitante, perché, appena veniva nominata di fronte a un editor, questo subito cominciasse a fremere di un malcelato profondo piacere. Io, no, non ero mai stata a una fiera del libro prima. Avevo bazzicato festival della letteratura e della filosofia e, a seconda delle edizioni e degli incontri, ne ero stata più o meno entusiasta. Ma cosa facesse di una fiera del libro, e di questa in particolare, un evento tanto eccitante, ancora nessuno era riuscito a spiegarmelo.
Dal 15 al 19 ottobre, quest’anno, a Francoforte si era aperto, per la sessantesima volta, il sipario: spettatore di quest’avvenimento, un gruppo di studenti emozionati ed entusiasti – di cosa, però, ancora non si sapeva. Tra loro c’ero anch’io. Ognuno di noi aveva fissato un paio di meeting con un rappresentante di alcune tra le più famose case editrici britanniche, perché così c’era stato detto di fare. Nessuno, tuttavia, aveva la minima idea di cosa sarebbe successo durante questi incontri.
Il mio primo appuntamento è di venerdì mattina. A&C Black il nome della casa editrice. Per raggiungere il luogo del rendez-vous cammino per più di mezz’ora, lungo corridoi gremiti di gente indaffarata, provvidenziali tapis roulant capaci di trasportare gli stanchi visitatori della fiera da un padiglione all’altro. M’è subito chiaro che la Buchmesse è gigantesca. Assolutamente indomabile. Internazionale. Viva. Tutti sono indaffarati, operosi, attivi, e gran parte degli addetti o stanno correndo da qualche parte o sono impegnati in qualche colloquio importante all’interno degli stand che rappresentano le case editrici.
Una prima osservazione: alla fiera del libro ci sono pochissimi libri. Sia ben chiaro, fotografie che li raffigurano e cataloghi che ne descrivono il contenuto sono dappertutto. Ma di libri, come oggetti fisici, ce ne sono pochi. E la ragione sta nel fatto che alla fiera del libro non si vendono libri. Neanche volendolo disperatamente si possono comperare. Dove sta tutta l’eccitazione, allora?
E’ un editor della A&C Black a spiegarmelo. A Francoforte, e ormai in tutte le grandi fiere del libro del mondo, si comperano e si vendono diritti d’autore, di traduzione, di riproduzione. Si comperano e vendono licenze e si fanno affari internazionali, si stipulano contratti importanti, ma non si vendono libri in senso fisico. Tutte le persone che vediamo correre da una parte all’altra del gigantesco complesso di padiglioni sono alla ricerca di diritti intellettuali da riprodurre, tradurre e copiare; tutte le persone che si affaccendano all’interno degli stand, sedute a tavolini eleganti e ben illuminati, attendono che quelle che corrono giungano da loro per presenziare a un appuntamento fissato magari sei mesi fa.
A Francoforte si concludono corteggiamenti talvolta portati avanti per anni, si perviene alla definitiva stretta di mano che non avrebbe potuto avere luogo né via email né durante una videoconferenza. Le case editrici si mantengono in contatto per tutto l’anno, ma è a Francoforte che concretizzano e chiudono gli affari, perché è qui che editori, agenti, scrittori, traduttori possono finalmente guardarsi negli occhi e scorgere una reciproca intesa in merito a un progetto comune.
Sono solo affari allora? L’editoria è un business, e durante il giorno la Buchmesse ne è il simbolo. Si parla di affari (e com’è buffo scoprire diverse atmosfere a seconda del padiglione! Compìti ed efficienti gli Anglosassoni, più rilassati gli Italiani e gli Spagnoli, tutti presi a confabulare i Mediorientali, sorridenti e decisamente più silenziosi gli Orientali), ma si parla anche di libri, di letteratura, di arte. E, sebbene lo scopo della fiera consista nella compravendita di questi oggetti, chi ci ha a che fare è scolpito dalla materia stessa di cui parla, è scolpito dai libri.
Francoforte ha due anime, durante la settimana della Buchmesse. Quella della mattina, che è la faccia ufficiale dell’evento. E quella della notte, che rappresenta l’altro volto dell’editoria, quello umano. L’editor trafelato e determinato del mattino, la notte si svela amabile conversatore, l’agente mostra il proprio spirito ironico, traduttori e grafici scambiano motti di spirito e consigli amichevoli. Gli uomini d’affari si mostrano in una veste più intima –complici anche i fiumi di vino e champagne che scorrono a fiotti nelle serate francofortesi – e stringono amicizie che durano negli anni, concepite al di fuori del lavoro in senso stretto. Non si parla più di diritti o contratti, ma ci si confronta su autori preferiti e odiati, sulle nuove scoperte, si litiga perché in disaccordo su quanto sia brava o terribile una band musicale, ci si aggiorna sulla vita di quel collega che vive in Sudamerica e che s’incontra solo due volte all’anno.
Cosa fa una piccola studentessa in mezzo a tutto questo? Niente, purtroppo. La studentessa assapora. Annusa, cerca di capire. Osserva, vede la vita che le scorre davanti, ma non può prendervi parte. Ciò che si consuma a Francoforte è un rito per soli iniziati, un evento dedicato, condotto e vissuto solo dagli appartenenti a una cerchia ristretta. La studentessa prende nota di tutto e comincia a fantasticare: forse, un giorno, i fiumi di champagne scorreranno anche per lei.
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novembre 6th, 2008 at 18:16 (#)
Come Alice, certo. come Alice che incontra il brucaliffo o quello strano animale mezzo maiale, mezzo uccello, con guscio di tartaruga e fattezze da armadillo. Un’Alice moderna, impegnata, riflessiva, curiosa.
Una Nina la cui bottiglia di champagne non è pronte, perché la fermentazione inizia dalla prima visita alla Buchmesse della sua vita. Perché, adesso, priprio ora, si infila il tappo alla bottiglia che coma contenuto ha un mosto non troppo limpido, a cui le cure da enologo saranno indirizzate – metodoclassico-, girandola ogni tot di tempo.
Il turacciolo gonfierà.
E la stapperemo insieme questa bottiglia, Nina, anno 2008. Anno di Oxford, anno di Tamarindo, anno zero.
novembre 7th, 2008 at 00:49 (#)
Misha, Misha caro, dobbiamo davvero stapparla questa bottiglia prima o poi. E non importa quale sia l’occasione, credo che comunque vada sarebbe un’occasione.